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Essere alla conoscenza, tra diritto e dovere

Senza scandalizzarsi, senza pregiudizi, usando l’onestà l’intellettuale si può?




























Prigionieri del presente - come uscire dalla trappola della modernità - Giuseppe De Rita e Antonio Galdo















































Vaticano S. p. A. - Gianluigi Nuzzi



Ecomafia 2009 - le storie e i numeri della criminalità ambientale



Papini - Lettere agli uomini del Papa Celestino Sesto






























































Modernità, politica e protestantesimo - P. Adamo, E. Bein Ricco, G. Giorello, M. Miegge, M. Rubboli, G. Tourn












Romania




Spagna













































































V. Dignità  del  Sacramento. Lo  stato  Sacerdotale.

IL   SIGNORE

         “1. Se  anche  tu  avessi  la  purità  degli  Angeli, la  santità  di  Giovanni  Battista, non  saresti  completamente  degno  di  ricevere  questo  Sacramento, poiché  non  è  dovuto  ai  meriti  degli  uomini, che  un  uomo  possa  consacrare  e  amministrare  il  Sacramento  di  Cristo  e  possa  ricevere  come   cibo  il  pane  degli  Angeli.

         Grande  è  questo  mistero; grande  è  pure  la  dignità  dei sacerdoti, cui  è  concesso  ciò  che  neppure  le  creature  celesti  possono  fare. Solo  i  sacerdoti  legittimamente  ordinati  dalla  Chiesa  hanno  facoltà  di  celebrare  e  consacrare  il  Corpo  di  Cristo. Così  il  sacerdote  è  ministro  di  Dio  e  si  serve  della  parola  divina  per  diretto  comando  e  istituzione  di  Dio, il  quale  è  dunque  il  principale  autore  e  operatore  invisibile, al  cui  volere  ogni  cosa  è  soggetta  ed  obbedisce.

         2. Tu  devi  quindi  credere  più  a  Dio  onnipotente  in  questo  eccelso  Sacramento, che  non  ai  tuoi  sensi  od  a  qualunque  segno  visibile.

         E  pieno  di  timore  e  riverenza  devi  accostarti  alla  Comunione  col  Signore. O  sacerdote  di  Dio, considera  bene  qual  ministero  ti  fu  affidato  con  la  imposizione  delle  mani  del  vescovo. Eccoti  sacerdote  e  consacrato  per  celebrare: bada  ora  a  offrire  nel  tempo  opportuno  il  sacrificio  a  Dio  con  fedeltà  e  devozione, e  a  mostrarti  a  tutti  irreprensibile.

         Non  hai  alleggerito  il  tuo  peso, ma  sei  ora  legato  con  un  vincolo  più  stretto  di  disciplina, sei  tenuto  a  una  maggior  perfezione  di  santità.

         Il  ministro  del  Signore  deve  essere  ornato  di  tutte  le  virtù   e  dare  agli  altri  l’esempio  di  una  vita  santa. La  sua  conversazione  non  deve  essere  col  volgo  e  nei  luoghi  frequentati  da  tutti, ma  in  Cielo  con  gli  Angeli, e  in  terra  con  gli  uomini  perfetti.

         3. Il  sacerdote, rivestito  dei  sacri  paramenti, fa  le  veci  di  Cristo, per  poter  supplicare  e  pregare  Dio  umilmente  per  sé  e  per  tutto  il  popolo. Ha  davanti  e  dietro  il  segno  della  croce, che  gli  rammenta  di  continuo  la  Passione. Davanti, per osservare  attentamente  tutti  i  divini  esempi  e  cercare  di  seguirli  con  fervore; dietro, per  tollerare  pazientemente, per  amor  di  Dio, tutte  le  traversie  che  vengono  dagli  uomini. Davanti, affinché  egli  pianga  i  suoi  peccati; dietro , affinché  pianga  di  compassione  anche  quelli  degli  altri, e  sappia  di  essere  stato  destinato  quale  intermediario  fra  Dio  e  il  peccatore, e  non  trascuri  di  pregare  ed  offrire  il  santo  Sacramento, sino  a  che  meriti  trarre  grazia  e  misericordia.

         Quando  egli  celebra, dà  onore  a  Dio, letizia  agli  Angeli, edificazione  alla  Chiesa , soccorso  ai  vivi, refrigerio  ai  morti, e  rende  se  stesso  partecipe  di  tutti  i  beni  celesti”.

Per  capire  ancora  di  più, la  grande  dignità  dei  Sacerdoti  di  fronte  alla  Corte  Celeste . . . non  trovo  un  altro  esempio  meglio  di  quello  descritto  nel  “Diario la  Misericordia  divina  nella  mia  anima – di  S. Maria  Faustina  Kowalska

         pag.872: “Ero  stanca  e  m’addormentai. La  sera  venne  la  suora  che  aveva  il  compito  di  assistermi, e  mi  disse:<<Sorella, domani  lei  non  avrà  il  Signore  Gesù, perché  è  molto  affaticata  e  poi  in  seguito  vedremo  come  andrà>>. La  cosa  mi  addolorò  enormemente, ma  risposi  con  molta  calma: <<Va  bene>>, affidandomi  completamente  al  Signore  e  cercai  di  addormentarmi. La  mattina  feci  la  meditazione  e  mi  preparai  per  la  santa  Comunione, benché  non  dovessi  ricevere  il  Signore  Gesù. Quando  il  mio  desiderio  ed  il  mio  amore  raggiunsero  il  grado  più  alto, all’improvviso  vidi  accanto  al  mio  letto  un  Serafino, che  mi  porse  la  santa  Comunione  pronunciando  queste  parole: <<Ecco  il  Signore  degli  Angeli>>. Dopo  ebbi  ricevuto  il  Signore, il  mio  spirito s’immerse  nell’amore  di  Dio  e  nello  stupore. Il  fatto  si  ripeté  per  tredici  giorni, però  non  avevo  la  certezza  che  il  giorno  dopo  me  l’avrebbe  portata, ma abbandonandomi  a  Dio, avevo  fiducia  nella  Sua  bontà, e non osavo  nemmeno  pensare  che  l’indomani avrei  ricevuto  la  santa  Comunione  in  quel modo. Il  Serafino  era  circondato  da  un  grande  splendore, traspariva  da  lui  la  divinizzazione  e  l’amor  di  Dio. Aveva  una  veste  dorata  e  su di  essa  indossava  una  cotta  trasparente  ed  una  stola  pure  trasparente. Il  calice  era  di  cristallo  ed  era  coperto  da  un  velo  trasparente. Appena   m’ebbe  dato  il  Signore, scomparve.

         Una  volta  che  avevo  un  dubbio, che  mi  era  venuto  poco  prima  della  santa  Comunione  all’improvviso  venne  di  nuovo  il  Serafino  con  il  Signore  Gesù. Io  però  rivolsi  una  domanda  al  Signore  Gesù, e  non  avendo  ricevuto  risposta, dissi  al  Serafino:

<<Mi  potresti confessare? >>.  Ma  egli  mi  rispose: <<Nessuno  spirito  celeste  ha  questo  potere>>. In  quell’istante  l’Ostia  si  posò  sulle  mie  labbra.”

Capitolo  111 – Dal Dialogo della Divina Provvidenza – Santa Caterina da Siena –

Dice il Dio Padre alla Santa …

Come  i  sensi  del  corpo, ma  non  quelli  dell’anima, siano  tratti  in  errore  nel  suddetto  Sacramento, e  perciò  con  questi  si  debba  vedere, gustare  e  toccare. Bella  visione  di  Caterina  sopra  tale  materia.

