Giovanni Migliara scultore Termini Imerese Sicilia
La Signora di Tutti i Popoli




















La STORIA di FEDE va raccontata sempre, poiché il CUORE umano è il motore che fa funzionare TUTTO - spento, diventato di ghiaccio crea solo guerre, morte, olocausto, sterminio, prepotenza. Non pensate che i ricchi non hanno bisogno di aiuto, a volte non sono amati proprio perché "non hanno bisogno più di nulla". Non è vero. Hanno bisogno di essere amati per se stessi.
Il Duomo di Termini Imerese
IL Duomo di Termini Imerese








L’Immacolata festeggiata a Termini Imerese
Termini Imerese archeologia
Termini Imerese – Palermo, Sicilia
Termini Imerese sotto Natale
Santuario di Termini Imerese
Alla pagina 540 della <<Storia della dominazione normanna in Italia e in Sicilia>> di Ferdinand Chalandon,  tradotto da Alberto Tamburrini; 2008 - Francesco Ciolfi, tipografo, Editore, Libraio, Cassino
Gli ebrei
Anche se sembra che gli ebrei non abbiano svolto un ruolo importante nel periodo della dominazione normanna, possiamo tuttavia constatare che in tutta la superficie del regno c’erano comunità israelitiche abbastanza importanti. Beniamino da Tudèle ci fornisce in proposito delle cifre interessanti.
Nel momento in cui attraversò il regno normanno:
	a Capua si contavano trecento famiglie ebree,
	a Napoli cinquecento,
	a Salerno seicento,
	ad Amalfi venti,
	a Melfi duecento,
	a Trani duecento, 
	a Taranto trecento,
	a Palermo millecento
Per altre vie sappiamo dell’esistenza di comunità ebree a
	Bari
	Termini Imerese
	Cosenza
Gli ebrei, costretti a vivere nel ghetto (il ghetto è chiamato judeca) erano considerati alla stregua di servi: non possono lasciare la terra del loro signore, che ha il diritto di riprenderli. Sono sottoposti alle tasse e ai servitia, alla taglia e alla decima. Hanno, per converso, alcuni vantaggi. La loro comunità ha il diritto di possedere e di godere di alcuni monopoli. A Catania vengono giudicati secondo le loro leggi; a Salerno, essi soli hanno il diritto di ammazzare le bestie; ugualmente essi soltanto hanno il diritto di vendere e di preparare le stoffe fabbricate con calandre. A Bari, oltre al monopolio della calendra, hanno quello della tintura. Diverse volte vediamo che il signore dona interamente tutta la comunità di una città; in tal modo gli ebrei di Bari costituirono la dote che il Guiscardo donò a Sichelgaita; costei deteneva anche dei diritti sugli ebrei di Palermo. Adelaide e Ruggero, nel 1107, concedono alla chiesa di San Bartolomeo gli ebrei di Termini (Archivio capitolare di Patti, diploma di Adelaide – 1107, Fund. N° 3); ugualmente il duca Guglielmo concede alcuni suoi diritti sugli ebrei al vescovo di Cosenza e all’arcivescovo di Salerno

La curia
Nel 1130, Giovanni, abate di Lipari, e Pietro, arcivescovo di Palermo, si disputano la decima di Termini Imerese (Pirro, op. cit. t. l. p. 84).




ALDO BACINO recentemente scomparso (febbraio 2023), storico, studioso, autodidatta, appassionato dalla sua terra, dalla storia, tradizioni 

Ma al di la degli slogan, il Carnevale di Termini Imerese è però sicuramente da considerare un Carnevale Storico che va annoverato tra i più antichi non solo di Sicilia, ma anche d’Italia. Alcuni documenti ci danno infatti notizia di feste carnascialesche che si svolgevano nella nostra città già nel seicento; in particolare in un registro del reclusorio di Santa Lucia è annotata una somma di denaro che era destinata “…al ristoro delle donzelle per le feste del carnovale..”

