PREGIUDIZI
Australia, Belgium, Germania, Olanda, Svizzera, America, Tunisia, dal Sud al Nord Italia, la storia della speranza
Si parte, ci si sradica anche all’interno dell’Italia, dal Sud al Nord …
Che nel 2022 ci sono forme di razzismo sottili:
- <Razzismo è il piacere che si prova ad avere degli inferiori; i negri se si è bianchi, i poveri se si è ricchi, i falliti se si è degli arrivati> (Don Milani)
- <Quello che sei grida talmente forte da coprire quello che dici> (G. K. Chesterton)
- <L’emigrazione non è fatalità al di fuori di ogni controllo umano: è frutto di un sistema economico-politico sbagliato> (Mons. L. Bettazzi)
- <La vera carità non consiste nel donare, ma nel condividere> (Mons. Marty)
- <L’uomo nel fondo del suo essere è idolatra o iconoclasta, non è ateo> (J. Guiton)
- < Se stai pregando e tuo fratello ha bisogno di una limonata, lascia la tua preghiera e portagli la limonata. Il Dio che abbandoni è meno sicuro del Dio che trovi> (J. Ruybroeck)
- <Coloro che temono maggiormente la morte sono quelli che non hanno mai vissuto> (R. Follereau).
ricerca della dignità
https://www.raiplay.it/video/2016/09/Sapere-Il-Pregiudizio-Nord-Sud-83318cb4-21da-4f25-8803-2a0a57fa7911.html i pregiudizi non sono mai mancati – ma ogni posto è paese
A differenza degli agricoltori, di cui si è parlato nell’articolo precedente, che sono emigrati in Romania per motivi di lavoro per colpa di una grave crisi agraria, gli artigiani italiani sono emigrati attirati dalle opportunità lavorative che il nostro paese offriva in quel periodo. I lavoratori qualificati italiani arrivano in Romania alla fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo attratti dagli alti stipendi e dalla possibilità di fare buoni affari.
In questo periodo si verifica la presenza di un gran numero di lavoratori specializzati nel campo dello sfruttamento forestale e delle costruzioni. Lo sfruttamento forestale e la lavorazione del legno sono i due settori che hanno utilizzato al massimo la manodopera straniera. Nel settore dei lavori pubblici la manodopera straniera è stata usata soprattutto per la costruzione delle ferrovie, delle strade e dei ponti. Ma su quest’aspetto la Romania non è stato l’unico paese, anche in altri paesi dell’Europa sono stati assunti lavoratori specializzati e artigiani stranieri per la costruzione degli sterrati delle ferrovie.
Fin dall’inizio del suo mandato, Carol I ha voluto dotare il Paese di una vasta rete di linee ferroviarie. Nel 1868 è entrata in vigore la legge ideata da lui per la costruzione e lo sfruttamento delle ferrovie, la linea Suceava – Iasi – Roman essendo concessa alla compagnia austriaca Offenheim e la linea Roman – Bucarest – Varciorova a quella tedesca Straussberg. Quest’ultima ha assunto anche lavoratori italiani. Nel 1898 l’ingegniere responsabile dei lavori per la linea Caineni – Ramnicu Valcea si è messo d’accordo con l’operaio italiano Miscetti Pasquale per far arrivare dall’Italia venticinque operai, di cui aveva bisogno per concludere i lavori. Ma lui porta in Romania centotrentuno persone bisognose di lavorare, tanti di questi si vedono invece costretti a far ritorno a casa perché non c’era lavoro per tutti. Nel 1892 vengono impiegati duecentocinque operai italiani specializzati per la linea Craiova – Calafat.