         O  carissima  figliuola, apri  bene  l’occhio  dell’intelletto  per  guardare  l’abisso  della  mia  carità. Non  vi  è  creatura  ragionevole  a  cui  non  si  dovesse  sciogliere  il  cuore, per  affetto  di  amore, nel  vedere  fra  gli  altri  miei  benefizi  quello  che  ricevete  in  questo  sacramento. Con  quale  occhio, o  carissima  figliuola , devi  tu  e  gli  altri  vedere, guardare  e  toccare  questo  mistero? Non  parlo  solamente  del  tatto  e  della  vista  del  corpo, perché  tutti  i  sensi   materiali  vengono  meno  in  questo  sacramento. L’occhio  non  vede  altro  che  la  bianchezza  di  quel  pane; la  mano  non  tocca  altro  che  il  pane, il  gusto  non  sente  altro  che  il  sapore  del  pane, cosicché  i  sensi  grossolani  del  corpo  restano  ingannati; ma  il  sentimento  dell’anima  non  può  essere  ingannato, se  ella  lo  vorrà, cioè  se  ella  non  si  vorrà  togliere  con  la  infedeltà  il  lume  della  santa  fede.

         Chi  è  che  gusta, vede  e  tocca  questo  sacramento? E’  il  sentimento  dell’anima. Con  che  occhio  lo  vede? Con  l’occhio  dell’intelletto, se  dentro  l’occhio  vi  è  la  pupilla  della  santissima  fede. Quest’occhio  vede  in  quella  bianchezza  tutto  Dio  e  tutto  l’uomo, la  natura  divina  unita  con  la  natura  umana, il  corpo, l’anima  e  il  sangue  di  Cristo, l’anima  unita  al  corpo, il  corpo  e   l’anima  uniti  con  la  mia  indivisibile  natura  divina.

         Così  io  te  lo  manifestai  quasi  al  principio  della  tua  vita, se  ben  ti  ricordi, e  non  solo  lo  manifestai  all’occhio  del  tuo  intelletto, ma  a  quello  del  tuo  corpo, sebbene  questo, per  la  gran  luce, perdesse  la  vista  e  gli  rimanesse  solo  quella  dell’occhio  dell’intelletto.

         Te  lo  mostrai  a  tua  illuminazione, contro  la  battaglia  che  il  demonio  t’aveva  data  su  questo  sacramento, e  per  farti  crescere  nell’amore  e  nella  luce  della  santissima  fede. Ti  ricordi  che  andando  tu  una  mattina  sull’aurora  alla  chiesa, per  udire  la  messa, dopo  essere  stata  innanzi  tormentata  dal  demonio, ti  ponesti  ritta  dinanzi  all’altare  del  Crocifisso. Il  sacerdote  era  venuto  all’altare  di  Maria; ma  tu  stavi  al  tuo  posto  a  considerare  la  tua  miseria, temendo  di  avermi  offeso, per  la  molestia  che  il  demonio  t’aveva  data, e  considerando  ancora  l’affetto  della  mia  carità, che  t’aveva  fatta  degna  di  udire  la  messa, poiché  tu  ti  reputavi  indegna  di  entrare  nel  mio  santo  tempio.

        Venuto  il  ministro  alla  consacrazione, tu  alzasti  gli  occhi  sopra di lui , e  mentre  diceva  le  parole  della  consacrazione, io  manifestai  me  stesso  a  te. Tu  vedesti  uscire  dal  mio  petto  una  luce  come  il  raggio  che  esce  dalla  ruota  del  sole, senza  che  si  parta  da  essa  ruota. In  quella  luce  veniva  una  colomba, unita  con  la  luce, ed  essa  percuoteva  sopra  l’ostia, in  virtù  delle  parole  della  consacrazione, che  diceva  il  ministro. Poiché  il  tuo  occhio  corporale  non  ebbe  forza  di  sostenere  quella  luce, ti  rimase  la  vista  solo  nell’occhio  dell’intelletto, col  quale  vedesti  e  gustasti  l’abisso  della  Trinità, Cristo  tutto  Dio  e  tutto  uomo, nascosto  e  velato  sotto  quella  bianchezza. Né  la  luce, né  la  presenza  del  Verbo, che  vedesti  intellettualmente  nella  bianchezza, toglievano  la  bianchezza  del  pane; l’una  non  impediva  l’altra. Non  eri  impedita  di  vedere  Dio  e  l’uomo  in  quel  pane, né  quel  pane  era  impedito  da  me, cioè  non  gli  erano  tolti  la  bianchezza, il  tatto, o  il  sapore.

         Questo  fu  mostrato  a  te  dalla  mia  bontà. A  chi  rimase  la  vista? Non  all’occhio  del  corpo, ma  a  quello  dell’intelletto  con  pupilla  della  santissima  fede, ed  è  in  quest’occhio  che  deve  stare  la  vista  principale, perché  esso  non  può  essere  ingannato. Con  esso  dunque  dovete  guardare  questo  sacramento.

         Chi  è  poi  che  lo  tocca? La  mano  dell’amore. Con  questa  mano  si  tocca  quello  che  l’occhio  ha  veduto  e  conosciuto  in  questo  sacramento. Per  fede  l’uomo  lo  tocca  con  la  mano  dell’amore, quasi  certificandosi  di  quello  che  per  fede  vide  e  conobbe  intellettualmente.

        Chi  è  che  lo  gusta? Il  gusto  del  santo  desiderio. Il  gusto  del  corpo  sente  il  sapore  del  pane; ma  il  gusto  dell’anima, cioè  il  santo  desiderio, gusta  Cristo, Dio  e  uomo. Sicché  tu  vedi  come  i  sensi  del  corpo  siano  ingannati, ma  non  il  sentimento  dell’anima; anzi  essa  ne  è  chiarificata  e  certificata  in  se  stessa, perché  l’occhio  del  suo  intelletto  ha  potuto  vedere  con  la  pupilla  della  luce  della  santissima  fede. Poiché  lo  vide e  lo conobbe  per  fede, perciò  lo  tocca  con  la  mano  dell’amore, lo  gusta  col  gusto  dell’anima, con  affocato  desiderio, che  è  l’affocata  mia  carità, amore  ineffabile.

          Con  questo  amore  l’ho  fatta  degna  di  ricevere  un  tanto  mistero  di  questo  sacramento, e  la  grazia  che  in  esso  si  contiene. Vedi  dunque  che  dovete  ricevere  e  vedere  questo  sacramento  non  solo  col  sentimento  materiale  ma  anche  con  quello  spirituale, disponendo  i  sentimenti  dell’anima  con  affetto  d’amore, per  vedere, ricevere  e  gustare  questo  sacramento.

Capitolo   112

Stato  eccellente  dell’anima  che  riceve  in  grazia  questo  sacramento.

        Guarda, o  carissima  figliuola, in  quanta  eccellenza  si  trovi  l’anima, che  riceve  come  si  deve  questo  pane  di  vita, cibo  degli  angeli. Ricevendo  questo  sacramento, sta  in  me  ed  io  in  lei. Come  il  pesce  sta  nel  mare  e  il  mare  nel  pesce, così  io  sto  nell’anima  e  l’anima  in  me, mare  pacifico. Nell’anima  rimane  la  grazia, perché, avendo  ricevuto  questo  pane  di  vita  in  grazia, questa  rimane  dopo  che  è  stata  consumata  la  specie  del  pane. Io  vi  lascio  l’impronta  della  mia  grazia, come  l’impronta  del  suggello  che  si  pone  sopra  la  cera  calda: levandosi  il  suggello, vi  rimane  la  sua  impronta.

