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Prof. Antonino Zichichi e Papa Giovanni Paolo II: scienza e religione non sono in contrasto

Zodiaco, oroscopo e la scienza. Calendari e antiche civiltà,La Trinità, Maria Valtorta, Nicola Cusano

Prof. Antonino Zichichi e Papa Giovanni Paolo II: scienza e religione non sono in contrasto.

Calendario Gregoriano

“Il calendario giuliano, stabilito nel 45 a. C. , era più lungo di poco più di 11 minuti rispetto all’anno solare e di 11 minuti in anticipo ogni anno, che fanno capo a 128 anni, un giorno. Vi era il pericolo che la data della Pasqua, fissata nel 325 al Concilio di Nicea, continuasse il suo ritardo sul Sole e cadesse nella stagione calda. Il disaccordo tra le feste liturgiche e l’anno solare non era sempre così profondo, tuttavia già nel XIII secolo ci si era preoccupati del fatto che il calendario avesse già sette giorni di anticipo sul corso del Sole. Diversi tentativi furono fatti per correggere il calendario, finché sotto il pontificato di Gregorio XIII venne nominata una commissione di dotti italiani e stranieri, presieduta dal cardinale Sirleto, per l’esame delle proposte di riforma. Venne accolto il progetto del calabrese Luigi Giglio e Gregorio XIII, con la bolla “Inter gravissimas” del 24 febbraio 1582, poté promulgare la riforma del calendario giuliano. Essa da un lato stabiliva le regole generali per governare il tempo a venire, e che di fatto sono ancora operanti nel nostro calendario attuale, d’altra parte prevedeva disposizioni ad effetto immediato, destinate a rettificare gli errori del passato, riportando l’anno civile in accordo con l’anno solare. Da quella data erano trascorsi 1257 anni e l’equinozio di primavera, che a quel tempo cadeva il 21 marzo, avveniva ormai l’11 del mese. Per ricondurre l’equinozio al 21 di marzo furono cancellati dieci giorni dal calendario: il giorno che seguiva il giovedì 4 ottobre 1582 fu il venerdì 15 ottobre. In questo modo fu mantenuta la continuità dei giorni della settimana.

L’anno 1582 si ritrovò ad avere 355 giorni e, a partire dall’ anno seguente, il 21 marzo coincise con l’equinozio di primavera. Inoltre, al fine di mantenere questa coincidenza, fu deciso di sopprimere tre giorni in 400 anni. La riforma gregoriana entrò in vigore il 15 ottobre 1582 (ex 5 ottobre) in Italia, Spagna e Portogallo. La Francia attese fino al 9 dicembre dello stesso anno, l’Olanda indugiò fino al 14 dicembre. Gli stati cattolici della Germania e della Svizzera l’accolsero nel 1584, la Polonia nel 1585, l’Ungheria nel 1587. Soprattutto negli Stati protestanti della Germania vi fu una resistenza ostinata. Essi preferivano, commentava Voltaire, “essere in disaccordo con il Sole, piuttosto che in accordo con il Papa”. L’accettarono solo nel 1700, modificando però  la data della Pasqua e solo nel 1775, con  ordinanza di Federico II, tutti i cristiani tedeschi tornarono a celebrare la Pasqua nello stesso giorno. Verso lo stesso periodo si allinearono  l’Inghilterra e la Svezia. Gli ultimi furono i cristiani ortodossi (Russi, Greci, Bulgari, Jugoslavi), che accolsero il calendario gregoriano solo nel primo dopoguerra. Ma ancora adesso la chiesa russa celebra la Pasqua secondo il vecchio stile, talora anche cinque settimane dopo di noi.” Testo dal Calendario dell’Arma dei Carabinieri 1998

Il prof. Antonino Zichichi ci porta ancora più lontani, nel suo libro <<Tra fede e scienza>>, alla pagina 195,

III. 7 – Una grande conquista della cultura cattolica: il più preciso calendario mai elaborato – tanto per farci un’idea “Dopo un anno siamo a venti miliardi di chilometri di distanza dalla zona di spazio cosmico in cui ci si trovava l’anno precedente.

III. 8 A PROPOSITO DI OROSCOPI E SEGNI ZODIACALI – mai considerato il terzo movimento della Terra, trottola. “Siamo imbarcati su una splendida navicella spaziale. Vorremmo sapere perché naviga così come a noi sembra. Da dove viene e dove va. Naviga nello spazio cosmico dotata di caratteristiche formidabili per la nostra esistenza.

Ruota a trottola attorno a un asse che è inclinato rispetto al piano su cui vola. Se non ruotasse a trottola, non potrebbero esistere i giorni. Se non fosse per l’inclinazione non potrebbero esistere le stagioni. Viene da lontano. Poteva andare a finire dritta sul Sole. E noi non saremmo qui a parlarne.

Si è trovata alla distanza giusta con la velocità esattamente corretta per diventare un satellite di questa magnifica stella: il Sole.

E gli si è messa a girare intorno lungo un’orbita quasi circolare (per esattezza leggermente ellittica). Se non fosse per  questo moto orbitale non potrebbero esistere gli anni.

Ma non è tutto. C’è anche il terzo movimento di cui è dotata la nostra navicella spaziale e del quale abbiamo già detto …

Questo movimento fa sì che dopo un paio di millenni salta il presunto legame che l’astrologia pretende debba esistere tra le stagioni e i segni zodiacali. Per finire alla pagina 211 con Esempio: chi pensa di avere un carattere e un oroscopo legati al segno zodiacale della Vergine (paletto n.6) è in effetti al paletto n. 5 (segno zodiacale del Leone). E così via per tutti gli altri paletti (segni zodiacali).

















































https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/letters/1982/documents/hf_jp-ii_let_19820814_scienziati-erice.html





Non ho mai capito come non si è mai accorta dell’esistenza di Dio, che dietro tutto quanto c’è un meccanismo talmente preciso … ?!




LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II

AGLI SCIENZIATI RIUNITI IN CONVEGNO AD ERICE

Al professor Antonino Zichichi,

Direttore del Centro Internazionale per la Cultura Scientifica.

È stato gentile da parte sua informarmi della Seconda Sessione del Seminario Internazionale sulle Conseguenze Mondiali di un possibile Conflitto Nucleare, che si terrà dal 20 al 23 agosto presso il Centro Internazionale per la Cultura Scientifica di Erice, del quale lei è Direttore.