L’esigenza sempre più grande di legno, a livello nazionale, da utilizzare per le traverse delle ferrovie, per i cantieri navali, per le cartiere e i mobilifici, alla quale si aggiunge anche la grande richiesta di legname, a livello europeo, ha provocato un’enorme campagna di diboscamento e trasporto del legname verso i centri di lavorazione. I grossi e rapidi redditi ottenuti dallo sfruttamento e dalla lavorazione del legno hanno accelerato l’ingresso dei monopoli stranieri nel settore forestale. In questo periodo sono nate grandi compagnie che hanno ottenuto il diritto di sfruttare le foreste statali e private, per esempio: le ditte Gaetz – Negoiu, Lotru, SA Ungaro – Romena. Le ditte straniere assumevano operai dall’estero, come ad esempio la ditta Oltul che sfruttava le foreste della regione Oltenia, nel 1905 era autorizzata a portare operai dall’estero. Nel marzo 1913 la stessa società chiede il permesso di soggiorno per motivi di lavoro per ottocento lavoratori, tra cui anche italiani provenienti dal Nord Italia. Nel frattempo le richieste di legname da esportare aumentano, soprattutto sotto forma di tavole di legno prefabbricate. Di conseguenza aumenta la modernizzazione dei macchinari impiegati nella lavorazione del legno. Nel 1864, l’ingegnere ceco Carol Novac ottiene il monopolio sullo sfruttamento forestale e la lavorazione del legno e sviluppa il trasporto del legno sul fiume Olt (Oltenia). Nel 1883 a Brezoi si costituisce la società Lotru, che aveva come obbiettivi principali lo sfruttamento delle foreste del bacino Lotru e nel 1907 chiede il permesso di soggiorno per duemila operai austro-ungari, italiani e macedoni. Ma il Ministro dell’interno ha concesso soltanto la metà dei permessi richiesti, l’altra metà rimpiazzata da lavoratori locali. Le mansioni degli operai italiani erano abbattere gli alberi con le seghe, trasportare e lavorare il legno. Alcuni di loro avevano contratti di lavoro di cinque mesi all’anno, per il trasporto del legno sull’acqua. All’inizio del XX secolo si eseguono dei lavori per adattare il letto del fiume a questa pratica e migliorare la tecnica del trasporto sull’acqua del legname, con l’introduzione di una zattera guidata da due persone che si servivano di un pezzo di acciaio chiamato spancs per manovrarla. Nel 1904, a Brezoi, l’imprenditore assume quaranta operai italiani per questo lavoro.
Nel 1920 dalla fusione di più società nasce la Carpatina Brezoi. Nel 1894 l’italiano Olivotto, sposato con Maria Roselini di Udine, trova lavoro nella zona forestale Brezoi come guardiano e ulteriormente come mastro. Sono stati tanti lavoratori italiani che hanno trovato lavoro in questa zona del distretto Valcea, ma a differenza degli agricoltori, quando è calato il lavoro sono tornati nel loro paese, assieme agli ingegneri e ai mastri.
Gli operai specializzati italiani hanno eccelso nei lavori pubblici, la città di Craiova abbonda in costruzioni progettate e costruite da loro.
Perresutti Giovanni Battista è stato un ingegnere e costruttore, nato nel 1880 a Pinzano al Tagliamento in Italia ed è morto nel 1953 a Craiova. Ha studiato a Udine e si è laureato come ingegnere in costruzioni all’Università di Padova. A Craiova ha fondato una scuola di costruzioni pubbliche, con lavoratori italiani, per formare muratori e carpentieri romeni. Esistono dei bellissimi palazzi costruiti dagli ingegneri Perresutti e Dalla Barba. Nel 1900 Craiova era la città più ricca dell’Oltenia ed i costruttori italiani erano molto richiesti. Gli imprenditori italiani Olivero e Albertozzi lavoravano con muratori, carpentieri e scalpellatori italiani. Il Palazzo amministrativo e la Banca commerciale di Craiova sono stati progettati dagli architetti italiani Vignali e Gambara e costruiti da squadre di lavoratori italiani. I palazzi Davidedescu e Vorvoreanu sono stati costruiti da italiani portati al lavoro dall’imprenditore italiano Pasuttini. Il ponte di metallo sul fiume Jiu che ha sostituito quello vecchio di legno è stato lavorato dal carpentiere italiano Zampol Celeste.