          Così  nell’anima  rimane  la  virtù  di  questo  sacramento; vi  rimane, cioè, il  caldo  della  divina  carità, la  clemenza  dello  Spirito  Santo. Vi  rimane  il  lume  della  sapienza  dell’Unigenito  mio  Figliuolo, restando  illuminato  l’occhio  dell’intelletto  da  essa  sapienza, per  conoscere  e  vedere  la dottrina  della  mia  Verità, ed  essa  Sapienza.

          Rimane  nell’anima  la  fortezza, partecipando  essa  della  mia  fortezza   e  potenza, poiché  io  la  faccio  forte  e  potente  contro  la  sua  passione  sensitiva, contro  i  demoni  e  contro  il  mondo. Sicché  tu  vedi  come  le  rimanga  l’impronta, levato  che  sia  il  suggello. Consumata  quella  materia, che  sono  gli  accidenti  del  pane, questo  vero  Sole  ritorna  alla  sua  sfera; non  credere  però  che  se  ne  fosse  staccato, poiché  è  sempre  unito con  me. Ma  l’abisso  della  mia  carità, per  vostra  salute  e  per  darvi  un  cibo  in  questa  vita, dove  siete  pellegrini  e  viandanti, ed  affinché  abbiate  refrigerio  e  non  perdiate  la  memoria   del  benefizio  del  sangue, ve  l’ha  dato  in  cibo  per  mia  concessione  e  provvidenza, sovvenendo  ai  vostri  bisogni, dandovi  appunto  in  cibo  questa  mia  dolce  Verità.

          Mira  dunque  quanto  siate  tenuti  ed  obbligati  a  rendermi  amore, poiché  io  tanto  vi  amo, e  sono  la  somma  ed  eterna  bontà, degna  d’essere  amata  da  voi!

Capitolo 115

Della  dignità  dei  sacerdoti, e  come  la  virtù  dei  sacramenti  non  diminuisce  per  le  colpe  di  chi  li  amministra  o  riceve. Dio  non  vuole  che  i  secolari  si  impaccino  a  correggerli.

         Questo  facevano  i  dolci  e  gloriosi  ministri, la  cui  eccellenza  volevo  che  tu  vedessi, oltre  alla  dignità  che  io  avevo  loro  data  col  farli  miei  cristi , come  già  ti  dissi. Esercitando  con  virtù  questa  dignità, si  vestono  di  quel  dolce  e  glorioso  Sole, che  io  diedi  loro  a  dispensare.

         Guarda  a  Gregorio  dolce, a  Silvestro, agli  altri  antecessori  e  successori, che  sono  seguiti  al  principale  pontefice  Pietro, a  cui  furono  date  le  chiavi  del  regno  del  cielo  dalla   mia  Verità, col  dirgli:<<O  Pietro, io  ti  do  le  chiavi  del  regno  del  cielo, e  cui  tu  scioglierai  in  terra  sarà  sciolto  in  cielo, e  cui  tu  legherai  in  terra  sarà  legato  in  cielo>>(Mt 16,19).

         Sta  attenta, carissima  figliuola , poiché  manifestandoti  l’eccellenza  delle  virtù  di  costoro, io  ti  mostrerò  più  pienamente  la  dignità  nella  quale  ho  posto  i  miei  ministri. Questa  è  la  chiave  del  sangue   dell’Unigenito  mio  Figliuolo. Essa  disserrò  la  via  eterna, che  da  gran  tempo  era  stata   chiusa  per  il  peccato  d’Adamo. Ma  dopo  che  io  vi  donai  la  mia  Verità, il  Verbo  Unigenito  mio  Figliuolo, che  sopportò  morte  e  passione, egli  con  la  sua  morte  distrusse  la  vostra  morte, facendovi  un  bagno  col  suo  sangue. Sicché  il  suo  sangue  e  la  sua  morte  disserrano  la  via  eterna, in  virtù  della  mia  natura  divina, unita  con  la  natura  umana.

         A  chi  lasciò  le  chiavi  di  questo  sangue? Al  glorioso  apostolo  Pietro  e  a  tutti  gli  altri, che  sono  venuti  e  verranno, di  qui  all’ultimo  dì  del  giudizio, cosicché  tutti  hanno  e  avranno  quella  medesima  autorità  che  ebbe  Pietro.

         Per  nessun  loro  difetto  diminuisce  questa  autorità, né  si  toglie  la  perfezione  del  Sangue, né  ad  alcun  altro  sacramento, perché  già  ti  dissi  che  questo  Sole  non  si  lorda  per  nessuna  immondezza, né  perde  la  sua  luce  per  le  tenebre  del  peccato  mortale  che   fossero  in  colui  che  lo  amministra, o  in  colui  che  lo  riceve. La  sua  colpa  non  può  causare  nessuna  lesione  ai  sacramenti  della  santa  Chiesa, né  diminuire  la  loro  virtù; però  diminuisce  la  grazia  e  cresce  la  colpa  in  colui  che   l’amministra, ed  in  colui  che  li  riceve  indegnamente.

         Così  il  Cristo  in  terra, che  è  il  Sommo  Pontefice, tiene  le  chiavi  del  Sangue, come  io  già  te  lo  manifestai  sotto  una  immagine, volendoti  mostrare  quanta  riverenza  i  secolari  devono  avere  a  questi  ministri, buoni  o  cattivi  che  siano, e  quanto  mi  dispiace  l’irriverenza.

         Io  ti  proposi  il  corpo  mistico  della  santa  Chiesa  sotto  forma  di  cantina, nella  quale  sta  il  sangue   dell’Unigenito  mio  Figlio, da  questo  sangue  hanno  valore  e  vita  tutti  i  sacramenti. Alla  porta  di  questa  cantina  sta  Cristo  in  terra, a  cui  è  commesso  di  somministrare  il  sangue: a  lui  spetta   di  assegnare  i  ministri  che  l’aiutino  a  distribuirlo  per  tutto  il  corpo  della  religione  cristiana. Chi  è  accettato  e  unto  da  lui, è  ministro; altri  no.

         Da  lui  esce  tutto  l’ordine  clericale, e  tutti  i  ministri  vengono  messi, ciascuno  nel  suo  ufficio, ad  amministrare  questo  glorioso  sangue. E  come  egli  ha  posti  quali  suoi  aiutanti, così  a  lui  tocca  correggere  i  loro  difetti. Così  deve  essere, poiché , per  l’eccellenza  e  autorità  che  io  ho  loro  data, li  ho  tratti  via  dalla  servitù, cioè  dalla  soggezione  e  dalla  signoria  dei  capi  temporali. La  legge  civile  non  ha  da  far  niente  con  la  legge  loro  per  la  punizione, ma  solo  lo  può  colui  che  è  stato  posto  a  signoreggiare  e  ad  amministrare  nella  legge   divina. Essi  sono  i  miei  unti, e  perciò  dissi  per  mezzo  della  Scrittura:<<Non  vogliate  toccare  i  miei  cristi>> (Sal 104,15). L’uomo  che  se  ne  fa  punitore, non  potrebbe  cadere  in  una  rovina maggiore.

Nota. S. Gregorio I, Magno, fu  papa  dal  590 – 604;S. Silvestro  I  pontificò  dal  314 – 335.

Capitolo  119

Eccellenza, virtù  e opere  sante  dei  ministri  virtuosi  e  santi; come  essi  si  rassomiglino  al  sole. La  loro  correzione  verso  i  sudditi.