Mentre la ringrazio per questo gesto così sollecito, desidero estendere il mio saluto deferente a tutti gli illustri scienziati e agli altri esperti che si raduneranno là per studiare uno dei problemi più cruciali ed inquietanti per gli uomini di oggi ed esprimere i miei auguri migliori affinché i loro generosi sforzi siano coronati da risultati consolanti.

Non spetta a me addentrarmi negli aspetti tecnici dei temi che saranno trattati nel vostro Seminario.

Un aspetto è comunque strettamente legato alla mia missione pastorale ed è oggetto di profonda preoccupazione. Riflettere sulla possibilità e le conseguenze di una guerra nucleare significa considerare la sopravvivenza stessa della umanità e il destino dell’eredità accumulata lungo i secoli della civiltà umana.

Si tratta di un problema inquietantemente radicale, a proposito del quale più volte mi sono sentito in dovere di parlare con forza in difesa dell’uomo e della civiltà. L’ho fatto di fronte ad istituzioni internazionali come l’Organizzazione delle Nazioni Unite (2 dicembre 1979) e l’UNESCO (2 giugno 1980), durante i miei pellegrinaggi apostolici, specialmente ad Hiroshima (25 febbraio 1981) e Coventry (30 maggio 1982), e in varie allocuzioni ad autorità di nazioni e a coloro che svolgono ruoli di responsabilità nella comunità scientifica. Ho anche inviato delegazioni composte da membri della Pontificia Accademia delle Scienze nelle capitali di alcuni paesi in possesso di armi nucleari, per rendere noti i risultati di uno studio sugli effetti catastrofici di un conflitto nucleare.

In tutte queste occasioni ho parlato a nome della coscienza di milioni di persone, e in accordo al mio ministero ho lanciato un appello per un arresto della corsa agli armamenti, specialmente per quanto concerne le armi nucleari, in modo da porre le basi per un reale progresso volto al disarmo e alla pace.

Gli scienziati e coloro che si occupano della applicazione tecnologica delle scoperte scientifiche hanno un ruolo particolare da svolgere in questo campo. In vista della loro particolare responsabilità mi prendo la libertà di rivolgere questo messaggio a tutte le illustri personalità che parteciperanno al Seminario.

Voi partecipanti vi trovate in una posizione privilegiata rispetto ad altri nel valutare gli effetti apocalittici di una guerra nucleare: in particolare, le inaudite sofferenze e la tremenda distruzione di vite umane e di opere che sono frutto della civilizzazione. Voi potete più facilmente costatare che la logica della dissuasione nucleare non può essere considerata un traguardo finale o un mezzo appropriato e sicuro per salvaguardare la pace internazionale.

L’equilibrio delle armi nucleari è un equilibrio del terrore. Ha già inghiottito troppe risorse dell’umanità per opere e strumenti di morte. E sta continuando ad assorbire immense energie intellettuali e fisiche, allontanando la ricerca scientifica dalla promozione dei valori umani più autentici e indirizzandola alla produzione di dispositivi distruttivi.

In questo modo la scienza stessa è degradata ed è in un certo senso svuotata del suo significato più profondo: la scoperta delle leggi universali e immutabili che governano la natura, in modo da offrire all’uomo un dominio (cf. Gen 1,28) consistente in una adesione docile e consapevole al fine d’amore che il Creatore ha affidato alla natura fin dall’inizio.

Scienza e religione non sono affatto in contrasto tra loro. Sono entrambe impegnate nella realizzazione dei piani di Dio per l’uomo. Da parte sua, l’uomo ha la terribile responsabilità di prendere decisioni o in armonia o in contrasto con quei piani, creando così una cultura o d’amore o di odio.

Per questa ragione, la Chiesa, conscia delle tentazioni al male che possono allettare il cuore umano, proclama la verità di Cristo, il Redentore dell’uomo, che ha seminato il seme di un’autentica civiltà dell’amore, dando a coloro che credono in lui il coraggio di essere fratelli e sorelle di tutti coloro che sono figli dello stesso Padre del cielo, e concedendo la grazia che trasforma il cuore umano, rendendolo docile all’insegnamento di Dio (cf. Gv 6,45).

Desidero lanciare un accorato appello a voi scienziati, al vostro impegno, al vostro prestigio, alla vostra coscienza, affinché facendo luce sugli effetti insensati e catastrofici della guerra, voi possiate promuovere una cultura – la sola cultura degna dell’uomo – basata sui valori perenni della verità e dell’amore.

Sui lavori del vostro Seminario invoco la luce e l’incoraggiamento dell’Altissimo.

Castel Gandolfo, 14 agosto 1982.

GIOVANNI PAOLO II





















Dionigi il Piccolo

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https://it.wikipedia.org/wiki/Dionigi_il_Piccolo

Dionigi il Piccolo

Dionigi il Piccolo (in latino: Dionysius Exiguus; V secoloVI secolo) è stato un monaco cristiano scita, che visse a Roma tra la fine del V e l’inizio del VI secolo[1]. Volle essere chiamato “il Piccolo” in segno di umiltà verso San Dionigi l’Areopagita e San Dionigi di Alessandria[2].

È famoso per avere calcolato la data di nascita di Gesù, collocandola nell’anno 753 dalla fondazione di Roma, e per avere introdotto l’uso di contare gli anni a partire da tale data (anno Domini). Il sistema cronologico da lui elaborato risulta essere, congiuntamente al calendario gregoriano (dall’anno 1582) di gran lunga quello di più ampio utilizzo sulla Terra. Dionigi è stato anche il fondatore della cronologia storica generale.

Oggi, tuttavia, la maggioranza degli studiosi ritiene che la data di Nascita di Gesù vada collocata, in base all’interpretazione dei vangeli, tra il 7 e il 4 a.C., quindi alcuni anni prima della data calcolata da Dionigi.

