In difesa della democrazia
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In difesa della democrazia

Alla difesa della democrazia collaborano tutte le nazioni

Discorso di George P. Shultz, poesie da un carcere cubano, Armando Valladares, la piovra asiatica, la Spetsnaz …

Faccio dei passi indietro nella storia degli Stati Uniti, diciamo da Napoleone quando capitò qualcosa …

Per il piedistallo la Statua della Libertà, arrivata da Parigi, in USA  non aveva il piedistallo finito, per mancanza di fondi, arrivati a 5 metri, mancavano ancora 23.

Due uomini ebbero idee geniali, per tutta questa mancanza di fondi:

Lo scultore Bartholdi a Parigi: “Ma proprio allora Bartholdi ebbe l’idea di far partecipare all’impresa la comunità commerciale francese offrendo il <<diritto di riprodurre l’opera a tutti coloro che desideravano associare i loro prodotti all’immagine della statua>>. Fu un colpo di genio, e nei mesi che seguirono commercianti, industriali e massoni accorsero a comprare questo diritto”.

La Provvidenza intervenne sotto le spoglie di Joseph Pulitzer. Figlio di un ebreo ungherese che commerciava in granaglie e di un’austro-tedesca di religione cattolica, Pulitzer era emigrato negli Stati Uniti nel 1864. Dopo aver combattuto nella guerra di secessione a fianco dei nordisti, aveva fatto il giornalista a St. Louis, nel Missouri, e si era poi trasferito a New York, dove aveva comprato il giornale World. Sempre più angustiato dalle difficoltà finanziarie che angustiavano il comitato per la statua, il 14 marzo del 1885 Pulitzer pubblicò un furibondo editoriale intitolato La vergogna nazionale in cui così apostrofava i nuovaiorchesi:

<<Sarebbe un’onta incancellabile per la città di New York e per la repubblica americana se non riuscissimo a fornire di un piedistallo  lo splendido dono che la Francia ci ha inviato. Dobbiamo raccogliere il denaro necessario, e senza aspettare che siano i milionari a darcelo. Questo appello è rivolto a tutti voi. Date qualcosa, non importa quanto. Mandatela a noi. Vogliamo vedere la reazione del popolo.” I giornali di altre città si riunirono a quella che sembrava avviata a diventare una crociata nazionale. Lady Liberty stava conquistando il cuore dell’America.

“Oh, Lady Liberty, tu sia benedetta!

Poiché ultimata è al fin la colletta

A pene e affanni addio puoi ben dire:

avrai un piedistallo su cui salire.

Il Presidente Grover Cleveland, dichiarò: <<Non dimenticheremo mai che la Libertà ha eletto qui la sua dimora. I suoi difensori ne terranno accesa la fiamma, il cui splendore raggiungerà le rive della nostra repubblica sorella al di là dell’oceano. Da lì si rifletterà, potenziato da altri raggi, un fascio di luce che squarcerà le tenebre dell’ignoranza e dell’oppressione finché la libertà illuminerà il mondo intero>>.

– Lady Liberty consegnata a Parigi agli Stati Uniti il 4 luglio 1884

Il Comitato della Statua della Libertà a New York, in particolare si era deciso di mettere all’asta manoscritti originali di famosi scrittori, e il comitato chiese a Emma Lazarus, una poetessa di 34 anni, di scrivere un sonetto.

Nel 1649 gli antenati della Lazarus, originari del Portogallo, erano tra i primi ebrei  a stabilirsi a New York, che allora era una colonia olandese e si chiamava Nuova Amsterdam. Nel corso delle generazioni la famiglia aveva fatto fortuna. Emma Lazarus aveva avuto un’infanzia dorata e alla sua educazione aveva provveduto precettori privati. Il suo primo libro di versi era uscito che lei aveva appena 17 anni, e quando il comitato la invitò a scrivere il sonetto la sua fama di poetessa era già affermata. Ma il rifiuto della giovane donna fu reciso: <<Non so scrivere su ordinazione>>.