        Per  dare  ora  un  poco  di  refrigerio  all’anima  tua, mitigherò  il  tuo  dolore, cagionato  dalle  tenebre  di  questi  miserabili  cristiani, col  parlarti  della  vita  santa dei  miei  ministri. Io  ti  dissi  che  hanno  la  condizione  del  sole; con  l’odore  delle  loro  virtù  tu  mitigherai  il  fetore  degli  altri, e  con  la  loro  luce, le  tenebre  di  quelli. Anzi  voglio  che  con  questa  luce  tu  conosca  meglio  le  tenebre  e  i  difetti  dei  ministri  indegni, di  cui  ti  ho  già  parlato.

Apri  l’occhio  dell’intelletto, fissalo  in  me, sole  di  giustizia, e  vedrai  i  gloriosi  ministri, i  quali  avendo  ministrato  me  che  sono  il  sole, hanno  preso  la  perfezione  del  sole, come  ti  dissi  di  Pietro, principe  degli  apostoli, che  ricevé  le  chiavi  del  reame  del  cielo. Così  ti  dico  degli  altri, che  nel  giardino  della  santa  Chiesa  hanno  ministrato  il  lume, che  è  il  corpo  e  il  sangue  dell’Unigenito  mio  Figliuolo(vero  Sole, non  diviso  ma  unito) e  tutti  i  sacramenti  della  santa  Chiesa, i  quali  hanno  validità  e  danno  vita  in  virtù  del  Sangue. Ogni  ministro  è  posto  in  diverso  grado, secondo  il  suo  stato, per  dispensare  la  grazia  dello  Spirito  Santo. Con  che  la  dispensano? Col  lume  della  grazia, tratta  da  questo  vero  lume.

          Questo  lume  è  egli  solo? No, perché  il  lume  della  grazia  non  può  essere  solo  né  diviso: si  ha  tutto, o  per  niente. Chi  sta  in  peccato è subito  privato  del  lume  della  grazia; e  chi  ha  la  grazia, ha  l’occhio  del  suo  intelletto  illuminato  per  conoscere  me, che  gli  ho  data  la  grazia  e  la  virtù  che  conserva  la  grazia. Con  quel  lume  conosce  la  miseria  del  peccato  e  la  cagione  del  peccato, che  è  l’amor  proprio  sensitivo. Perciò  l’odia, e  odiandolo  riceve  il  calore  della  divina  carità  nel  suo  affetto, poiché  l’affetto  va  dietro  all’intelletto. Riceve  anche  il  colore  di  questo  glorioso  lume, seguendo  la  dottrina  della  mia  dolce  Verità; così  la  sua  memoria  si  riempie  del  ricordo  del  benefizio  avuto  dal  Sangue.

          Sicché  tu  vedi  come  egli  non  possa  ricevere  il  lume  senza  ricevere  il  caldo  e  il  colore, perché  sono  uniti  insieme, e  sono  una  medesima  cosa. E  così  non  può  avere  una  potenza  disposta  a  ricevere  me, vero  Sole, senza  che  tutte  e  tre  siano  ordinate  e  raccolte  nel  mio  nome.

          Infatti, appena  che  l’occhio  dell’intelletto  si  eleva  col  lume  della  fede  sopra  il  vedere  sensitivo  per  specchiarsi  in  me, l’affetto  gli  va  dietro, amando  quello  che  l’intelletto  ha  visto  e  conosciuto, mentre  la  memoria  si  empie  di  quello  che  l’affetto  ama. E  appena  che  esse  sono  ben  disposte, l’uomo  viene  a  partecipare  di  me, Sole, che  illumino  con  la  mia  potenza, con  la  sapienza  dell’Unigenito  mio  Figlio, e  con  la  clemenza  del  fuoco  dello  Spirito  Santo.

          Così  essi  prendono  la  perfezione  del  sole, poiché, essendo  vestiti  di  me  ed  avendo  le  potenze  dell’anima  piene  di  me, vero  Sole, fanno  come  il  sole. Esso  scalda  e  illumina, e  col  suo  caldo  fa  germinare  la  terra; così  fanno  questi  miei  dolci  ministri, eletti, unti, e  messi  nel  corpo  mistico  della  santa  Chiesa  per  dispensare  me, Sole, cioè  il  Corpo  e  il  Sangue  dell’Unigenito  mio  Figlio, insieme  agli  altri  sacramenti, che  hanno  vita  da  questo  Sangue.

          Essi  lo  amministrano  corporalmente  e  spiritualmente, dando  lume  nel  corpo  mistico  della  santa  Chiesa: lume  di  scienza  soprannaturale  col  colore  di  vita  onesta  e  santa, seguendo  la  dottrina  della  mia  Verità; e  amministrano  ancora  il  caldo  del ardentissima  carità.

          Col  loro  caldo  fanno  germinare  le  anime  sterili, illuminandole  col  lume  della  scienza; con  la  vita  santa  e  ordinata  cacciano  le  tenebre  dei  peccati  mortali  e  della  molta  infedeltà, riordinano  la  vita  di  coloro  che  vivono  disordinatamente  in  tenebre  di  peccato  ed  in  freddezza, per  esser  privi  della  carità. Sono  un  vero  sole, avendo  presa  la  perfezione  del  sole  da  me, vero  Sole; poiché  per  affetto  d’amore  essi  sono  una  cosa  sola  con  me, come  ti  dissi  in  altro  luogo.

 

Ognuno, secondo  lo  stato  al  quale  l’ho  eletto, ha  dato  lume  nella  santa  Chiesa: Pietro  con  la  predicazione, con  la  dottrina  e  in  ultimo  col  sangue; Gregorio  con  la  scienza, con  la  santa  Scrittura, e  con  lo  specchio  della  vita; Silvestro  contro  gli  infedeli  e  massimamente  con  le  dispute  e  con  le  prove  che  fece  della  santissima  fede  in  parole  e  in  fatti, ricevendo  la  virtù  da  me.

          Se  ti  volgi  ad  Agostino, al  glorioso  Tommaso, a  Girolamo  e  agli  altri, vedrai  quanto  lume  hanno  gettato  su  questa  Sposa, estirpando  gli  errori, quasi  fossero  lucerne  poste  sul  candelabro, con  vera  e  perfetta  umiltà. E  come  affamati  del  mio  onore  e  della  salute  delle  anime, mangiavano  con  diletto  questo  cibo  sulla  mensa  della  santissima  croce. I  martiri  col  sangue, che  gettava  odore  al  mio  cospetto, con   l’odore  del  sangue  e  delle  virtù, e  col  lume  della  scienza, facevano  frutto  in  questa  Sposa, dilatavano  la  fede, cosicché  i  tenebrosi  venivano  alla  luce, e  riluceva  in  essi  il  lume  della  fede. I  prelati, posti  nello  stato  di  prelazione  dal  Cristo  in  terra, mi  facevano  sacrificio  di  giustizia  con  santa  e  onesta  vita; in  essi  e  nei  loro  sudditi  riluceva  la  margherita  della  giustizia, con  vera  umiltà, con  ardentissima  carità, e  col  lume  della  discrezione.

          Riluceva  principalmente  in  essi, perché  rendevano  giustamente  a  me  il  mio  debito, dando  gloria  e  lode  al  mio  nome; a  se  stessi  invece  rendevano  odio  e  dolore  della  propria  sensualità, spregiando  i  vizi  e  abbracciando  le  virtù  con  la  carità  mia  e  del  prossimo.

          Con  umiltà  conculcavano  la  superbia, e  andavano  come  angeli  alla  mensa  dell’altare; celebravano  con  purità  di  cuore  e  di  corpo  e  con  sincerità, arsi  nella  fornace  della  carità. E  poiché  avevano  fatta  giustizia  prima  su  se  stessi, perciò  facevano  giustizia  sui  sudditi, volendoli  veder  vivere  virtuosamente; li  correggevano  senza  timore  servile, perché  non  attendevano  a  loro  medesimi, ma  solo  all’onore  mio  e  alla  salute  delle  anime, seguendo  come  buoni  pastori  il  buon  Pastore, mia  Verità, che  io  diedi  per  governare  voi  pecorelle, e  volli  che  donasse  la  sua  vita  per  voi.