Nato nella provincia della Scizia minore (l’attuale Dobrugia), a partire dal 500 circa Dionigi visse a Roma, dove divenne un dotto membro della Curia e tradusse dal greco in latino 401 canoni ecclesiastici, compresi i Canoni apostolici; i decreti dei concili di Nicea, Costantinopoli, Calcedonia e Sardica; e una raccolta delle decretali dei papi da Siricio a Anastasio II. La sua raccolta, conosciuta come Collezione Dionisiana è indubbiamente, assieme ai Canoni degli Apostoli, la più importante del suo tempo.[3] Venne inoltrata a Carlo Magno da Papa Adriano e confluì nella Collezione Dionisio-Adriana. La dieta di Aquisgrana dell’802 dichiarò la Collectio Dionysio-Hadriana codice generale ufficiale della Chiesa dei Franchi, attribuendogli sostanzialmente valore universale.[3]

Uomo assai dotto, soprattutto nella Sacra Scrittura, nella matematica e nel greco, fu autore di un trattato di matematica elementare e tradusse dal greco al latino le vite di San Pacomio[4] e di altri santi e il Περί κατασκευῆς ἀνθρώπου di Gregorio di Nissa.[5]

Indice

Il calcolo della Pasqua

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Calcolo della Pasqua e Vittorio d’Aquitania.

Intorno al 525, Dionigi il Piccolo ricevette dal cancelliere di Papa Giovanni I l’incarico di elaborare un metodo matematico per prevedere la data della Pasqua in base alla regola adottata dal Concilio di Nicea. Come prima di lui Vittorio d’Aquitania (verso il 450 d.C.), anche Dionigi comprese che nel calendario giuliano, che vigeva all’epoca, le date della Pasqua si ripetono ciclicamente ogni 532 anni, e compilò una tabella che conteneva l’elenco delle date lungo tutta la durata di tale ciclo. Le tabelle di Vittorio e di Dionigi differivano fra loro per una diversa scelta dell”epoca del calendario: la passione di Gesù per Vittorio, la sua incarnazione per Dionigi.

Il lavoro di Dionigi il Piccolo e quello antecedente di Vittorio di Aquitania risolsero la secolare controversia fra cristiani occidentali e orientali sulla data della Pasqua, ma sostanzialmente consistettero nell’acquisizione anche in occidente dell’utilizzo del ciclo lunare metonico di 19 anni: la primissima versione fu scoperta da Anatolio di Laodicea (verso l’anno 260),[6] la definitiva versione, essendo una variante vicina del ciclo lunare di 19 anni di Teofilo, fu introdotta da Anniano di Alessandria (verso l’anno 412) e adottata da Cirillo di Alessandria (verso l’anno 425),[7] ma avrebbe raggiunto la parte latina d’Europa più di un secolo dopo che Dionigi il Piccolo l’aveva introdotta a Roma. Il ciclo pasquale di 532 anni (numero multiplo del ciclo metonico e del ciclo solare) fu scoperto da Anniano (verso l’anno 412),[8] ma avrebbe raggiunto la parte latina dell’Europa grazie a Beda il Venerabile (verso l’anno 725).

La tabella di Dionigi venne adottata ufficialmente e fu usata dalla Chiesa cattolica fino alla riforma gregoriana del calendario nel 1582, mentre quella ortodossa, che non ha aderito alla riforma, la usa tuttora. La tabella di Vittorio di Aquitania continuò ad essere utilizzata in Francia e in Inghilterra fino all’VIII secolo.[9]

Il calcolo della data di nascita di Gesù

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Data di nascita di Gesù .

Nel compilare la sua tabella delle date di Pasqua, Dionigi scelse di numerare gli anni secondo un criterio del tutto nuovo: all’epoca si usava contare gli anni a partire dalla fondazione di Roma oppure dall’inizio del regno di Diocleziano, o ancora dal principio dei tempi, calcolato secondo le età convenzionali dei patriarchi biblici; Dionigi invece li contò ab Incarnatione Domini nostri Iesu Christi, cioè “dall’Incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo”[10]. La data di nascita di Gesù era stata da lui stesso determinata con un calcolo basato sui Vangeli e sui documenti storici che aveva a disposizione.

Propriamente, secondo la dottrina cristiana, il momento dell’Incarnazione di Gesù è quello del suo concepimento e non della sua nascita; ma poiché Gesù, secondo la tradizione, nacque il 25 dicembre, concepimento e nascita avvennero nello stesso anno (il concepimento si celebra nella festa dell’Annunciazione il 25 marzo, esattamente nove mesi prima del Natale).

L’anno zero e la morte di Erode

Una peculiarità di questa numerazione è che non esiste l’anno zero: Dionigi infatti non conosceva lo zero (la parola latina nulla nella terza colonna della sua tabella di Pasqua non significa “zero”); nell’Europa medioevale, lo zero venne introdotto non prima del secondo millennio dell’era cristiana. Egli stabilì quindi che l’anno immediatamente precedente all’1 (cioè l’anno nel quale era nato Gesù secondo il suo calcolo) fosse l’1 a.C.

Attualmente, però, la maggior parte degli storici ritiene che Dionigi abbia sbagliato il suo calcolo di alcuni anni. La data comunemente accettata per la morte di Erode il Grande, sotto il cui regno nacque Gesù, è infatti il 4 a.C. corrispondente all’anno 749 dalla fondazione di Roma: Gesù quindi non può essere nato dopo quella data. Non è avvalorata dagli storici l’ipotesi che Erode fosse morto nel 3 d.C., mentre nel 4 a.C. avrebbe soltanto associato a sé i propri figli nel regno: in questo caso il calcolo di Dionigi risulterebbe esatto.

Fortuna della cronologia di Dionigi

La numerazione di Dionigi si diffuse in tutto il mondo cristiano, inizialmente in Italia, nelle tavole di cicli pasquali e nelle cronache. Intorno al VII secolo passò ai documenti pubblici e privati[1], sostenuta da chierici come Beda il Venerabile. Già nell’VIII secolo la si trova negli atti dei sovrani franchi e inglesi, mentre nel X secolo è conosciuta in tutta l’Europa occidentale, imponendosi a misura della diffusione della cultura. L’uso di contare in base all’anno Domini anche gli anni prima di Cristo fu adottato solo nel corso del XVIII secolo[1].

https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Lilio

l nuovo calendario di Luigi Lilio

Bolla papale Inter gravissimas contenuta nell’opera di Cristoforo ClavioRomani calendarij a Gregorio XIII P.M. restituti explicatio“. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, MAGL.5.1.117. Il 1º marzo 1582 il testo venne affisso alle porte della Basilica di S. Pietro, alle porte della Cancelleria Vaticana e nella piazza Campo dei Fiori.[20]