Proprio in quei giorni comunque era arrivata a New York una nave con a bordo 2000 ebrei fuggiti dalla Russia per evitare i pogrom, le sollevazioni popolari antiebraiche che periodicamente insanguinavano il paese. Quegli emigranti per forza avevano trovato temporaneo asilo sull’isola di Ward, nell’East River. La poetessa prese un traghetto e andò a visitarli.

L’isola di Ward era un immondezzaio. Senza acqua corrente e a corto di cibo, i profughi vestiti di stracci  battevano miserevolmente i denti nei dormitori privi di riscaldamento.

Quello spettacolo lasciò il segno nel Lazarus, che con ogni probabilità non aveva mai visto prima ebrei poveri e perseguitati. La poetessa provò di colpo un forte senso di solidarietà e compassione per i suoi sfortunati fratelli.

Il 2 novembre del 1883, due giorni dopo aver preso atto del rifiuto della Lazarus, il comitato americano ricevette la poesia richiesta. Il sonetto, intitolato Il nuovo colosso, conteneva un’invocazione rivolta all’Europa:

<<Datemi i vostri figli affranti, i vostri poveri, le vostre masse che anelano alla libertà>> e si concludeva con le famose parole: <<Innalzo la mia fiaccola accanto alla porta d’oro!>>.

Bartholdi (lo scultore) né a Laboulaye (Edouard René Lefebvre de Laboulaye, democratico, che lanciò l’idea del monumento alla libertà e si fece promotore della raccolta fondi in Francia, Gustave Eiffel era il progettista della struttura portante della statua) era mai passato per la testa di associare la statua alla promessa di una nuova vita che l’America rappresentava per gli oppressi. Per loro essa simboleggiava soltanto la libertà intesa come ideale e forza della storia.

Ma Emma Lazarus aveva considerato il <<nuovo colosso>> da una prospettiva completamente diversa, e gli americani, che giudicavano un po’ troppo astratto il simbolismo originale della Libertà, trovarono più accettabile la sua interpretazione.

Stavo pensando tra me e me, perché tutto questo odio oggi?

Da cristiana la mia visione della vita è molto semplice: Dio ha creato il mondo non per il sistema piramidale, ma orizzontale. Io non ho bisogno di scavalcare te per arrivare al mio posto, alla mia missione da svolgere in questo mondo. Se per caso mi ci trovo in conflitto con qualcuno, non è mai per prendere il suo posto, sarà decisamente se mi aveva investito con qualche ingiustizia, e ne ho viste di ogni. Allora la mia “lotta” non è mai un corpo a corpo, ma un meccanismo di difesa  richiamato dall’ingiustizia, perché CHI TACE ACCONSENTE. Chi non vuole che togliersi di dosso la matassa che altri hanno costruito e buttatati addosso, lotterà perché la verità venga fuori. E lo dico perché a volte anche se tu sei nauseato dal male che riscontri, c’è qualcuno lassù che sgombera la tua strada, come un drone che ha la visuale molto più ampia della tua, abituato a guardare solo la terra. Ti porta le notizie utili, in tempi utili, smaschera qualche tradimento se c’è … Hai milioni di alleati invisibile, quando lavori per la giustizia sociale sei dalla parte di Dio, qualunque fosse l’esito, tu fai la TUA parte, al resto ci pensa Lui. Non scoraggiarti MAI!

Chi lotta per la giustizia, legalità, verità, abusi di ogni genere, può sembrare un “lavoratore a tempo perso” – avvocato  “delle cause perse” – SEMBRA, ma alzate lo sguardo, Gesù, ha subito in silenzio – ma il Suo Cuore gridava milioni di preghiere, il Cielo adorava la Sua dedizione, erano lavori in atto – sotto “copertura” come diciamo noi oggi, perché ogni parola predetta sia compiuta, fino alla fine dei tempi. Nel Venerdì Santo – l’umanità e la divinità, nella Persona di Gesù, hanno sigillato un patto eterno. Il Creatore dei mondi ha in ciascuno di noi, ciascuno chi lotta per migliorare non solo egoisticamente, IL MIO, ma per tutti – un alleato divino. Non siate meno dei santi, poiché i santi sono dichiarati dopo la morte: lottate con coraggio e dignità per un mondo migliore. Nulla va perduto, mai.