          Costoro  hanno  seguito  le  sue  vestigia, e  perciò  corressero  e  non  lasciarono  imputridire  i  membri  per  mancanza  di  correzione; ma  caritativamente  correggevano  con  l’unguento  della  benignità, e  bruciando  con  l’asprezza  del  fuoco  la  piaga  del  difetto  con  la  riprensione  e  con  la  penitenza, poco  o  molto, secondo  la  gravezza  del  peccato. E  per  il  correggere  e  dire  la  verità  non  curavano  la  morte.

          Questi  erano  veri  ortolani, che  con  sollecitudine  e  con  santo  timore  svellevano  le  spine  dei  peccati  mortali  e  piantavano  piante  odorifere  di  virtù. Perciò  i  sudditi  vivevano  in  santo  e  vero  timore, e  crescevano  come  fiori  odorosi  nel  corpo  mistico  della  santa  Chiesa. I  prelati  correggevano  senza  timore  servile, perché  ne  erano  privi. E  siccome  in  loro  non  vi  era  colpa  di  peccato, perciò  osservavano  la  santa  giustizia, riprendendo  virilmente  e  senza alcun timore.

          Questa  era  ed  è  quella  margherita  rilucente, che  dava  pace  e  lume  alle  menti  delle  creature, le  faceva  stare  in  santo  timore, e  teneva  uniti  i  cuori. Ora  io  voglio  che tu  sappia  che  per  nessun’altra  causa  è  venuta  tanta  tenebra  e  divisione  nel  mondo  tra  secolari  e  religiosi, tra  chierici  e  pastori  della  santa  Chiesa, se  non  perché  il  lume  della  giustizia  è  mancato  ed  è  venuta  la  tenebra  della  ingiustizia.

Nessuno  Stato  si  può  conservare  nella  legge  civile  e  nella  legge  divina  in  grazia  senza  la  santa  giustizia; perché  colui  che  non  è  corretto  e  non  corregge  fa  come  il  membro  che  è   cominciato  a  imputridire: se  il  cattivo  medico  vi  pone  subito  l’unguento  solo, e  non  brucia  la  piaga, tutto  il  corpo  imputridisce  e  si  corrompe. Così  il  prelato, e  gli  altri  signori  che  hanno  sudditi, vedendo  il  membro  del  loro  suddito  essere  imputridito  per  la  puzza  del  peccato  mortale, se  vi  pongono  solo  l’unguento  della  lusinga  senza  la  riprensione, non  guariscono  mai, ma  guasteranno  le  altre  membra, che  gli  sono  dintorno, e  sono  legate  in  uno  stesso  corpo  ad  uno  stesso  pastore. Ma  se  il  prelato  sarà  vero  e  buon  medico  di  quelle  anime, come  erano  questi  gloriosi  pastori, non  darà  l’unguento  senza  il  fuoco  della  riprensione. E  se  il  membro  fosse  pure  ostinato  nel  suo  mal  fare, lo  toglierà  dalla  comunità, acciò  che  non  infetti  gli  altri  con  la  puzza  del  peccato  mortale.

        Ma  essi  non  fanno  oggi  così; anzi  fanno  vista  di  non  vedere. E  sai  tu  perché? Perché  in  loro  vive  la  radice  dell’amor  proprio, da  cui  traggono  il  perverso  timore  servile. Per  timore  di  perdere  lo  Stato, le  cose  temporali  o  la  prelazione, non  correggono, ma  fanno  come  accecati, e  per  questo  non  conoscono  in  che  modo  si  conservi  lo  Stato; ché  se  vedessero  come  si  conserva  con  la  santa  giustizia, la  manterrebbero. Ma  poiché  sono  privi  del  vero  lume, non  lo  conoscono; credendolo  conservare  con  la  ingiustizia, non  riprendono  i  difetti   dei  loro  sudditi, ma  sono  ingannati  dalla  loro  passione  sensitiva  e  dall’appetito  della  signoria  o  della  prelazione.

          Inoltre  non  correggono, perché  essi  sono  in  quei  medesimi  difetti, o  anche  maggiori. Si  sentono  presi  nella  colpa, e  perciò  perdono  l’ardire  e  la  sicurezza; legati  dal  timore  servile, fanno  vista  di  non  vedere. E  se  pure  vedono, non  correggono; anzi  si  lasciano  legare  con  le  parole  lusinghevoli, e  con  molti  doni, ed  essi  stessi  trovano  le  scuse  per  non  punirli. In  costoro  si  compie  la  parola  che  disse  la  mia  Verità: <<Costoro  sono  ciechi  e  guide  di  ciechi; se  un  cieco  guida  l’altro, ambedue  cadono  nella  fossa>>(Mt  15,14; Lc  6,39).

          Non  hanno  fatto   né  fanno  così  quelli  che  sono  stati  o  sono  miei  dolci  ministri, i  quali, come  ti  dissi, hanno  la  proprietà  e  condizione  del  sole.

          Sono  essi  un  vero  sole, poiché  in  loro  non  vi  è  tenebra  di  peccato  né  ignoranza, perché  seguono  la  dottrina  della  mia  Verità; né  sono  tiepidi, poiché  ardono  nella  fornace  della  mia  carità; sono  spregiatori  delle  grandezze, stati  e  delizie  del  mondo, e  perciò  non  temono  di  correggere. Chi  non  appetisce  la  signoria  o  la  prelazione, non  teme  di  perderla, ma  riprende  virilmente; e  chi  non  si  sente  la  coscienza  ripresa  dalla  colpa, non  teme.

Capitolo 126

Come   nei  suddetti  iniqui   ministri  regna  il  peccato  della  lussuria.

        Ti  ho  dato, o  carissima  figliuola, un  accenno   intorno  alla   vita  di  quelli  che  vivono  nella  santa  religione, e  ti  ho  detto  quanta  sia  la  miseria  con  cui  stanno  nell’Ordine   con  veste  di  pecora , mentre  sono  lupi  rapaci. Ora  ti  ritorno  ai  chierici  e  ai  ministri  della  santa  Chiesa, per  lamentarmi  con te  dei  loro  difetti, oltre  a  quelli  che  io  ti  ho  esposto, mostrandoti  nel  passato  le  tre  colonne  dei  vizi  e  lagnandomi  con  te  di  loro; cioè  della  immondezza, della  gonfia  superbia, e  della  cupidigia; poiché  per  cupidigia  vendono  le  grazie  dello  Spirito  Santo.

         Di  questi  tre  vizi  l’uno  dipende  dall’altro, ed  il  fondamento  di  queste  tre  colonne  è  l’amor  proprio. Esse, finché  stanno  ritte (poiché  solo  la  forza  dell’amore  alla  virtù   può  farle  andare  a  terra), sono  sufficienti  a  tenere  l’anima  ferma  e  ostinata  in  ogni  altro  vizio. Infatti, come  ti  ho  detto  spesso, tutti  i  vizi  nascono  dall’amor  proprio, perché  dall’amor  proprio  nasce  il  principale  vizio, che  è  la  superbia, e  l’uomo  superbo  è  privato  della  dilezione  della  carità; dalla  superbia  poi  si  giunge  alla immondezza  e  all’avarizia. Così  s’incatenano  essi  stessi  con  la  catena  del  diavolo.