Ancora più esplicito è poi quanto riportato in un manoscritto del settecento che si conserva nella nostra biblioteca “Liciniana” e che mi è stato segnalato dallo storico Aldo Bacino. Qui un sacerdote, Don Giò Andrea Guarino, ci parla della Congregazione di Gesù e Maria i cui associati, nel tempo di Carnevale, erano soliti uscire in processione dalla chiesetta di Sant’Agata e girare per la città in abito di penitenza.

Pare infatti che i termitani durante questa festa si abbandonassero ad atteggiamenti fin troppo licenziosi; tali da indurre gli aderenti a questa Confraternita ad andare per le strade percuotendosi pubblicamente “con li stromenti”, in segno di penitenza. Anche questa testimonianza è uno spaccato di vita popolare della nostra città; le cui vicende si intrecciano spesso proprio con la storia del Carnevale. A noi il compito di salvaguardare questa antica tradizione di cui dobbiamo andar fieri e tramandarla alle generazioni future.

https://www.comuneterminiimerese.pa.it/it/page/aldo-bacino-presenta-il-manoscritto-del-sac-don-gio

Già dal paragrafo 10 mi rendo conto della storia del popolo ebreo, anche in Sicilia – a Termini Imerese, non fu mai facile

















HIMERA – Termini Imerese – Palermo




































Santuario della Madonna della Consolazione, Termini Imerese

Stessa angolatura -stesso posto

Patrono di Termini Imerese(PA)

     

Il Beato Agostino Novello

Nasce a Termini Imerese da una famiglia nobile e benestante, che allora governava il castello e parecchi altri vicini, verso l’anno 1240 e al fonte battesimale gli viene posto il nome: Matteo.  

Compiuti gli studi primari nella propria terra nativa, i genitori lo inviano a Bologna, dove si iscrive alla celebre università; e dove brilla per il suo ingegno e la sua intelligenza nello studio del diritto, tanto da diventare un rinomato giurista. Ebbe, come compagno di studi, il figlio naturale di Federico II, Manfredi , prediletto dal padre che vedeva in lui lo spirito battagliero di Svevi. Manfredi, incoronato re di Sicilia a soli 22 anni, nella cattedrale di Palermo il 10 agosto 1258, fa tornare Palermo ad essere la capitale del più bel regno d’Europa.

 Il nuovo sovrano prosegue lo stile governativo paterno, sia sotto il profilo politico, amico dei ghibellini, sia sotto il profilo culturale e legislativo, che, per la sua intelligenza, sapienza e cultura, lo induce a preparare ai sudditi un periodo di illuminata serenità. Chiama a sé; tutti gli spiriti più; illuminati e colti del suo tempo, tra cui il suo compagno di studi, Matteo, esperto in diritto, che vuole stabilmente alla sua corte. L’anonimo biografo del nostro beato annota che, durante il suo prestigioso servizio alla corte dello svevo Manfredi, mai egli partecipò; ad un processo, né; ad un’assemblea, dove si discuteva di pena capitale.

Matteo legò; la sua vita e la sua fedeltà; al giovane monarca, fin sul campo della battaglia di Benevento, il 26 febbraio 1266, dove l’esercito di Carlo d’Angiò; sbaragliò; quello di Manfredi e lo stesso re svevo perse la vita. Matteo cadde gravemente ferito e, creduto morto, fu abbandonato sul campo tra i cadaveri. Nei terribili giorni che seguirono, sperimentò; l’amara delusione del crollo degli ideali per i quali aveva combattuto e gli diedero modo di riflettere sulla vacuità dei valori esaltati, tanto che decide di cambiare vita.

Cristo irrompe inaspettato nella vita di Matteo e l’incontro con Lui a Benevento rimarrà; il centro unificato di tutta la sua azione successiva ed è, a questa esperienza che egli riconduce l’intera sua spiritualità . Certo in lui vi è; una personalità autenticamente religiosa, onesta, non incline alle mezze misure e alle soluzioni di comodo, appartenendo a quelle persone che devono l’orientamento decisivo della loro esistenza a una esperienza di rottura violenta e trasformante. Entrò nell’ordine degli Agostiniani e, indossato l’abito nel convento di S. Agostino in Palermo nel 1268, cambiò il nome con quello del fondatore.