Credo che in America, negli Stati Uniti – decisamente è mancato qualcosa, quello che suoi uomini assassinati portavano nel cuore, la maturazione del “frutto” che stia nell’albero fino alla fine della sua stagione, sarebbe a dire: gli uomini assassinati, portatori di valori universali, se fossero rimasti in vita, avrebbero ideato, nuovi e nuovi sistemi, soluzioni … Erano portatori, custodi di grandi soluzioni, ma badate bene che tutti, avevano fede in Dio, il rispetto della vita, del povero … Da non sottovalutare. Hanno intuito i problemi mai risolti che scavano ancora oggi i rancori del mondo, proprio perché la radice le male è rimasta sempre lì. Ed è l’orgoglio di essere di più degli altri, non per aiutare, ma per commandare. Uno solo è il simbolo di chi ha voluto essere il più e commandare ed è precipiatato nel fondo. Chi segue le sue orme, prima o poi, ha sempre la stessa sorte.

Nel numero di luglio 1986 di Selezione dal Reader’s Digest, in Italia si poteva leggere:

Dall’Afghanistan all’Etiopia, dalla Polonia al Nicaragua, un vento di libertà sta scuotendo il mondo; gli Stati Uniti, come afferma uno dei loro massimi rappresentanti, non intendono restare a guardare senza intervenire …

Non uso mai la parola successo personale, redditizio e varie – non ne posso più di chi vende di più, in un mondo dove nessuno ha più voglia di studiare, indagare da solo, io sono controcorrente – da sempre. Per me successo, sarebbe missione compiuta, ciascuno rifleta seriamente sulla sua vita, suo ambiente di vita, lavoro … e con tutta l’onestà, dìa IL MEGLIO DI SE, 100%. Tutto il resto non importa, sii te stesso al 100%, altrimenti sarebbe come incolpare Dio di aver fato non più originali, ma solo fotocopie – persone “in serie”. Tu sei unico/ unica, nessuno nella storia sarà come te, dunque fai e comportati come tale: il tuo messaggio è unico. OK? Sii convinto.

IN DIFESA DELLA DEMOCRAZIA

Condensato da un discorso di George P. Shultz, Segretario di Stato americano.

Nel corso di tutta la nostra storia, noi americani abbiamo sempre creduto che la libertà sia un diritto fondamentale di ogni popolo e che non potremmo rimanere fedeli ai nostri principi se non difendessimo la libertà e la democrazia non solo per noi stessi ma anche per gli altri.

Nel XX secolo, via via che cresceva la nostra potenza come nazione, abbiamo accettato un ruolo più vasto per proteggere la libertà in tutto il mondo. Al culmine della seconda guerra mondiale il presidente Roosevelt espresse, nella Carta atlantica e le Quattro Libertà, una visione della democrazia per il mondo postbellico. Alle Nazioni Unite, nel 1948, noi americani appoggiammo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, con cui si affermava il diritto di ogni nazione a una libera stampa, alla libertà di riunione, a libere elezioni e a liberi sindacati.

La lotta per la libertà non è sempre vittoriosa. Per un certo periodo, molti in Occidente avevano perso la fede nel significato dell’idea di democrazia. E’ stato di moda in certi ambienti sostenere che la democrazia dipende dalla cultura; un lusso che solo le società industrializzate possono permettersi; e che incoraggiare altri ad adottare il nostro stesso sistema politico è sinonimo di arroganza.