Gli operai specializzati italiani hanno portato con loro sul territorio romeno anche mestieri sconosciuti fino a quel momento: fonditore di candele, tavoliere, litografo.
Bibliografie:
1. D.A.J.N. Vâlcea, Prefectura Vâlcea, serv. adm. dosar 33/1898 f.135-139
2. D.A.J.N. Dolj, Prefectura Dolj, serv. adm., dosar 191/18925, f.4
3. D.A.J.N. Vâlcea, Prefectura Vâlcea, serv. adm. dosar 25/1907 f.4
docente Rodica MIXICH
Traduzione a cura di Lorena CURIMAN
La storia degli emigrati italiani in Romania e poco conosciuta. Alla fine del XIX secolo, in Romania è arrivata
un’ondata di italiani in cerca di lavoro.
Nel Sud della Romania, nella zona di Craiova, esiste una consistente comunità composta dagli eredi dei lavoratori italiani stabiliti definitivamente. In quel periodo, il nostro
paese era una metà – secondaria – per gli stranieri in cerca di una vita migliore, perché in pieno sviluppo economico e necessitava operai specializzati – marmista, falegname, scultore – ma anche molte braccia di
lavoratori generici.
L’Italia si trovava in condizioni economiche disastrose per colpa della crisi agraria e dalle guerre, con mal nutrimento della popolazione, digradazione e analfabetismo. La migrazione in massa della popolazione italiana per scappare dalla miseria ha come metà il Belgio, la Francia e la Germania. Il 15% degli abitanti del Veneto si stabiliscono in Romania e una parte in Oltenia – zona del Sud della Romania. In Oltenia sono arrivati italiani dalla zona Friuli-Venetia-Giulia (Cormons, Goritia, Gradisca, Prepotto, Cividale, Corno, Udine, Vicinale, Blessano, Spilimbergo, Gemona, Tolmezzo, Aquilea, Belluno, Arsie, Bassano, Treviso, Cismon) e hanno trovato lavoro come braccianti nelle tenute della zona. All’inizio come lavoratori stagionali chiamati per questo fatto “rondini” – in friulano, las golandrinas – decidono di stabilirsi in questa terra, dove avevano trovato lavoro, una vita più tranquilla e migliore.
L’integrazione, nel caso degli italiani, sul territorio romeno è stata facilitata dall’affinità della lingua, dei costumi e del clima. Però l’ambientazione non è mancata di episodici sporadiche risse per motivi di lavoro: i lavoratori italiani erano accusati di lavorare per poche lire rispetto alla paga abituale e venivano chiamati “i cinesi d’Europa”.
Nel 1910, in Italia, viene pubblicato un manuale di Istruzioni per l’emigrante italiano nei Paesi Balcanici e Romania, che conteneva, tra altro, le indicazioni per la strada da intraprendere: via treno, Venetia-Budapest, Fiume-Ancona-Budapest e Udine-Cormons-Budapest. La Romania attraversava un periodo di grande sviluppo economico, soprattutto ne settore delle costruzioni, dell’industria e dell’esporto di cereali. La moneta romena valeva quasi come il franco francese.
La zona di emigrazione, all’inizio prevalentemente contadina e seguita dopo anche da quella urbana, è stata Friuli-Venetia-Giulia, da dove è arrivata in Romania la classe sociale più povera di agricoltori italiani, imitata a breve da altre zone: Trieste, Torino, Brescia, Parma, Venezia, Abruzzo. In Oltenia è arrivato un gran numero di famiglie di emigrati italiani, a partire dal 1883, all’inizio per lavori stagionali che, dopo un po’ di
anni di permanenza periodica, hanno stabilito buoni rapporti con la popolazione autoctona e hanno portato
anche il resto della famiglia per stabilirsi definitivamente o almeno per rimanerci un lungo periodo di tempo. In questo periodo c’è stata una vera invasione di italiani che arrivavano in Romania in cerca di lavoro. Negli Archivi ci sono date che attestano la grande immigrazione italiana, ma solo per un breve periodo, quindi questo fatto fa pensare che gli immigrati sono rimasti sul territorio romeno o che gli anni
successivi non siano più tornati. I braccianti agricoli arrivavano con un permesso temporaneo, di solito dalla primavera all’autunno.