Le vicende biografiche di Luigi Lilio sono purtroppo oscure. Persino la sua opera di riforma del calendario è incerta nei particolari poiché il manoscritto autografo, che racchiudeva i suoi calcoli, non è stato mai stampato ed è scomparso senza lasciare traccia. Resta solo un breve opuscolo, il Compendium, che è una breve sintesi delle sue proposte. L’opera, il cui titolo per esteso è “Compendium novae rationis restituendi kalendarium”, riporta i punti essenziali del manoscritto di Lilio; Chacòn non descrive la maniera in cui Lilio ha definito il suo metodo di riforma, né chiarisce i miglioramenti apportati dalla Commissione alla riforma. Il Compendium venne stampato a Roma nel 1577 nell’officina tipografica gestita dagli eredi di Antonio Blasio “Impressores camerales”, a cura di Guglielmo Sirleto, cardinale di San Lorenzo in Panisperna. Numerose copie del Compendium furono inviate ai Principi cristiani e alle Università e Accademie più rinomate con l’invito di esaminarlo, correggerlo o approvarlo. Gli esperti in matematica ed astronomia esaminarono il Compendium ed inviarono i loro commenti alle rispettive Università e Sovrani; questi ultimi li rispedirono al papa insieme alle loro dichiarazioni. Come raccomandato dalla Commissione, papa Gregorio XIII, con la bolla Inter gravissimas pastoralis offici nostri curas, promulgò il nuovo calendario il 24 febbraio 1582.[21]

In generale la semplicissima regola delle intercalazioni adottata dalla riforma liliana è la seguente: ogni anno non divisibile per quattro sarà anno comune di 365 giorni e sarà bisestile di 366 giorni se il suo numero è divisibile per quattro. Fanno eccezione alla regola gli anni secolari i quali, benché abbiano il numero divisibile per quattro, non sono bisestili. Per essi si adotta una regola simile, ovvero: ogni anno secolare il cui numero del secolo, non considerando i due zeri, non sia divisibile per quattro sarà comune; sarà bisestile se è divisibile per quattro. Per evitare dunque che si producessero accumuli di errori futuri, fu decretato che si cancellassero 3 giorni ogni 400 anni, mantenendo la regola giuliana dell’introduzione di un anno bisestile ogni 4 anni, ma gli anni secolari, che nel calendario giuliano erano tutti bisestili, divennero comuni tranne quelli divisibili per quattro, che rimasero bisestili. Seguendo queste indicazioni, sono stati bisestili per esempio gli anni 1980, 1984; non sono stati e non saranno bisestili gli anni 1800, 1900, 2100 etc.; sono stati e saranno bisestili gli anni 1600, 2000, 2400, 2800 etc.

La tavola della biccherna, n. 72. Archivio di Stato Siena. Tempera su tavola, cm 52,4 × 67,8. Il dipinto, di autore sconosciuto, rappresenta Gregorio XIII che, assiso in trono, presiede la commissione del calendario.[22]

In quanto allo spostamento dell’equinozio di primavera dovuto al calendario giuliano, Lilio, per recuperare i giorni perduti e per ricondurre l’equinozio di primavera alla data del 21 marzo, propose di eliminare dal calendario dieci giorni; questa correzione poteva essere apportata fin dall’inizio dell’adozione del nuovo calendario o gradualmente nel periodo compreso tra il 1584 e il 1620. Entrambe le soluzioni sono riportate nel Compendium. Fu Clavio, sulla base delle proposte di Lilio, a suggerire di passare dal 4 al 15 ottobre 1582. Le correzioni di Lilio non sono limitate alla sincronizzazione dell’anno civile con l’anno astronomico di quel tempo, bensì i suoi calcoli offrono un potentissimo strumento che permette di adattare il suo calendario a qualsiasi variazione dell’anno tropico. Risolto il problema dell’anno calendaristico, non così semplice era il rimedio di correggere l’altro errore del calendario che consisteva nella retrodatazione dei noviluni. È la parte più interessante della riforma perché lo scopo fondamentale dei riformatori era che, nello stabilire l’epoca della Pasqua, non venisse tradita l’intenzione dei padri niceni, cioè che la Pasqua cristiana si celebrasse nella prima domenica dopo il plenilunio che seguiva l’equinozio di primavera. Lilio pensò di rivedere il ciclo Metonico ed elaborò un metodo per evitare che le lunazioni scivolassero di un giorno ogni 312,5 anni. Mediante due equazioni (solare e lunare) propone un originale ed efficace ciclo delle epatte che permette di stabilire la data della Pasqua di qualsiasi anno nel corso dei secoli. In breve, con la riforma liliana furono eliminati dieci giorni dal calendario giuliano e solo gli anni secolari divisibili per quattro rimasero bisestili. Il ciclo Metonico per la determinazione della Pasqua venne invece sostituito con il ciclo delle epatte.

Gli astronomi del tempo giudicano il calendario Liliano

La riforma del calendario fu resa nota a seguito dell’approvazione della Commissione e dell’emanazione della bolla papale Inter gravissimas.

Cristoforo Clavio

Mentre il nuovo calendario faceva il suo corso e cominciava ad affermarsi in diversi paesi, studiosi di astronomia e matematica dichiaravano in merito opinioni diverse, fortemente condizionate non tanto da principi di ordine scientifico, ma da motivazioni personali o convinzioni religiose. Di particolare importanza fu, infatti, il differente approccio al magistero ecclesiastico degli astronomi di fede Protestante o Cattolica che portò ad una violenta e feroce polemica tra i più illustri studiosi dell’epoca e che proseguì per decenni.[23] Molti furono gli attacchi rivolti al papa. L’astronomo Michael Maestlin, professore di teologia, astronomia e matematica a Tubinga, uno degli insegnanti di Giovanni Keplero, nel suo lavoro Ausfuehrlicher Bericht von dem allgemeinen Kalendar[24] nega alla Chiesa il diritto e l’autorità di riformare il calendario. L’astronomo tedesco Sethus Calvisius,[25] favorevole ad una riforma del calendario, nel suo Elenchus calendarii gregoriani confuta le tesi di Maestlin, ritenendole prive di significato. Maestlin in un’altra opera, più prettamente scientifica Alterum Examen, dichiarò che la riforma avrebbe dovuto aderire più strettamente ai veri movimenti del Sole e della Luna e criticò aspramente il metodo di calcolo delle epatte le quali, se non corrette, avrebbero portato ad errori macroscopici nel calendario che si pretendeva di riformare. Esibendo calcoli sull’esatta durata dell’anno egli si convinse, sbagliando, che Lilio avesse preso come riferimento le Tavole pruteniche. D’altra parte egli stesso aveva adoperato le Tavole pruteniche per dimostrare che la regola di Lilio, basata sugli anni bisestili, avrebbe col tempo portato l’equinozio di primavera al 20 marzo contraddicendo le regole imposte dal Concilio di Nicea. Per queste affermazioni, non validate dal necessario rigore scientifico, fu fortemente contraddetto dal gesuita Antonio Possevino il quale dimostrò che i calcoli di Lilio erano basati sulle Tavole alfonsine e non su quelle Pruteniche.