E’ quantomeno prematuro, però, perdersi d’animo. Oggi (luglio 1986) – infatti una rivoluzione sta scuotendo il mondo:  una rivoluzione democratica. Ciò che ebbe inizio negli Stati Uniti d’America oltre due secoli fa, come un nuovo e audace esperimento di governo rappresentativo, sta oggi conquistando l’immaginazione e le passioni di uomini e donne di coraggio in ogni continente. Essi vogliono l’indipendenza, la libertà e il riconoscimento dei diritti umani: ideali che sono alla base della nostra democrazia, per i quali gli Stati Uniti si sono sempre battuti.

Oggi per esempio, il 90 per cento della popolazione dell’America Latina e della regione dei Caraibi vive sotto governi democratici o chiaramente sulla strada della democrazia; una percentuale che nel 1979 era appena di un terzo. In meno di sette anni, governi democratici eletti dal popolo si sono sostituiti alle dittature di molti paesi come Argentina, Brasile, Ecuador, El Salvador, Grenada, Guatemala, Honduras e Uruguay.

Abbiamo visto per molti anni l’Unione Sovietica e i suoi alleati agire a loro piacimento, appoggiando rivolte un po’ dappertutto per estendere la dittatura comunista. Qualsiasi vittoria del comunismo veniva considerata irreversibili. Questa era la sinistra <<dottrina>> di Brežnev, proclamata dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968. Il suo significato è semplice e agghiacciante: una volta che ci si ritrova nel <<campo socialista>>, non si può più uscirne. I sovietici dicono al resto del mondo: <<Quello che è mio è mio. Quello che è tuo è di chi se lo prende>>.

Comunque, negli ultimi anni, le pretese sovietiche si sono scontrate con la nuova rivoluzione democratica. I popoli rivendicano il diritto alla loro indipendenza. Mentre un tempo i sovietici pensavano che tutti gli <<scontenti>> fossero maturi per una rivolta comunista, oggi assistiamo a un diverso tipo di lotta: uomini e donne che rischiano la vita contro il despotismo comunista e lottano contro la <<dottrina>> di  Brežnev:

  • Gli afghani, combattendo e morendo per la liberazione del loro paese, hanno raggiunto notevoli risultati. Le campagne sono ancora in gran parte nelle mani della resistenza popolare e neppure nelle città principali i sovietici possono dire di controllare del tutto la situazione.
  • In Cambogia, le forze aperte della democrazia, che erano state quasi del tutto annientate dai khmer rossi, stanno ora conducendo una lotta simile contro un regime fantoccio imposto dagli alleati dei sovietici, i comunisti vietnamiti. Più di sette anni dopo l’invasione del paese, il Vietnam non riesce ancora a controllare la Cambogia. Le forze della resistenza contano circa 60.000 uomini; tra questi, i non comunisti sono cresciuti da zero a circa 25.000. I vietnamiti devono tuttora mantenere in piedi un esercito di occupazione di circa 140.000 uomini per tenere sotto controllo il paese.
  • In Etiopia, insorti armati continuano a lottare contro una dittatura appoggiata alla disperata miseria e alle sofferenze del suo popolo.
  • In Angola, l’unione per l’indipendenza totale (UNITA) guida la lotta armata contro un regime marxista appoggiato da truppe cubane. In questi ultimi anni, l’UNITA ha esteso il suo controllo su un territorio più vasto.
  • In Polonia, il movimento <<Solidarietà>> si batte senza paura per la libertà e i diritti umani.
  • Infine, una lotta importante è oggi in corso non lontano dai confini americani. Nel 1979, in Nicaragua, i capi del movimento sandinista si impegnarono di fronte all’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) a dare la libertà al loro paese dopo decenni di tirannia, sotto il dittatore Anastasio Somoza Debayle. Invece i sandinisti, legati militarmente a Cuba e all’Unione Sovietica,  hanno imposto una nuova, brutale tirannia, sopprimendo il dissenso, imbavagliando la stampa, perseguitando la Chiesa, alleandosi coi terroristi della Libia e dell’OLP, e tentando di destabilizzare i paesi democratici vicini del Nicaragua.