                Dopo non molto tempo, lasciata Palermo, chiese di passare nella provincia agostiniana di Siena e, nascosto il suo passato, visse come fratello laico nel romitorio di Santa Barbara. Qui, creduto analfabeta, si occupò dei lavori e dei servizi più umili. Dopo qualche tempo, fu trasferito nell’eremo di Rosia, dove tutti apprezzavano questo umile frate, tutto dedito al lavoro e alla contemplazione. Un giorno, la pace della comunità fu turbata dalla notificazione di una causa intentata contro il convento: la comunità rischiava di perdere la proprietà del terreno stesso su cui era costruito l’eremo. Agostino, rendendosi conto che i confratelli erano incapaci di gestire la causa, si rivolse allora al superiore, perché gli permettesse di scrivere una memoria difensiva. Il Priore, inizialmente meravigliato, gli diede il permesso per scrivere, e grande fu il stupore nel vedere in poco tempo la pergamena piena di una scrittura bella e lineare come nelle vecchie carte dell’archivio. Quando il giudice, Messer Giacomo de’Pagliaresi, lesse la memoria difensiva, capì che era opera di qualcuno che aveva studiato, come lui, a Bologna. Andò subito a Rosia e scoprì che l’autore era l’antico suo amico di università. Il convento vinse la causa, ma frate Agostino perse la pace, nonostante supplicasse l’amico di non divulgare la sua scoperta.

La notizia giunse presto alle orecchie del Priore Generale Clemente da Osimo, che, conosciuto il suo talento e le sue virtù, lo trasferì a Roma, dove fu ordinato sacerdote e, poiché stava in quel tempo redigendo le Costituzioni dell’Ordine, richiese la sua collaborazione. Poco dopo fu nominato da Nicolò IV Penitenziere Apostolico e suo confessore, ministero che svolse anche sotto i pontificati di Celestino V e Bonifacio VIII. Nel 1298 i delegati di tutto dell’Ordine riuniti a Milano lo elessero, benché assente, Priore Generale.

A nulla valse la sua richiesta di modificare tale decisione, perché il papa Bonifacio VIII lo indusse ad accettare. Tuttavia riuscì ad anticipare di un anno il capitolo generale, che si sarebbe dovuto svolgere nel 1301, e a Napoli nel 1300 rassegnò le dimissioni. Si ritirò nell’eremo di san Leonardo al Lago, presso Lecceto (Siena), tutto dedito alla preghiera e alle opere di carità. Una delle sue ultime fatiche giuridiche fu la redazione del primo statuto dello “Spedale” di Santa Maria della Scala situato di fronte alla cattedrale di Siena. La morte lo colse il 19 maggio 1309: era il lunedì di Pentecoste. Il suo corpo fu traslato nella chiesa di S. Agostino di Siena, a seguito di numerosi miracoli operati per sua intercessione. Simone Martini, qualche anno dopo, nel 1328, lo dipinse su una bellissima tavola, circondato da immagini dei suoi miracoli e rappresentato con un angelo “sussurrante” dietro un orecchio, simbolo della divina ispirazione. Da sempre il popolo termitano lo venera e lo ammira come patrono e concittadino. Tale devozione si rafforza in occasione dell’arrivo in città nel 1620 della venerata reliquia del braccio e nel 1977 dell’intero corpo che ora è esposto alla pubblica venerazione nella cappella a lui dedicata nel Duomo di Termini Imerese, dove arde perpetua una lampada ad olio, segno di devozione e ammirazione.

Giuseppe Navarra , nato a Termini Imerese (Pa):  [1-1-1893  –  † 28-11-1991]

Nel suo libro Giuseppe Navarra, erudito termitano,<< Termini com’era>>, (ancora oggi dico guai a chi penserà che potrà togliere la devozione alla Madonna, a questi termitani) descrive per le generazione future, che già siamo noi, tutta quest’aria di festa nel paese, in modo popolare, con amore.