Quelli già sposati erano accompagnati dalle famiglie. Tra il 1884 ed il 1892 si occupavano solamente dall’agricoltura e da tutte le attività legate alla campagna – allevatore di animali,
mugnaio, muratore, calzolaio oppure lavoretti giornalieri. Tra il 1892 ed il 1900 gli italiani trovano impieghi
in vari mestieri – falegnameria, macelleria, tappezzeria, commercio, imprenditoria. Tra il 1901 ed il 1924
arrivano specialmente lavoratori specializzati: litografi, commercialisti, farmacisti.
Gli italiani sono cattolici, a differenza dei romeni che sono ortodossi, e dei buoni familisti che con il tempo
intraprendono matrimoni misti con le donne romene.
Le caratteristiche della vita sociale, culturale e familiare dei cattolici italiani non era molto diversa da quelle
della popolazione ospitale. Le stesse preoccupazioni, gli stessi affanni e le stesse richieste di diritti, con
l’unico scopo di sentire soddisfatti i propri ideali di vita.
Durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, gli italiani che si trovavano in Romania sono stati chiamati in Italia per arruolarsi nell’Esercito italiano, ma quelli che avevano anche il passaporto romeno hanno fatto parte dell’Esercito romeno. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’immigrazione italiana è
cessata, ma in Romania sono rimasti 8.000 italiani.
docente Rodica Mixich
Riassunto e cura della traduzione – Lorena Curiman
1 Dicembre. La Romania celebra la festa nazionale. I romeni e gli italiani nel 1918
Il processo di unificazione dei romeni, reso definitivo tramite l’atto pubblico del 1 dicembre 1918, per il quale oggi si festeggiano 94 anni, significa la più importante pagina di svolta della storia romena. La grandezza di questo processo, che è stato la spinta per il coronamento dell’unità nazionale, è data dal fatto che questo avvenimento storico assai imponente non è stato l’opera di un politico e nemmeno di un partito o governo, ma raffigura per eccellenza l’operato dell’intera nazione romena, manifestato mediante il documento firmato ad Alba-Iulia.
L’atto politico è stato il risultato della politica estera romena e della partecipazione della Romania alla Prima Guerra Mondiale, tra il 1916 e il 1918, accanto alla Francia, Inghilterra, Russia e agli Stati Uniti. Nel contesto dello smembramento degli imperi multinazionali, Ottomano e Asburgico, della rivoluzione bolscevica in Russia e della proclamazione del presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson sui diritti delle nazioni, sulle rovine di questi imperi nacquero nuovi stati nazionali.
“Avevamo ormai quello che fu chiamato la Grande Romania. Un paese che aveva più che raddoppiato la sua superficie e popolazione e che includeva la maggioranza dei parlanti di lingua romena”, ricordava lo storico Neagu Djuvara.
Dovunque si siano trovati i romeni, nell’anno di grazia 1918, hanno lottato con tutte le loro forze per l’identificazione di questa realtà storica: il popolo romeno è stato convocato all’unione.
Sono stati fatti tanti sforzi anche da parte dei romeni che in quel momento si trovavano fuori dai confini del paese, ma nonostante ciò pronti a darsi anima e corpo per l’unificazione, con lo stesso entusiasmo che animavano i romeni rimasti nelle vecchie provincie storiche.
Secondo gli atti del periodo prima del 1918, in Italia vivevano all’incirca qualche migliaio di romeni. Questo numero cosi grande di romeni è giustificato soprattutto dalle conseguenze che ha portato lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Una buona parte dei romeni dal Regno della Romania si è diretta a quei tempi verso l’Italia, non essendo molto contenti dell’armistizio di Focsani del dicembre 1917 e di quello di pace di Bucarest del maggio 1918.