         Ora, carissima  figliuola, guarda  con  quanta  miseria  d’immondezza  essi  lordano  il corpo  e  la  loro  mente. . .

         Alcuni  sono  tanto  demoni, che  non  solo  non  hanno  riverenza  al  Sacramento  e  non  tengono  cara  l’eccellenza, nella  quale  li  ho  posti  per  mia  bontà, ma  come  se  fossero   del  tutto  fuori  di  mente, e  per  l’amore  che  hanno  ad  alcune  creature  da  cui  non  possono  avere  quel  che  desiderano, fanno  malie  con  incantesimi   di  demoni  e  col  Sacramento  stesso, che  vi  è  dato  in  cibo  di  vita, per  compiere  i  loro  miserabili  e  disonesti  pensieri, e  mandare  ad  effetto, le  loro  volontà.

         Invece  de  pascere  l’anima  e  il  corpo  di  quelle  pecorelle, delle  quali  devono  aver  cura, le  tormentano  in  questi  ed  altri  modi  su  cui  passerò  sopra, per  non  darti  più  pena. E  come  hai  veduto, le  fanno  uscire  di  memoria, venendo  loro  voglia  di  fare  quello  che  non  vorrebbero, a  causa  di  quanto  ha  loro  fatto  quel  demonio  incarnato; anzi, per  la  resistenza  che  fanno  a  se  stesse, ricevono  gravissime  pene  nel  corpo. Chi  è  che  ha  fatto  questo  e  molti  altri  miserabili  mali, che  tu  conosci  senza  che  io  te  li  narri? La  disonestà  e  la  loro  mirabile  vita. O  carissima  figliuola, costoro  danno  con  tanta  malvagità  quella  Carne  di  Cristo, che  è  elevata  su  tutti  i  cori  degli  angeli, per  l’unione  con  la  mia  natura  divina.

         O   abominevole  e  miserabile  uomo, non  uomo  ma  animale, tu  dai  alle  meretrici, e  anche  peggio, quella  carne  che  fu  unta  e  consacrata  a  me! Non  pensi  che  sul  legno  della  santissima  croce  il  Corpo  piagato  dell’Unigenito  mio  Figlio  tolse  via  alla  tua  carne, e  a  quella  di  tutto  il  genere  umano, quella  piaga  che  Adamo  aveva  fatto  col  suo  peccato? O  misero! Egli  ha  fatto   onore  a  te, e  tu  gli  fai  vergogna! Egli  t’ha  sanate  le  piaghe  col  suo  sangue, e  ancora  di  più, facendoti  suo  ministro, e  tu  lo  percuoti  con  lascivi  e  disonesti  peccati! Il  pastore  buono  ha  lavato  le  pecorelle  nel  suo  sangue, e  tu  gli  lordi  quelle  che  sono  pure, fai  il  possibile  di  metterle  nel  letame! Tu  devi  essere  specchio  d’onestà, e  tu  sei  specchio  di  disonestà.

         Hai  indirizzate  tutte  le  membra  del  tuo  corpo  a  opere  miserabili, e  fai  il  contrario   di  quello  che  ha  fatto  per  te  la  mia  Verità. Io  sopportai  che  gli  fossero  fasciati  gli  occhi, per  illuminare  te; e  tu  con  gli  occhi  tuoi  lascivi  getti  saette  avvelenate  nell’anima  tua  e  nel  cuore  di  coloro  che   guardi  con  tanta  miseria. Io  sopportai  che  egli  fosse  abbeverato  di  fiele  e  di  aceto, e  tu, come  animale  disordinato, ti  diletti  di  cibi  delicati, facendoti  dio  del  tuo  ventre. Nella  tua  lingua  stanno  disoneste  e  vane  parole; invece  tu  sei  tenuto  con  questa  lingua  ad  ammonire  il  prossimo, ad  annunziare  la  mia  parola  e  a  dire  l’Uffizio  col  cuore  e  con  la  lingua  tua. Io  non  sento  altro  che  fetore, poiché  tu  giuri  e  spergiuri  come  se  fossi  un  barattiere, e  spesse  volte  tu  mi  bestemmi.

         Io  sopportai  che  gli  fossero  legate  le  mani, per  sciogliere  te  e  tutto  il  genere  umano  dal  legame  della  colpa, invece  tu  laidamente  eserciti  in  miserabili  toccamenti  le   tue  mani, unte  e  consacrate  per  amministrare  il  santissimo  Sacramento. Tutte  le  tue  operazioni, che  sono  significate  dalle  mani, sono  corrotte  e  indirizzate  a  servizio  del  demonio. O  misero! E  dire  che  io  t’ho  posto  in  tanta  dignità, perché  tu  serva  solamente  me, tu  ed  ogni  altra  creatura  ragionevole!

         Io  volli  che  gli  fossero  confitti  i  piedi, facendo  scala   del  suo  Corpo; e  quel  costato, che  fu  aperto  perché  vedeste  il  segreto  del  cuore, io  ve  l’ho  dato  come  una  cantina  aperta, in  cui  voi  possiate  vedere  e  gustare  l’amore  ineffabile  che  ho  per  voi, trovando  e  vedendo  la  mia  natura  divina  unita  con  la  vostra   natura  umana, ivi  tu  vedi  che  del  Sangue  che  tu  ministri  e  dispensi  io  ho  fatto  un  bagno  per  lavare  le  vostre  iniquità; e  tu  del  tuo  cuore  hai  fatto  il  tempio  del  demonio.

         Il  tuo  affetto, che  è  significato  dei  piedi, non  contiene  né  offre  a  me  altro  che  puzza  e  vituperio; i  piedi  del  tuo  affetto  non  portano  l’anima  tua  che  nei  luoghi  del  demonio. Sicché, con  tutto  il  tuo  corpo  tu  percuoti  il  Corpo  del  Figliuolo  mio, facendo  il  contrario  di  quello  che  Egli  ha  fatto, e  di  quello  che  tu  ed  ogni  altra  creatura  siete tenuti  ed  obbligati  a  fare. Gli  strumenti  del  tuo  corpo  hanno  ricevuto  in male il suono, perché  le  tre  potenze   della  tua  anima  sono  raccolte  nel  nome  del  demonio, mentre  dovresti  raccogliere  nel  nome  mio.

         La  tua  memoria  dovrebbe  essere  piena  dei  benefizi  che  hai  ricevuto  da  me; mentre  ella  è  piena  di  disonestà  e  di  molti  altri  mali. L’occhio  dell’intelletto  dovresti  porlo  col  lume  della  fede  in  Cristo  crocifisso, Unigenito  mio  Figliuolo, di  cui  tu  sei  ministro; e  tu  gli  hai  posto  dinanzi  delizie, dignità  e  ricchezza  di  mondo, con  misera  vanità. L’affetto  tuo   dovrebbe  amare  solo  me, senza  intermediari; e  tu  l’hai  posto miseramente  nell’amare  le  creature  ed  il  tuo  corpo; anzi  ami  i  tuoi  animali  più  di  me. E  chi  è  che  me  lo  mostra? L’impazienza  che  hai  verso  di  me, quando  io  ti  togliessi  la  cosa  che  molto  ami, e  il  dispiacere  che  provi  verso  il  prossimo, quando  paresse  di  ricevere  qualche  danno  temporale  da  lui. Odiandolo  e  bestemmiandolo, tu  ti  parti  dalla  carità  mia  e  sua. O  sventurato! Sei  stato  fatto  ministro  del  fuoco  della  mia  divina  carità, e  tu, per  i  tuoi  disordinati  diletti  e  per  il  piccolo  danno  che  ricevi  dal tuo  prossimo, la  perdi.