                Alla pagina 143 abbiamo:

A Mmaculata

 << La festa più sentita, più aspettata dei Termitani. Ritornavano a casa i congiunti risiedenti in ogni parte d’Italia e degli Stati Uniti, i quali generalmente sposavano e portavano con sé la moglie. Tutti avevano il desiderio di vestirsi a festa per quel giorno, e le numerose sarte e modiste erano state occupate per diversi messi. C’era aria di festa in città; i vecchi ringraziavano la Madonna di avere loro concesso un altro anno di vita; i venditori di candele e torce di cera avevano immagazzinato quintali e quintali di merce, e altrettanto avevano fatto i friggitori di panelle e i gestori di botteghe di generi alimentari.

                Uno scampanio festoso verso il mezzodì del 30 novembre annunziava che il simulacro della Madonna era stato tolto dalla nicchia dove era stato tenuto per un anno intero. La Chiesa Madre era stracolma di fedeli pervasi da entusiasmo che, all’apparire della statua, esprimevano la loro commossa contentezza ed esaltazione. Il simulacro veniva poi portato fuori della Chiesa con una rapida puntata al Belvedere, per poi essere riportato in chiesa e collocato nell’abside, dove, nel pomeriggio, veniva caricata da una quantità indicibile di catene d’oro, orologi, anelli, collane, orecchini, che erano stati offerti alla Madonna per grazia ricevuta. La notte avrebbero vegliato due confratelli della Congregazione muniti di doppietta. La sera stessa cominciavano le sacre funzioni, ed il suono dei sacri bronzi ne annunziava l’ora. Un sacerdote leggeva la coroncina, e l’organo ed il coro ritmavano con mottetti, finiti i quali saliva sul pulpito l’oratore sacro che gli sceglieva, anno per anno, trai più bravi predicatori d’Italia; ad ascoltarli accorreva una fittissima schiera di fedeli i quali si a accalcavano persino nelle cappelle delle navate laterali. Finita la predica, cominciava un concertino all’organo a cui seguiva il Tantum Ergo a Benedizione Eucaristica; le stesse funzioni si ripetevano fino al giorno 7 di dicembre, ma la funzione vespertina assumeva speciale solennità>>.

Il posto dove si trova, l’autrice del blog, dopo essere partita da Termini Imerese (Palermo)
Termini Imerese – Palermo, Sicila, Italia – Museo Civico, se. XV – autore ignoto
Le 3 statue che a Termini Imerese (Pa) nel giorno dell’Immacolata vanno in Processione
Il più antico presepe della Sicilia – a Termini Imerese (Pa) – alla sinistra giù, la scultua del Maestro Giovanni Migliara




Aldo Bacino e Saverio Orlando - due grandi perdite per la cultura Termini Imerese

https://saverioorlando.wordpress.com/

PARODIANDO PERICLE

Posted on 25/09/2013

Qui, in Italia, noi facciamo così

Qui il nostro governo favorisce i pochi invece dei molti: e per questo viene chiamato oligarchia.

Qui, in Italia, noi facciamo così.

Le leggi qui vengono scritte al fine di assicurare una giustizia diseguale ed i meriti dell’eccellenza sono sistematicamente ignorati. Quando un cittadino si distingue, allora esso non sarà chiamato a servire lo Stato, ma sarà costretto ad espatriare e la povertà costituisce ostacolo insuperabile per un dignitoso inserimento nel contesto sociale.

Qui, in Italia, noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo non ci garantisce il diritto di vivere con dignità, ma soltanto quello di morire nel disinteresse generale.

Un cittadino italiano non si occupa dei pubblici affari nell’interesse della collettività, ma soltanto per risolvere le sue questioni private.

Qui, in Italia, noi facciamo così.

I governanti non insegnano ai cittadini il rispetto verso i Magistrati, anzi li invitano ad oltraggiarli, non insegnano a rispettare le leggi, ma a violarle e, allorché i loro reati approdano nelle aule di giustizia, insegnano ai cittadini la sottile arte della corruzione e, manipolando i mass-media, si prospettano al popolo come vittime del potere giudiziario.

Qui, in Italia, noi facciamo così.