                Questo tradimento ha costretto molti nicaraguensi a passare all’opposizione. E mentre alcuni resistono pacificamente, altri, a migliaia, hanno preso le armi in difesa della libertà e della democrazia.

                I sandinisti denunciano i loro oppositori come ex appartenenti alla Guardia Nazionale, rimasti fedeli al ricordo di Somoza. Alcuni, nel nostro paese, sono anche troppo disposti a prendere per buona questa accusa. Ma basta fare un po’ di conti: quelli che hanno preso le armi contro i sandinisti sono più di quanti abbiano mai fatto parte della Guardia Nazionale. Anzi, molti combattenti dell’attuale resistenza si erano schierati contro Somoza nella rivoluzione; alcuni avevano addirittura prestato servizio nel nuovo governo finché fu chiaro che esso voleva il comunismo, non la libertà.

                Questo nuovo fenomeno mondiale – insurrezioni popolari contro il dominio comunista – non l’hanno creato gli americani. In ogni regione del mondo interessata, la gente ha scelto autonomamente di ribellarsi e combattere, con o senza aiuti esterni.

Ma l’America ha una responsabilità morale verso questi coraggiosi. Poiché noi siamo la nazione democratica più forte del mondo, le azioni che compiamo – o non compiamo – hanno sicuramente un impatto su chi condivide i nostri ideali e le nostre speranze. Se ci ritiriamo, rinunciando al nostro ruolo di guida, si formano dei vuoti pronti per essere riempiti dai nostri avversari, a tutto danno della lotta mondiale per la democrazia.

POLONIA 1980 … sotto dittatura comunista, per la prima volta nasce un sindacato libero <<Solidarnosc>> cioè, Solidarietà

Ne risente anche la nostra sicurezza nazionale. In quasi tutti i casi, l’imposizione di tirannidi comuniste ha determinato un aumento della potenza sovietica. Il problema dunque è: che cosa deve fare l’America per appoggiare la causa della libertà e della democrazia? Una strategia prudente deve conciliare diversi elementi, adatti a diverse circostanze:

Primo: nei paesi non comunisti e filooccidentali, gli Stati Uniti devono per principio sostenere i diritti umani e il pacifico rinnovamento democratico. Ma un simile cambiamento spesso si dimostra complesso e delicato. Dobbiamo mettere a frutto le lezioni dell’Iran e del Nicaragua, in cui le pressioni esercitate contro i governi autoritari furono ideate e messe in atto erroneamente, sfociando in regimi ancora più repressivi.

Secondo: siamo moralmente impegnati ad appoggiare i governi democratici amici fornendo assistenza economica e difensiva quando sono minacciati da rivolte interne o da vicini ostili. Più saremo in grado di aiutare gli altri a proteggere se stessi, meno direttamente risulteremo coinvolti.

Terzo: dobbiamo sostenere le forze della libertà all’interno degli stati comunisti. Per esempio, abbiamo il dovere di spiegare senza mezzi termini che gli Stati Uniti non accetteranno mai la divisione artificiale dell’Europa fra liberi e non liberi. Le nostre radio continueranno a trasmettere la verità alla gente che vive in società <<chiuse>>.

Quarto: i nostri princìpi morali ci spingono a fornire assistenza materiale a chi si oppone alla tirannide comunista. Abbiamo il diritto legale di comportarci in questo modo. Le carte delle Nazioni Unite e dell’OAS riconfermano il diritto implicito all’autodifesa collettiva contro aggressioni simili a quella sovietica in Afghanistan, del Nicaragua nell’America Centrale, e del Vietnam in Cambogia.

Gli americani hanno sempre reagito con coraggio nei casi di pericolo immediato. Il compito più difficile consiste nel riconoscere e affrontare le minacce prima che si trasformino in pericolosi casi. Disponiamo infatti di numerose scelte possibili fra i due opposti estremi dell’inazione e del ricorso alla forza militare: e dobbiamo essere disposti a ricorrervi.