Capitolo 127

“. . . Non  ha  ricomprato  con  oro  o  argento, ma  col  sangue, per  larghezza  di  amore, una  metà  del  mondo, ma  tutto  il  genere  umano, passato, presente  e  futuro.

Non  vi  è  amministrato  Sangue, senza  avervi  insieme  amministrato  e  dato  il  fuoco, perché  vi  ha  dato  il  sangue  per  fuoco  d’amore. Né  vi  ha  dato  il  fuoco  o  il  Sangue  senza  la  mia  natura  divina, perché  perfettamente  unì  in  sé  la  natura  divina  con  la  natura  umana; e  di  questo  Sangue, unito  alla  Divinità  per  larghezza  d’amore, io  ho  fatto  ministro  te  misero. E  tu, o  misero, per  la  tua  avarizia  e  cupidigia, ti  sei  ridotto  in  tanta  strettezza  verso  quello  che  il  mio  Figliuolo  ha  acquistato  sulla  croce, cioè  le  anime  ricomprate  con  tanto  amore, e  verso  quello  che Egli  ti  ha  dato  col  farti  ministro  del  Sangue, che  ti  metti  a  vendere  la  grazia  dello  Spirito  Santo, volendo  che  i  tuoi  sudditi  ricomprino  da  te  quello  che  tu  hai  ricevuto  in  dono.

O  miserabile, dove  sono  i  figliuoli  delle  vere   e  dolci  virtù, che  dovresti  avere? Dove  è  l’infuocata  carità  con  la  quale  dovresti  amministrare. Dove  è  il  desiderio  ansioso  del  mio  onore  e  della  salute  delle  anime? Dove  è  il    profondo  dolore  che  dovresti  sentire  nel  vedere  il  lupo  infernale  portar  via  le  tue  pecorelle? Non  vi  è  in  te, perché  nel  tuo   cuore  stretto  non  c’è  amore  né  di  me, né  di loro: tu  ami  solamente  te  stesso  d’amore  sensitivo, e  con  questo  amore  avveleni  te  e  gli  altri.

Tu  sei  quel  demonio  infernale  che  le  inghiottisci  con  disordinato  amore; altro  non  brama  la  tua  gola, e  perciò  non  ti  curi  che  il  demonio  invisibile  se  le  porti  via; tu, vero  demonio  visibile, ti  sei  fatto  strumento  per  mandarle  all’inferno.

. . . i  tuoi  diletti  devono  essere  i  poveri  e  il  visitare  gli  infermi, sovvenendo  loro  nei  bisogni  spirituali  e  temporali, poiché  per  altro  non  ti  ho  fatto  ministro  e  data  tanta  dignità.

. . .Ma  se  il  Vicario  del  mio  Figlio  s’avvede  dei  difetti  dell’uno  e  dell’altro, li  deve  punire: tolga  all’uno  il  suo  ufficio  se  non  si  corregge  e  non  emenda  la  sua  mala  vita; e  a  colui  che  compra, sarebbe  bene  che  gli  desse  in  cambio  la  prigione, cosicché  egli  sia  corretto  del  suo  difetto, gli  altri  ne  prendano  esempio  e  temano, e  nessuno  si  metta  più  a  farlo. Se  Cristo  in  terra  fa  questo, fa  il  suo  dovere; e  se  non  lo  fa, non  resterà  impunito  questo  peccato, quando  gli  converrà  rendere  ragione  dinanzi  a  me  delle  sue  pecorelle.

         Credimi,  figliuola mia, oggi  non  si  fa  più  così; perciò  è  caduta  la   mia  Chiesa  in  tanti  difetti  e  abominazioni.

         Non  guardano  ad  altro  che  a  grandezza  di  stato, a  gentilezza, ricchezza, e  che  sappiano  parlare  molto  elegante. E, peggio  ancora, talvolta  si  allegherà  in  concistoro  che  egli  ha  bella  persona. Odi  cose  di  demoni! Mentre  essi  dovrebbero  cercare  l’adornamento  e  la  bellezza  delle  virtù, guardano  piuttosto  alla  bellezza  del  corpo! Devono  cercare  gli  umili  poverelli, che  per  umiltà  fuggono  le  prelazioni, invece  di  prendere  coloro  che  le  cercano  con  vanità  e  gonfia  superbia.

         Mirano  alla  scienza. La  scienza  in  sé  è  buona  e  perfetta, quando  lo  scienziato  ha  la  scienza  insieme  con  la  buona  e  onesta  vita  e  con  vera  umiltà. Ma  se  la  scienza  è  nel  superbo, in  chi  è  disonesto  e  scellerato  nella  vita, essa  è  un  veleno, e  della Scrittura  egli  non  intende  che  il  senso  letterale; lo intende  in  tenebre, perché  ha  perduto  il  lume  della  ragione  ed  ha  offuscato  l’occhio  dell’intelletto.

         Con  questo  lume, e  con  la  luce  soprannaturale, fu  chiarita  e  intesa  la  santa  Scrittura, come  ti  dissi  più  a  lungo  in  altro  luogo. Sicché  tu   vedi  come  la  scienza  sia  buona  in  sé, ma  non  in  colui   che  non  l’usa  come  la  dovrebbe  usare; anzi  gli  sarà  come  un  fuoco  vendicatore, se  non  correggerà  la  sua  vita. E  perciò  i  superiori  devono  guardare  più  alla  santa  e  buona  vita, che  allo  scienziato  il  quale  guidi  male  la  sua  vita. Purtroppo  essi  fanno  il  contrario; anzi  reputano  matti  e  spregiano  i  buoni   e  virtuosi, che  siano  grandi  nella  scienza; e  schivano  i  poverelli, perché  questi  non  hanno  niente  da  donare  loro.

            Così  tu  vedi  come  abbondi  la  menzogna  nella  mia  casa, che  deve  essere  casa  d’orazione, in cui  ha  da  rilucere  la  margherita  della  giustizia, il  lume  della  scienza  con  vita  onesta  e  santa, e  con  l’odore  della  verità. I  miei  ministri  devono  possedere  la  povertà  volontaria, conservare  con  vera  sollecitudine  le anime, e  trarle  dalle  mani  dei  demoni; invece  appetiscono le  ricchezze. E  si  sono  presa  tanta  cura  delle  cose  temporali, che  hanno  abbandonato  del  tutto  la  cura  delle  spirituali, e  non  attendono  altro  che  al  gioco, al  ridere, ad  accrescere  e  moltiplicare  le  sostanze  temporali.

 . . .  Questo  è  spiacevole  a  me  e  di  danno  alla  santa  Chiesa. Tali  cose  devono  lasciare  ai  mondani; cosicché  un  morto  seppellisca  l’altro, cioè, coloro  che  sono  posti  a  governare  le  cose  temporali, le  governino  loro.

         Perché  ti   dissi <<l’un  morto  seppellisca  l’altro?>>. Ti  rispondo  che <<morto>>  s’intende  in  due  modi: l’uno  è  quando  l’uomo  amministra  e  governa  le  cose    temporali  con  colpa  di  peccato  mortale, per  disordinato  affetto  e  sollecitudine; l’altro  modo  significa  per  questo  è  un  ufficio  del  corpo, trattandosi  di  cose  manuali. Ora  il  corpo  è  cosa  morta, non  ha  vita  in  sé, se  non  in  quanto  la  riceve  dall’anima, e  ne  partecipa  finché  l’anima  sta  in  lui, non  più.