Insomma, io proclamo che l’Italia è la scuola del malaffare e che ogni Italiano è educato a crescere sviluppando in sé una particolare versatilità alla truffa ed all’intrallazzo, pronto a sopraffare chi si oppone ai suoi disegni criminosi ed è per questo che il nostro Paese è geloso della sua cultura mafiosa e non accetta stranieri per non correre il rischio di contaminarla.

Qui, in Italia,  noi facciamo così.

Posted on 07/11/2015

Quando San Paolo scrisse quella bellissima pagina di testimonianza di Fede ed apostolato, nota come “elogio della Carità”, fiore all’occhiello della prima lettera ai Corinzi (Cap. 13, 1-13), si è soffermato sull’importanza di un sentimento che, nella lingua greca dell’epoca, ha chiamato con un nome – “Agápe” (αγάπη) – che racchiude in se significati ampi e complessi che, in buona misura, si sono impoveriti per effetto della traduzione in altre lingue.
Questa mia riflessione ha lo scopo di restituire al termine Carità il suo significato originario in tutta la sua interezza.
In questi ultimi anni sentiamo parlare spesso di “carità” sull’onda dell’emozione che suscitano i viaggi della speranza di migliaia e migliaia di migranti, costretti a lasciare le loro case, i loro affetti ed il loro Paese, per sfuggire alla fame, alla miseria ed alle guerre ed a rischiare la vita durante la traversata del Mediterraneo a bordo di mezzi di galleggiamento inaffidabili, sempre più frequentemente soggetti a naufragio.
Anche se il termine “carità” è sulla bocca di tutti il significato che ad esso ognuno di noi assegna non è univoco.
Nella stragrande maggioranza dei casi è utilizzato per indicare sentimenti come la compassione affettuosa, la commiserazione e la pietà che, a loro volta inducono le persone più “sensibili” ad elargire qualcosa di proprio a chi è nel bisogno, per cui, sul piano della concretezza, la carità si esaurisce in un gesto di “elemosina”.
Questa interpretazione del termine Carità consegue al testo latino della lettera di San Paolo ai Corinzi, ove il termine originario “Agápe” è stato tradotto in “Caritas” che, a sua volta, discende da “Carus”, cioè “caro” riferito a persona verso cui si nutre affetto, compassione, pietà, e, di conseguenza, predisposizione a soccorrerla quando versa nel bisogno.
Sotto questo profilo il termine latino “carus” richiama quello greco “Chàris” con cui si indica quello stato di “grazia” che predispone chi ne è detentore a elargire gioia, serenità e felicità a chi gli è vicino.
E’ soltanto per questo motivo che San Paolo considera l’Agápe la più importante delle tre virtù teologali, superiore alla stessa Fede ed alla Speranza?
No, il motivo è un altro: la Carità per San Paolo supera in qualità tutti i comandamenti e le virtù, perché il termine rappresenta l’Amore che Dio nutre per l’Uomo il quale, a sua volta, è richiesto di nutrire lo stesso sentimento nei confronti del proprio prossimo.
Essa realizza la più alta perfezione dello spirito umano, in quanto al contempo rispecchia e glorifica la natura di Dio e, nelle sue forme più estreme, può raggiungere il sacrificio di sé. Ne è esempio il sacrificio di Cristo sulla Croce in favore dell’intera umanità.
L’Agἀpe, sia per i primi Cristiani che successivamente per i neoplatonici, rappresentava l’Amore disinteressato, senza secondi fini, qualcosa di radicalmente diverso rispetto all’amore profano che chiamavano con il termine “Eros” (Έρως), qualcosa di più della semplice amicizia (“philia”), e quindi, più ancora che un sentimento, l’Agἀpe era una virtù, uno stato spirituale di grazia.
Noi oggi viviamo in una Società multietnica e multiculturale e l’unico modo per dialogare e confrontarci fra noi è quello di utilizzare un linguaggio da tutti condiviso ed una terminologia a tutti accessibile, soprattutto a chi non condivide la nostra Fede e professa un Credo diverso oppure è ateo o agnostico.
Senza minimamente dimenticarci degli Insegnamenti del Divin Maestro, dobbiamo proporci ai nostri simili ponendo come oggetto di discussione qualcosa che rappresenti il comune denominatore di tutte le Religioni e di tutti i pensieri filosofici che si fondano sulla “ragione”, cioè l’Uomo.
La legge morale del laico mantiene inalterato il concetto di amore disinteressato insito nei termini Agἀpe-Carità e lo rende operativo non limitandosi a soccorrere chi è nel bisogno, ma spingendosi fino a cercare di rimuovere le cause che hanno provocato nel proprio simile il disagio ed il bisogno.
Questa totale “condivisione di responsabilità” rappresenta la massima espressione dell’Agἀpe e la parte più nobile del patrimonio intellettivo di colui – laico o religioso – che si prefigge di ben operare.
Se nel laico la Carità può essere considerata una virtù, nel Credente di Fede Cristiano-Cattolica rappresenta il primo di tutti i Comandamenti.
L’Italia vanta quasi il 65% di cattolici, ma quanti di questi sono praticanti?
La nostra è una “vita cristiana di cosmetica, di apparenza o è una vita cristiana con la fede operosa nella carità?”.
Questa domanda se l’è posta tempo fa Papa Francesco al termine dell’omelia della Messa del mattino, celebrata in Casa S. Marta.
La fede, ha affermato il Papa, “non è soltanto recitare il Credo”, ma chiede di staccarsi da avidità e cupidigia per saper donare agli altri, specie se poveri.
La fede non ha bisogno di apparire, ma di essere. Non ha bisogno di essere ammantata di cortesie, specie se ipocrite, quanto di un cuore capace di amare in modo genuino.
La Fede non è osservanza cieca della Legge, come quella del fariseo che si stupisce del Maestro che non compie le abluzioni prescritte prima di mangiare, ma osservanza “intelligente”, al riparo da ogni forma di fondamentalismo religioso.
Saverio Orlando