Paulus Fabricius, su richiesta di Ludwig Philip, preparò per l’imperatore Rodolfo II un commento in cui denunciava la pochezza del lavoro di Maestlin. Nel 1583 compone un calendario proponendo all’imperatore di emendarlo a partire dal 1600, ma la sua proposta non ebbe seguito.

Altri astronomi e matematici, come Giuseppe Giusto Scaligero, Georgius Germanus e François Viète, accettarono il principio di una necessaria riforma del calendario in accordo alle regole dettate dal Concilio di Nicea, ma non si limitarono ad esprimere il loro giudizio critico e pubblicarono soluzioni alternative al calendario liliano. Il francese Scaligero di origine italiana fu uno dei più famosi studiosi che non approvarono la riforma liliana e sollevò pesanti obiezioni sia alle parti civili che ecclesiastiche del nuovo calendario. Sostenne, infatti, che le nuove regole per gli anni bisestili non avrebbero garantito il mantenimento costante della data dell’equinozio di primavera al 21 marzo. A tale proposito occorre ricordare che i calcoli di Lilio tengono conto delle fluttuazioni della data dell’equinozio che può variare persino di qualche giorno, ma le correzioni apportate dai suoi calcoli riescono a mantenere la data fissa dell’equinozio di primavera al 21 marzo per molti secoli a venire. Scaligero, nonostante la contrarietà e le critiche mosse alla riforma, si avvalse del nuovo calendario per completare il suo ambizioso progetto che prevedeva la creazione di una nuova cronologia degli eventi storici in conformità alle regole astronomiche. Nel 1583 pubblicò Opus de emendatione tempore nel quale introdusse la cronologia come scienza.[26]

Keplero nel 1610

In Germania, e non solo, i protestanti rifiutarono la riforma con forza e veemenza. James Heerbrand, professore di teologia a Tubinga, presentò le sue obiezioni nel Disputatio de adiaphoris et calendario gregoriano. Egli fu persino più sprezzante di Scaligero e accusò il papa, da lui definito “Il Calendarista”, di essere “l’Anticristo” che aveva creduto di poter mutare il tempo, ingannando i veri cristiani a celebrare le festività religiose in giorni volutamente sbagliati. Nettamente contrari alla riforma furono alcuni matematici di Praga che rifiutarono persino di aiutare il vescovo a calcolare le nuove date delle feste mobili. Altri dotti protestanti dichiararono che la riforma era contro natura e a tale proposito risulta significativo un pamphlet anonimo dal titolo Bawrenklag uber des romischen papstes Gregorii XIII newen calendar, dove viene riportato che i contadini, con il nuovo calendario, non sapevano più quando arare o seminare i campi e gli uccelli smarriti non sapevano più quando cantare o emigrare.[27] In un altro scritto polemico, i cui principali autori furono Maestlin e il teologo Osiander, si argomentava che il papa avesse rubato dieci giorni dalla vita di ciascuno. D’altro canto, i Cattolici rispondevano con altre assurdità come la dichiarazione che a Gorizia un albero di nocciole, in accordo con la riforma papale voluta da Dio, aveva anticipato la fioritura di 10 giorni. François Viète, calvinista poi convertito al cattolicesimo, considerato uno dei padri dell’algebra moderna, non si limitò a criticare la riforma, ma elaborò delle modifiche e fu così insolente da inserirle in una copia della bolla Inter gravissimas, con l’intenzione di far credere che quella fosse la versione ufficiale del nuovo calendario, generando confusione tra quanti si apprestavano a comprendere la riforma. Modificò il II Canone (allegato alla bolla Inter gravissimas insieme agli altri cinque Canoni) apportando correzioni al ciclo delle epatte. Non era d’accordo con il calcolo della Pasqua eseguito in base alle direttive della Commissione e nel suo Variorum de rebus mathematicis responsorum liber VIII del 1593 ed in seguito nel 1600, con l’opera Relatio kalendarii vere Gregoriani ad ecclesiasticos doctores exhibita Pontefici Maximi Clementi VIII, espone le sue critiche alla riforma sostenendo di aver trovato la giusta correlazione tra l’anno lunare e l’anno solare. La risposta di Clavio non si fece attendere e trovò spazio nell’ultimo capitolo dell’Explicatio in cui si legge: ”Viète sarà presto dimenticato. Non importa cosa abbia detto di me”. Viète risponde scrivendo Adversus Cristophorum Clavium expostulatio in cui riporta il suo sprezzante giudizio su Clavio: “Da lungo tempo io accuso Clavio di aver corrotto il calendario romano (…) Ma che razza di matematico è colui che introduce una falsa fase lunare nell’equazione delle epatte (…) Contro la falsa fase lunare di Clavio io riporto quindi la vera fase lunare liliana e gregoriana (…). Io dimostrerò che tu sei un falso matematico (se davvero tu sei un matematico) e un falso teologo (se davvero tu sei un teologo).”.[28]

Tycho Brahe

È importante sottolineare che Viète usa l’espressione vera fase lunare liliana, lasciando intendere che fu Clavio a modificare, ma sicuramente non migliorandolo, il ciclo delle epatte ideato da Lilio.