         Dunque  questi  miei  unti, che  devono  vivere  come  angeli, hanno  da  lasciare  le  cose  morte  ai  morti, ed  essi  governare  le  anime, che  sono  cosa  viva  e  non  muoiono  mai  quanto  all’essere, governandole  e  amministrando  loro  i  sacramenti, i  doni  e  le  grazie  dello  Spirito  Santo, pascendole  del  cibo  spirituale  con  buona  e  santa  vita. A  questo  modo  la  mia  casa  sarebbe  veramente  casa  d’orazione, abbondando  delle  loro  grazie  e  virtù. E  poiché  essi  non  lo  fanno, ma  fanno  il  contrario, posso  dire  che  essa  è  divenuta  spelonca  di  ladroni, perché  si  sono  fatti  mercanti  per  avarizia, vendendo  e  comprando, come  ho  detto.

Capitolo 145

Provvidenza che Dio usa verso coloro che sono nella carità perfetta.

         Qualche volta uso un piacevole inganno, per conservarli nella virtù dell’umiltà. Faccio loro addormentare il sentimento, cosicché parrà che nella volontà e nel sentimento non avvertano veruna cosa avversa, quasi come persone addormentate. Non dico persone morte, poiché il sentimento dorme nell’anima perfetta, ma non muore. Infatti, appena l’uomo allentasse l’esercizio e il fuoco del santo desiderio, quello si desterebbe più forte che mai. Nessuno se ne fidi, sia pure perfetto quanto si vuole: gli bisogna di stare nel santo timore di me; ché molti per fidarsi di sé stessi, cadono miserabilmente; altrimenti non cadrebbero. Dico dunque che in loro pare che dormano i sentimenti, e che sopportando grandi pesi, non sentano. A mano a mano però che andranno avanti, risentiranno talora se stessi in qualche piccola cosa, che sarà un niente (tanto che poi se ne faranno beffe), per siffatto modo, che ne resteranno stupefatti. Questo lo fa la mia provvidenza, perché l’anima cresca e cammini nella valle dell’umiltà. Allora ella prudentemente si leva sopra di sé, e non si perdona; ma con odio e rimprovero castiga il sentimento; e questo castigare è un farlo addormentare più fortemente.

         Altre volte provvedo ai grandi miei servi col dar loro uno stimolo, come feci al dolce apostolo Paolo, vaso d’elezione. Aveva ricevuto la dottrina della mia Verità nell’abisso di me, Padre eterno; e nondimeno gli lasciai lo stimolo e l’impugnazione della sua carne(2 Cor 12, 7). Non potevo io fare che Paolo e gli altri, in cui lascio lo stimolo in diversi modi, non l’avessero? Sì. Perché mai lo fa la mia provvidenza? Per farli meritare, per conservarli nel conoscimento di sé, da cui traggono la vera umiltà, e per farli pietosi, non crudeli verso gli altri, cosicché siano compassionevoli verso le loro fatiche.

        Infatti, sentendo essi la passione, hanno molta più compassione ai tribolati e ai passionati, che se non l’avessero. Crescono nell’amore e corrono a me, tutti unti di vera umiltà e arsi nella fornace della divina carità. Con questi mezzi e con infiniti altri giungono a perfetta unione, come ti dissi. Stanno in tanta unione e conoscimento della mia bontà che, pur essendo nel corpo mortale, gustano il bene immortale; stando nel carcere del corpo, par loro di essere fuori; e, perché mi hanno molto conosciuto, molto mi amano. Ora chi molto ama, molto si duole; perché, cui cresce amore, cresce dolore. . .

 Una volta per sempre, anche in questo libro e tutto quello che si potesse scrivere o leggere in una vita intera (che non bastasse mai) si arriva dove dice il Padre celeste stesso nel:<<Quello che ti ho detto è meno che l’odore d’uno sprizzo d’acqua al paragone del mare>>. E gli uomini pensano di aver scoperto chi sa cosa, anche non conoscendo niente di tutti ciò? Nella nostra superbia che acceca.

Capitolo146

“Ti ho spiegato ed hai veduto, come io provvedo alle mie creature, in generale ed in particolare. Quello che ti ho detto è meno che l’odore d’uno sprizzo d’acqua al paragone del mare. Attraverso i vari stati, ti ho parlato prima del Sacramento, mostrandoti come io provveda a farne crescere la fame nell’anima, dando loro la grazia per mezzo del divino servitore, che è lo Spirito Santo. Come provveda all’iniquo, per ridurlo in stato di grazia; all’imperfetto, per farlo giungere a perfezione; al perfetto, per aumentare e crescerne la perfezione, poiché voi siete sempre atti a crescere; e poi, fare che i miei servi siano intermediari buoni e perfetti tra l’uomo che è caduto in guerra, e me. Già ti dissi, se ben ricordi, che per mezzo dei miei servi io farei misericordia al mondo, e che col molto soffrire di essi riformerei la mia Sposa.

         Veramente questi si possono chiamare un altro Cristo crocifisso, Unigenito mio Figlio, perché hanno preso a fare il suo ufficio. Egli venne come mediatore, per levare la guerra e riconciliare in pace con me l’uomo, col molto soffrire, fino all’obbrobriosa morte della croce. Così costoro vanno avanti tormentati, facendosi mediatori con l’orazione, con la parola, con la buona e santa vita, ponendola come esempio dinanzi agli altri. Rilucono in essi le pietre preziose delle virtù insieme con la pazienza, portando e sopportando gli altrui difetti. ….

Capitolo 159

. . .  il  vero  obbediente  che  vive  in  un  Ordine  religioso

         Non  si  rattrista  che  dell’offesa, che  vede  fatta  a  me, suo  Creatore; la  sua  conversazione  è  con  quelli  che  mi  temono  in  verità. E, se  pure  conversa  con  quelli  che  sono  separati  dalla  mia  volontà, non  lo  fa  per  conformarsi  ai  loro  difetti, ma  per  sottrarli  alla  loro  miseria. Con  carità  fraterna, vorrebbe  porgere  loro  quel  bene , che  egli  ha  in  sé, vedendo  che  al  mio  nome  darebbe  più  lode  e  gloria  l’avere  molti  osservanti  della  Regola  dell’Ordine, oltre  se  stesso. Perciò  s’ingegna  di  chiamare  alla  virtù  religiosi  e  secolari, con  la  parola  e  con  l’orazione; in  qualunque  modo  possa, s’ingegna  di  trarli  dalle  tenebre  del  peccato  mortale.

         Sicché  le  conversazioni  del  vero  obbediente  sono  buone  e  perfette, sia  coi  giusti  come  coi  peccatori, a  causa  de  suo  affetto  ben  ordinato  e  della  sua  larghezza  di  carità  . . .

Capitolo 162

Per  quelli  che  vivono  tiepidamente  nella  religione,

            “. . . non  sono  perfetti, come  devono  essere, né  cattivi; poiché  conservano  la  loro  coscienza  senza  peccato  mortale, ma  stanno  in  tiepidezza  e  freddezza  di  cuore . . . le  sottile  differenze  di  osservanza  dell’Ordine, le   cerimonie  piuttosto  che  la  Regola, e  tendono  a  giudicare  quelli  che  vivono  nella  Regola, ma  con  meno  perfezione  le  cerimonie  delle  quali  essi  si  fanno  osservatori.

Come  rimedio per  uscire  da  questa  tiepidezza:

         Che  modo   ci  sarà  per  farli  uscire? Questo: prendano  le  legna  del  conoscimento  di  sé, con  odio  del  proprio  piacere  e  stima, e  le  mettano  nel  fuoco  della  mia  carità, sposando  di  nuovo, come  se  allora  entrassero  nell’Ordine, la  vera  obbedienza, con  l’anello  della  santissima  fede, e  non  dormano  più  in  questo  stato, che  è  molto  spiacevole  a  me  e  di  danno  loro. . . .”

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