Antiche preghiere cristiane - In occasione di viaggio
Sono avvenuti un po’ così, attraverso mille eventi, libri letti, storie di vita vissuta in prima persona, fare l’ordine nel caos
Mons. Alessandro Pronzato

Monsignor Alessandro Pronzato, nel 2009 – avevo comprato a Termini Imerese, La via crucis, ho capito subito che non è la solita lettura, in tre variante, una cosa favolosa. L’ho regalata a Don Giorgio al Santuario. Sarebbe molto bello se la predica, l’omelia non fosse la solita, ma qualcosa di nuovo. Inventarsi – avvalersi di tutta la gamma dei santi della Chiesa. E’ molto triste, non sentir una sola frase della vita di un santo, nemmeno nel giorno della sua festa. Sarà perché ho incontrato sacerdoti molto diversi, sacerdoti che trattenevano anche dopo la messa la folla non con la forza, ma con racconti conditi dal sale divino.

Strano, ma in Romania la messa non va pagato SOLO PER I DEFUNTI. La messa va pagata per qualsiasi problema uno abbia, dal non decidersi che Università scegliere, salute, malattia, operazioni, esiti degli esami, pace in famiglia, affari, processi, gravidanze serene, trovare lavoro … Come un mettere a fuoco una strada, sgomberare la tua strada, toglierti la nebbia davanti, chiarirti le idee, illuminarti la TUA strada. Scoprire la falsità di chi ti circonda e l’infinità di altre cose, non solo per i defunti. I soldi per la messa sono forse gli unici ben investiti. Dall’altra parte, la Madonna distribuisce gli aiuti tra i più afflitti come dalla nostra parte Caritas. Ho letto una volta, richieste tipo: l’anima più vicina al Pardiso – ciòè che ha finito quasi di tribolare, l’anima che è più vecchia e che nessuno dei suoi è più in vita per pagare una messa … Oggi questi libri non “vanno più di moda” eppure, non c’è lettura più salutare che quella per la salute dell’anima. Non mi reputo esperta di nulla, ho studiato tutto ciò che la mistica offre, perché miei genitori sono mancati giovani ed io avevo 17 anni alla morte della mamma, 20 anni il padre – 30 anni fa … Volevo sapere cosa fare perché tutto sia in ordine.