La controversia Clavio-Viète era fondamentalmente assurda e molto probabilmente Viète aveva perso il senso della realtà se davvero aveva pensato che il papa avrebbe modificato la riforma accogliendo le sue proposte che, solo dall’anno 109.500 d.C. o addirittura dopo, avrebbero portato una qualche utilità nel calcolo della Pasqua. Nel 1500 gli astronomi non avevano nessuna idea di come la lunghezza dell’anno e del giorno solare potesse variare. Nonostante ciò Clavio e Viète discutevano su cicli che comprendevano ordini di grandezza di 165 milioni di anni e di 2 miliardi di mesi lunari. In base alle attuali conoscenze fisico-astronomiche, oggi sappiamo che col tempo la Luna si allontana dalla Terra (ca. 3 cm ogni anno) e la velocità di rotazione terrestre decresce; di conseguenza i mesi lunari e i giorni solari si allungano rendendo inutile una pianificazione del calendario nell’arco temporale superiore a qualche migliaio di anni.[29] La prima difesa del calendario fu pubblicata nel 1585 ad opera del gesuita Johannes Busaeus, le cui argomentazioni, dirette principalmente contro le posizioni del teologo Heerbrand, vertono sulla correttezza scientifica e soprattutto interpretativa della riforma rispetto alle direttive del Concilio di Nicea. Ruolo di notevole rilievo e valore storico ebbe Clavio al quale fu affidato il compito di difendere il calendario. Nel 1588 scrisse una dettagliata replica alle tesi di Maestlin dal titolo Novi calendarii romani apologia adversus Michaelem Maestlinum Gaeppingensem in cui spiega la motivazione della scelta del valore dell’anno medio piuttosto del valore assoluto non ancora noto con precisione. Lo stesso Clavio scrive in seguito un lavoro in cui elenca i motivi per cui era impossibile intercalare gli anni col metodo suggerito da Scaligero. Scaligero risponde in maniera oltraggiosa e offensiva, confutando le argomentazioni di Clavio.[30] Benché Clavio avanzasse nuovamente motivazioni oggettive a favore della riforma, la discussione tra i due degenera nell’offesa personale, poiché Scaligero replica alle argomentazioni di Clavio definendolo “ubriacone e grasso panciuto tedesco. L’opera definitiva di Clavio a difesa della riforma arriva nel 1603 con Romani calendarij a Gregorio XIII P. M. restituti explicatio. Tycho Brahe e Giovanni Keplero, gli astronomi più autorevoli del tempo, nonostante fossero protestanti, fattore che indubbiamente limitava le loro pubbliche dichiarazioni, considerarono la riforma elaborata da Lilio perfetta da un punto di vista scientifico. Keplero lasciò un articolo, pubblicato dopo la sua morte, nel quale presenta le sue argomentazioni in forma di dialogo tra un cancelliere protestante, un predicatore cattolico e un esperto matematico. La frase finale di questo dialogo è illuminante: ”La Pasqua è una festa e non un pianeta. Tu non puoi determinarla con giorni, ore, minuti e secondi.”[31] L’opinione di Brahe è nota grazie a due lettere nelle quali l’autore afferma che le critiche mosse dagli astronomi contrari alla riforma erano dettate non da rigore scientifico ma da avversione verso il pontefice.[32]

L’interessamento all’astronomia

https://it.wikipedia.org/wiki/Nicola_Cusano

La nuova visione eliocentrica dell’universo sostenuta da Cusano

Dal 1444 Cusano si era inoltre appassionato all’astronomia, alla quale dedicò i suoi studi insieme a Georg von Peuerbach. In questo periodo ebbe modo di conoscere un collaboratore di Peurbach, Regiomontano, il quale, venuto a sua volta a conoscenza degli scritti di Cusano, assertori di una visione eliocentrica dell’Universo, intrattenne con lui un vivo dibattito essendo egli rimasto un geocentrico, seguace di Tolomeo.

Cusano sosteneva, proprio contro Tolomeo e Aristotele, che la Terra non è immobile, ma ruota intorno al proprio asse e che non è possibile determinare il centro dell’universo, essendo questo infinito; che le stelle sono simili al Sole, che intorno ad esse possono ruotare dei pianeti e che alcuni pianeti possono essere abitati; produsse quindi delle teorie molto simili a quelle dell’astronomia a noi contemporanea. Si trattava, in effetti, di una visione dell’universo appartenente alla tradizione neoplatonica e che era stata sostenuta anche nel Medioevo, dai testi di Ermete Trismegisto ad Alano di Lilla (XII secolo)[4]. Cusano si occupò inoltre di una possibile riforma del calendario e apportò miglioramenti alle Tavole alfonsine. Oltre a Giordano Bruno (seguace della dottrina cusaniana sulla cosmologia dell’infinito), presero spunto da lui anche Agrippa von Nettesheim, Charles de Bovelles, Erasmo da Rotterdam, Leonardo da Vinci, Niccolò Copernico, Giovanni Keplero, Galileo Galilei, Gottfried Leibniz, Georg Hegel, Carl Friedrich Gauss, Friedrich Schelling e Albert Einstein.

“LA DOTTA IGNORANZA” di NICOLA CUSANO – trovo che l’Altissimo aveva svelato …

Questo libro ha una storia <<divina>>…

Nella nota biografica, l’anno (1436 -1437) leggiamo << Si convince dell’importanza conciliare del Papa e si accosta sempre più alla Curia romana e al Pontefice; sostiene quindi Eugenio IV contro l’antipapa Felice V e caldeggia il trasferimento del Concilio a Ferrara in occasione del progettato arrivo dei Padri greci, per trattare l’unione della Chiesa ortodossa con la latina. Eugenio IV l’aveva infatti inviato a Costantinopoli come suo delegato per invitare l’imperatore e il patriarca di Costantinopoli a partecipare al grande concilio che avrebbe dovuto tenersi in Italia per l’unione delle due chiese. È durante il viaggio verso la capitale romana d’Oriente che ha, per dono divino come egli stesso dice, l’intuizione del principio della dotta ignoranza; si dedica a studi astronomici per la preparazione di una riforma del calendario e scrive il De reparatione Kalendarii.