La maggior parte dei romeni che vivevano in Italia proveniva dalla Transilvania e una minoranza da altri territori romeni. Com’è noto, una volta scoppiata la Prima Guerra Mondiale, decine e decine di romeni sono state mobilitate nell’esercito austro ungarico e tanti di questi romeni sono stati mandati nelle zone di combattimento italiane. Ma ben presto capiscono che non c’è nessun interesse da parte loro di combattere per la vittoria delle Forze Centrali per il semplice motivo che contravveniva al loro ideale di unificazione della Transilvania con il Regno della Romania.
Dalle testimonianze di quei tempi si viene a sapere che tantissimi soldati ed ufficiali hanno disertato ed è proprio per questo motivo che, alla fine della guerra, in Italia si trovava un numero cosi grande di prigionieri di guerra romeni, sparsi dappertutto nei campi di concentramento. Una buona parte di loro ha chiesto alle autorità italiane l’ammissione di arruolamento nelle squadre militari che avrebbero combattuto per la liberazione della Transilvania e della Bucovina. Nel 1916 la percentuale di prigionieri austro-ungarici di nazionalità romena presenti in Italia era assai rilevante e concentrata soprattutto nei campi del Nord Italia. Secondo le stime del Ministero della Guerra erano cosi suddivisi ben 3.600 nel campo di Mantova, 2.000 a Cavarzere, 800 rispettivamente a Ostiglia e Chiaravalle. Le pressanti domande per l’utilizzo di prigionieri di guerra provenivano da tutta l’Italia e in particolare dai proprietari terrieri dell’intera penisola. I soldati prigionieri furono utilizzati con continuità nei lavori agricoli e in misura ridotta, anche nell’industria.
Per la durata di tutto l’anno 1918, i romeni che vivevano in Italia hanno divulgato vari manifesti per far conoscere il loro ideale. In questo senso, a Roma è nata addirittura un’organizzazione centrale:
‘L’associazione degli aromeni della Transilvania, Banat e Bucovina’ e come presidente era Simion Mandrescu.
Lo stesso tipo di organizzazioni si costituisce anche in altri paesi europei. Sono state istituite associazioni e comitati speciali ‘Pro-Romeni’ e ‘Pro-Romania’ nelle citta: Roma, Torino, Napoli. di cui faceva parte un gran numero di personaggi politici, scientifici e culturali italiani.
Insieme, romeni ed italiani, hanno coordinato una serie di riunioni pubbliche tramite le quali hanno espresso esplicitamente il forte desiderio della libertà e dell’indipendenza della nazione romena. Altre riunioni pubbliche sono state avviate anche a Roma, Milano, Torino, Genova.
Un evento molto importante lo ha rappresentato il Convegno delle nazioni sottomesse, che si è svolto a Roma, al quale ha preso parte anche una delegazione romena. Per determinare una più veloce disfatta austriaca, tra l’8 e l’11 aprile 1918, il Governo italiano aveva convocato a Roma diversi rappresentanti delle nazionalità sottomesse dell’Impero Austro-Ungarico. Erano presenti italiani, serbi, croati, polacchi ma anche i romeni. In rappresentanza delle province romene sottoposte alla Duplice Monarchia vi prendevano parte insigni intellettuali, con importanti meriti nella lotta per l’affermazione dei diritti dei connazionali: i prof. Simion Mândrescu incaricato come: ‘Presidente della Società dei Romeni di Transilvania, del Banato e Bucovina’), G. Mironescu, il senatore Drăghicescu, il deputato Lupu. Il Comitato romeno, costituito da sedici membri, è stato riconosciuto dal governo italiano come unica rappresentanza nazionale, sul territorio italiano, per la difesa degli interessi legittimi di tutti i romeni.