La preghiera della talpa

La talpa ti fa capire l’importanza di frequentare un mondo segreto, sotterraneo, precluso agli sguardi indiscreti e ai controlli esterni. Troppa gente si accontenta di stare alla superficie. Capace solo di vivere <<fuori>>. Perfino la preghiera, per qualcuno, è esperienza epidermica, esibizione esteriore, luccicchìo di forme, chiacchiericcio devoto.

Una vita interiore, invece, è caratterizzata dal gusto dello scavo, delle trivellazioni profonde. Bisogna aprire tenacemente, una rete di cunicoli comunicanti, attraversare zone oscure, affrontare spessori di silenzio, abitare nascondigli inaccessibili, esplorare zone insospettate. Gusto di <<guardare dentro>>. Capacità di sopportare tempi lunghi. Assidui esercizi di pazienza. Sorpresa di captare messaggi segreti, attingere a informazioni riservate. Occorre, però, resistere alla tentazione di riemergere in superficie per farsi ammirare, raccontarsi, parlare del proprio silenzio, illustrare alla platea la propria solitudine.

La talpa adopera tutti gli accorgimenti per non dare nell’occhio. Troppi individui, invece – non esclusi certi <<uomini del nascondimento>> – provano un impulso irresistibile a farsi notare, segnalare la loro clandestinità, avvertire della loro fugga (sì, vanno incontro agli altri per annunciare che stanno fuggendo … )

L’uomo di preghiera, come la talpa, risulta inafferrabile, non localizzabile, tantomeno catturabile. Non si lascia sedurre dalle frivolezze, attirare dall’ esteriorità, allettare dall’effimero, imbonire dalla propaganda.

Ricordo un itinerario quasi <<esclusivo>> che mi è stato offerto nei sotterranei di Napoli. Un’esperienza affascinante, giù per i cunicoli strettissimi ricavati nel tufo.

Scesi a una certa profondità – sconsigliabile per chi soffre di claustrofobia – la guida mi fece notare che precisamente in quel pozzo si raggiungeva <<il silenzio assoluto>>. Neppure una  briciola sonora, un milionesimo di decibel arrivava dal mondo esterno. Eppure, a poche centinaia di metri di altezza, proprio sulla nostra testa, c’era uno dei quartieri più popolosi e, naturalmente, più rumorosi della città.

Ecco, la talpa, nel dedalo dei suoi percorsi  invisibili, ti conduce là dove nessuna voce della piazza, del circo, o del mercato ti può raggiungere. Nessuna offerta, nessuna lusinga del mondo riesce a trovarti.

L’uomo di preghiera, come la talpa, si assicura numerose vie di fuga. Lancia segnali per far perdere le tracce. Lui, c’è indubbiamente, ma in un altro posto.

Tutti hanno bisogno di materiali per fabbricare. La talpa costruisce la propria abitazione buttando via il materiale. Quel mucchietto di terriccio è lì ad indicare, quasi ironicamente, ciò di cui non ha più bisogno, anzi le impedisce di respirare. Te lo puoi tenere, se vuoi. Lei si accontenta del vuoto. Si muove a proprio agio nelle profondità, dove ci sono spazi sgombri (meglio, sgombrati). Non ha paura del buio. Comunica nella solitudine.

Il gatto, con la sua furbizia, può montare una guardia inesorabile. Non si accorge di essere lui il prigioniero, l’ostaggio. Preghiera della talpa. Ossia, la vita interiore è una vita molto interiore. Cappane, grotte, celle dei monaci, stanzino di un’abitazione qualsiasi nel caos della metropoli. Tra la complessa geografia di un altro mondo. A indicare che <<dentro>>, <<sotto>>, <<lontano>>, <<chissà dove>>, c’è una dimensione e una possibilità del vivere che attende di essere scoperta.

Mons. Alessandro Pronzato
Chivasso – Torino
Romania e suoi uomini di fronte, intellettuali, politici, artisti …
Romania cristiana
Copertina libro carmen