LIBRO  II

Capitolo XII

Le condizioni della terra

“È ormai chiaro in tutta la sua verità che la terra si muove anche se non ci sembra, perché siamo capaci di comprendere il movimento solo in relazione a qualcosa di fisso. Se un uomo che si trovasse su di una nave in mezzo al corso di un fiume non sapesse che l’acqua scorre e non vedesse le due rive, come saprebbe che la nave si muove? Perché a chiunque sembrerebbe sempre, sia che fosse sulla terra, sul sole o su un’altra stella, di essere immobile nel centro mentre tute le altre cose si muovono; chiunque stabilirebbe con certezza poli diversi a seconda che si trovasse sul sole, sulla terra, sulla luna, su Marte e così via”.

CAPITOLO XIII

La mirabile arte di Dio nella creazione del mondo e degli elementi

<<Poiché è parere concorde dei sapienti che, dalla contemplazione della grandezza, della bellezza e dell’ordinamento delle cose di questo mondo, siamo portati all’ammirazione dell’arte e dell’eccellenza divina, e poiché anche noi abbiamo scorto alcune opere d’arte della mirabile scienza di Dio, aggiungiamo ora brevemente poche parole, piene di ammirazione, sull’ordine e la posizione degli elementi.

         Dio creando il mondo ha impiegato l’aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia insieme, discipline delle quali ci serviamo anche noi quando studiamo le proporzioni delle cose, degli elementi e dei moti. Con l’aritmetica le radunò insieme, con la geometria dette loro una figura, in modo che avessero solidità, stabilità e mobilità secondo le loro condizioni; con la musica dette loro proporzioni tali che non vi fosse più terra nella terra che acqua nell’acqua e aria nell’aria e fuoco nel fuoco, sì che nessun elemento fosse completamente risolubile nell’altro. Ne viene che la macchina del mondo è imperitura. E anche se la parte di un elemento può convertirsi in quella di un altro elemento, tuttavia, tutta l’aria che è mescolata all’acqua non può mai risolversi tutta in acqua a causa dell’aria circostante che lo impedisce, sì che si mantiene sempre una mescolanza di elementi.  Pertanto Dio fece in modo che le parti degli elementi si risolvessero l’una nell’altra, e quando ciò avviene, richiedono un certo lasso di tempo, dall’accordo degli elementi che tendono a generare qualcosa di nuovo, si genera un qualcosa d’altro che dura tutto il tempo che dura l’armonia degli elementi, rotta la quale si dissolve e si corrompe quello che hanno generato.

         Con mirabile ordine gli elementi furono disposti da Dio che ha creato tutte le cose nel numero, nel peso e nella misura. Il numero sta ad indicare l’aritmetica, il peso la musica, la misura la geometria. Ciò che pesa è sorretto dalla costrizione di ciò che è leggero. La terra pesante è tenuta sospesa per così dire nel centro del fuoco; la leggerezza si appoggia alla pesantezza come il fuoco alla terra. E mentre la sapienza eterna metteva ordine a queste cose, impiegava una proporzione non esprimibile, sì da stabilire in anticipo di quanto un elemento deve superare un altro, regolando in modo tale il peso degli elementi che, di quanto l’acqua è più leggera della terra, di tanto lo è l’aria dell’acqua e il fuoco dell’aria, sì che il peso era in rapporto alla grandezza e il contenitore occupava un luogo più grande del contenuto. E Dio li ha collegati l’un l’altro secondo un rapporto tale che l’uno stia necessariamente nell’altro. Pertanto la terra, come disse Platone, è simile a un animale che ha pietre per ossa, fiumi per vene, alberi per peli; e gli animali che si nutrono in mezzo a una tale capigliatura terrestre sono come le bestioline nel pelame degli animali.

         La terra rispetto al fuoco è quasi come il mondo rispetto a Dio. Nei confronti della terra, il fuoco ha molte somiglianze con Dio. La potenza del fuoco non ha fine: opera, penetra, illumina, distingue e forma tutte le cose della terra, mediante l’aria e l’acqua, così che tutti gli esseri generati dalla terra sono solo le diverse opere del fuoco.

Per questo le forme diverse delle cose derivano dalla diversità dello splendore del fuoco>>.

LIBRO  II

Capitolo X

Lo Spirito degli universi

<<Consideriamo, ora, in che modo questo movimento universale si contrae fin nel particolare per gradi, in maniera ordinata, sulla base di questo esempio. Quando dico <Dio è>, la frase procede secondo un movimento che ha un ordine, per cui pronuncio prima le lettere, poi le sillabe, poi le parole, quindi la frase, sebbene l’orecchio non distingua i gradi di questo ordine. Allo stesso modo, il movimento discende gradatamente dall’universo fino all’essere particolare e qui si contrae in un ordine temporale o naturale. Questo movimento o spirito discende dallo Spirito divino che muove tutte le cose insieme al movimento stesso. Perciò, come in chi parla c’è quello spirito che procede da chi parla, il quale è contratto nella frase e che si rivela in tal modo, così Dio che è lo Spirito, è colui dal quale sgorga ogni movimento. Dice, infatti, la Verità: <Non siete voi che parlate, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi>. Lo stesso si può dire per tutti i movimenti e le operazioni.

Questo spirito creato è quello spirito senza il quale nessuna cosa è una o può sussistere. Tutto il mondo e tutti gli esseri che lo abitano, sono ciò che per natura sono nella loro connessione per opera di questo spirito che pervade l’orbe intero: sicché, per la sua mediazione, la potenza è in atto e l’atto è in potenza. Si tratta, dunque, del movimento dell’amorosa connessione di tutte le cose verso l’unità, per cui di tutte le cose si fa un unico universo. Quando tutti gli esseri si muovono ciascuno per proprio conto in modo che ciascuno sia ciò che è nella maniera migliore e nessuno sia eguale ad un altro, ogni cosa, allora, contrae il movimento di ciascun’altra a suo modo, e ne partecipa mediamente o immediatamente, sì da esserci un unico universo: come gli elementi e le cose formate dagli elementi, partecipano del movimento del cuore. Per tale movimento le cose sono nel modo migliore possibile e si muovono per conservarsi in se stesse o nella loro specie, mediante l’unione naturale dei due sessi i quali sono uniti nella natura che complica il movimento, mentre sono contratti e distinti negli individui.