Da ricordare il rolo importante svolto in Italia in quel periodo da due personaggi diventati esponenti degli interessi dei romeni in Italia: Simion Mândrescu, docente di lingua e letteratura tedesca all’Università di Bucarest e George G. Mironescu docente presso l’Università di Bucarest, tutti e due impeganti a diffondere nella stampa le notizie che si riferivano agli sforzi compiuti del paese nella prima guerra mondiale.
L’ottima collaborazione fra i romeni e gli italiani a quella data ha generato anche l’Assemblea popolare del 25 agosto 1918, che si è svolta a Roma, nel Foro di Traiano. Hanno preso parte a quell’assemblea deputati di venti città italiane e sessanta associazioni patriottiche, rappresentanti del governo, personalità pubbliche, migliaia di persone. I giornalisti italiani hanno dato ampio spazio a quest’enorme manifestazione.
Il giornale italiano ‘il Messaggero’ ha scritto riguardo a quest’evento: ‘ la manifestazione in onore della Romania è stata veramente imponente’ (…), ‘ una dimostrazione vera e propria di fiducia e speranza nella sorte di questo popolo coraggioso, ma cosi tanto messo a dura prova (…)’.
Parallelamente, hanno iniziato a prendere forma anche gli sforzi che si stavano facendo riguardo la formazione di una squadra militare romena sul territorio italiano, già avvenuta per metà in seguito a una forte intesa tra la commissione speciale dei prigionieri di guerra e il ministero di competenza. In tal modo, è stato messo a disposizione un certo numero di ufficiali e graduati romeni concentrati in un accampamento particolare, nella località Cittaducale della regione Lazio, con l’intento di essere addestrati per mettere le basi di un gruppo di unità militare romene, sotto la diretta autorità del comandamento supremo italiano.
Grazie al coinvolgimento diretto del Ministro della guerra italiano, Vittorio Zuppelli, fu costituita nel mese di giugno 1918 la “Legione Romena d’Italia”, posta sotto il comando del generale di brigata Luciano Ferigo e sede ad Avezzano. Il piano messo a punto da Ferigo prevedeva che da tutti i campi di prigionia i soldati romeni venissero radunati nel centro abruzzese, inquadrati militarmente e forniti di tutto il necessario equipaggiamento bellico. La sede di questa squadra militare si trovava ad Avezzano, nella regione Abruzzo.
Alla fine della guerra, nello spazio italiano si sono formati altri due reggimenti romeni, ‘Horia’ e ‘Closca’, che però non sono mai stati attivati per colpa della fine della prima conflagrazione mondiale, che ha portato ai romeni il coronamento dell’Unione.
Ogni anno, all’inizio di dicembre si celebra la Festa nazionale della Romania, che ricorda la formazione, il 1 dicembre 1918, dello stato nazionale romeno moderno. Dopo la partecipazione del piccolo Regno della Romania alla Prima Guerra Mondiale (1916-1918), nel 1918 le regioni storiche nelle quali i romeni formavano la maggioranza della popolazione – la Bessarabia, la Bucovina e la Transilvania – decisero la loro unione con la Romania. Così, il 1 dicembre 1918, con l’unione della Transilvania, si concluse il lungo processo dell’unità nazionale dei romeni.
Dopo la caduta del regime totalitario di Ceausescunel 1989, il 1 dicembre è ridiventato la festa nazionale del popolo romeno.
Violeta Popescu
Bibliografie:
1. V. Fl. Dobrinescu, Ion Pătroiu, Gheorghe Nicolescu, Relatii politico-diplomatice şi militare româno-italiene (1914 – 1947), Ed. Intact, Craiova, 1999
3. Eliza Campus, Din politica externă a României 1913–1947, Ed. Politică, Bucureşti, 1980
4.Camil Muresanu, In templul lui Ianus, Editura Cartimpex, Cluj Napoca 2002
5. Marco Baratto: Le vicende della Legione Romena d’Italia, http://italiaromania.blogspot.it
6. Lector univ. dr. Dorel BUŞE*: LEGIUNEA VOLUNTARILOR ROMÂNI DIN ITALIA, DIN PRIMUL RĂZBOI MONDIAL