Finché le dittature comuniste si sentiranno libere di appoggiare le insurrezioni, perché mai le democrazie, bersaglio di tale minaccia, non dovrebbero difendere i propri interessi e la causa della stessa democrazia? Come possiamo noi, come nazione, dire a un giovane afghano, nicaraguense o cambogiano:  <<Impara a convivere con l’oppressione: solo noi, che già abbiamo la libertà, meritiamo di trasmetterla ai nostri figli>>? Come possiamo dire a quei salvadoregni che hanno avuto il coraggio di mettersi in fila per votare: <<Possiamo concedervi qualche aiuto economico e militare per la vostra autodifesa, ma daremo anche via libera ai sandinisti che tentano di minare le vostre nuove istituzioni democratiche>>?

Alcuni cercano di eludere questo problema morale adducendo la scusa che <<quello che per uno è un combattente per la libertà, per un altro è un terrorista>>. Si tratta di una sciocchezza. Esiste una notevole differenza fra coloro che combattono per imporre la tirannide e coloro che si battono per resistervi. L’essenza della democrazia consiste nell’offrire i mezzi per un cambiamento pacifico, per una legittima competizione politica e per l’eliminazione delle ingiustizie. La violenza diretta contro la democrazia manca perciò fondamentalmente di legittimità.

In ogni situazione dobbiamo sempre chiarire le nostre posizioni: noi siamo della parte di chi vuole un mondo fondato sul rispetto per l’indipendenza nazionale, i diritti umani, la libertà e le norme giuridiche. Ovunque possibile, bisogna edificare questo mondo con mezzi pacifici e politici. Ma dove le dittature si servono della forza bruta per opprimere il loro stesso popolo e minacciare i vicini, le forze della libertà non possono limitarsi a semplici dichiarazioni verbali.

Dobbiamo insomma appoggiare con fermezza le forze democratiche in tutto il mondo. Abbandonarle sarebbe un vergognoso tradimento: un tradimento non solo di uomini e donne coraggiosi, ma anche dei nostri più alti ideali.

I Chirghisi e la libertà – Nathan M. Adams

TRA SCOPERTE, viaggio sulla Luna e altri pianeti, vicino vicino, un popolo nomado, non aveva né una sua PATRIA, nè una sua CITTADINANAZA …

“Erano quasi un milione: mandriani nomadi d’origine turco-mongolica, fieri e indipendenti, e si aggiravano nelle steppe dell’Asia centrale sferzate dal vento … Dopo aver chiesto in vano aiuto agli Stati Uniti, Rahman si rivolse all’ambasciata turca, sperando che il vincolo comune della lingua avrebbe indotto i turchi a concedere asilo. Nel frattempo i Chirghisi erano stati praticamente dimenticati: dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan, migliaia di altri profughi affluivano nel Pakistan.

Ma il khan non si diede per vinto. Continuò nelle sue richieste di aiuti alla Turchia. Trascorsero 20 mesi.  Poi nel marzo 1982, in seguito a un’indagine di una commissione del governo turco, fu approvata una legge  speciale  che concedeva la cittadinanza ai Chirghisi. Il Khan apprese la notizia dal consolato turco di Islamabad e la comunicò immediatamente alla tribù. La Turchia poteva rappresentare l’ultima possibilità di salvezza per i Chirghisi. Sarebbe stata la loro nuova patria.

Il 5 agosto 1982, i nomadi iniziavano la loro ultima migrazione”.

Chi non ha mai vissuto in un paese comunista, farà fatica ad immaginarsi, per questo è giusto che legga qualcosa – America dei nostri giorni ha suoi problemi, anche di povertà, dopo il COVID l’intera umanità è impoverita, ma ancora dignitosa, dunque la libertà non ha perso IL SUO VALORE UNIVERSALE.

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