Un movimento qualunque non è mai massimo in modo semplice, perché in tal caso coinciderebbe con la quiete. Esso non è, dunque, assoluto, perché il movimento assoluto che complica tutti i movimenti è quiete, cioè Dio. Come, dunque, ogni possibilità è nella possibilità assoluta che è Dio eterno, e ogni forma o atto è nella forma assoluta che, nel divino, è il Verbo del Padre o il Figlio, così ogni movimento di connessione, ogni proporzione e ogni armonia unificante, sono nella connessione assoluta dello Spirito divino. Per questo Dio è il principio unico di tutte le cose, nel quale e per il quale, tutte sono contratte a sua immagine nell’unità della Trinità, secondo il più e il meno, tra il massimo e il minimo semplice, e secondo i loro gradi. Pertanto diverso è il grado della potenza, dell’atto e del movimento di connessione nella sfera delle intelligenze, dove l’intendere è lo stesso che il muovere. E diverso è il grado della materia, della forma e del nesso nella sfera degli esseri corporei, dove essere è lo stesso che muovere; argomenti su cui ci soffermeremo più avanti.

Quanto abbiamo detto sulla trinità dell’universo basti per ora>>.

LIBRO II

Capitolo XI

Corollari sul movimento

“ E come gli abitanti degli antipodi hanno, come noi, il cielo sopra la testa, così a due uomini che si trovano in uno qualunque dei due poli la terra appare sempre nello zenit: dovunque uno sarà, egli crederà di essere nel centro. Se complichi queste immagini diverse, sì che il centro sia lo zenit e lo zenit il centro, vedi, allora, con l’intelletto, aiutato solo dalla dotta ignoranza, che non è possibile comprendere il mondo, la sua figura e il suo movimento, perché esso apparirà come una ruota entro una ruota e una sfera entro una sfera, senza avere in nessun luogo il centro o la circonferenza, come si è detto”.

LIBRO III

CAPITOLO III

Questo massimo è maggiormente possibile solo nella natura dell’umanità

         La natura umana è quella che risulta elevata al di sopra di tutta l’opera di Dio ed è di poco inferiore alla natura angelica. Essa complica la natura intellettuale e quella sensibile, racchiude in sé tutti gli universi e, per questo, gli antichi sapienti l’hanno chiamata giustamente <microcosmo>, ossia piccolo mondo. Essa è la natura che costituirebbe la pienezza di tutte le perfezioni dell’universo e di ogni essere singolo, se fosse elevata all’unione con la massimità, sicché tutti gli esseri potrebbero raggiungere nell’umanità stessa il loro grado supremo.

         Ma l’umanità è solo in maniera contratta in questo o quell’individuo. Pertanto non è possibile che più di un solo uomo, che sia veramente tale, ascenda all’unione con la massimità. Egli sarebbe certamente sia uomo che Dio, e così Dio da essere anche uomo e perfezione dell’universo. Egli avrebbe il primato su tutte le cose e, in lui, le nature minima, massima e media, unite alla massimità assoluta coinciderebbero in modo tale che questo uomo sarebbe la perfezione di tutte le cose e tutte, contratte come sono, riposerebbero in lui come nella loro perfezione. Come dice Giovanni nell’Apocalisse, egli sarebbe misura dell’uomo, dell’angelo e di ogni essere singolo, perché l’unione con l’entità assoluta, la quale è l’entità assoluta degli universi. Da lui tutte le cose avrebbero l’inizio e la fine della loro contrazione, perché per lui che è poi il massimo contratto, tutte le cose verrebbero poste nell’essere della contrazione dal massimo assoluto e, per la sua mediazione, tornerebbero all’assoluto, quale principio della loro emanazione e fine del loro ritorno. . . .”

CAPITOLO IV

Questo massimo è Gesù Benedetto, Dio e Uomo

         Con tali ragionamenti siamo arrivati a sostenere fermamente con fede sicura che non soffre dubbi e senza alcuna esitazione, che queste premesse sono le più vere. Aggiungeremo, ora, qualcosa dicendo che la pienezza dei tempi è passata e che Gesù (che sia sempre benedetto) è il primogenito di tutte le creature.

         Infatti, per le azioni che Cristo esistendo come uomo ha compiuto (anzi, che ha compiuto come fosse Dio, superando l’uomo); per le parole che di sé ha detto, riconosciuto veritiero in tutte; per i martiri che ebbero dimestichezza con lui e testimoniarono di lui con il loro sangue – possiamo affermare con fiducia incrollabile, rafforzata da infiniti argomenti finora infallibili: Egli è colui che ogni creatura ha atteso, fin dall’inizio, che venisse nel tempo e che, per bocca dei profeti, aveva preanunziato che sarebbe apparso nel mondo. Egli è venuto, infatti, per portare a compimento ogni cosa. Per la sua volontà ha restituito a tutti gli uomini la salvezza, ha loro rivelato tutte le verità misteriose e nascoste della sapienza, come colui il cui potere si estende su tutte le cose; togliendo i peccati, in quanto era Dio, resuscitando i morti, trasfigurando la propria natura, comandando agli spiriti, ala mare e ai venti, camminando sopra le acque e istituendo una legge che è la pienezza e l’integrazione di ogni legge. In lui, secondo la testimonianza di san Paolo, straordinario predicatore di verità che ricevette dall’alto l’illuminazione nel rapimento dell’estasi, noi raggiungiamo la perfezione, la redenzione e la remissione dei peccati. Egli è l’immagine di Dio invisibile, il primogenito di tutte le creature, perché in lui furono fondati gli universi sia celesti che terrestri, quelli visibili e quelli invisibili: ossia i troni, le dominazioni, i principati e i regni.  Tutto per lui e in lui è stato creato. Egli è prima di tutte le cose e tutte sono in lui. Egli è il capo del corpo della Chiesa, è il principio, il primogenito dei morti. Egli detiene il primato di tutto, in quanto tutta la pienezza si compiacque di risiedere in lui e le cose tutte, in lui e per lui, riconciliarsi.

         Queste e molte altre testimonianze di lui sono state offerte dai santi, perché egli è Dio e uomo: in lui l’umanità è unità al Verbo nella divinità, sicché l’umanità non sussisterebbe in sé, ma in lui, in quanto l’umanità può essere nel grado sommo e in tutta la pienezza, solo nella persona divina del Figlio.

         Ora, per poter concepire, al di là di ogni nostra capacità intellettuale, con la dotta ignoranza, una tale persona che si unì all’uomo, poniamoci da un punto di vista più elevato al di sopra del nostro intendimento e consideriamo che, poiché Dio è in tutto, attraverso tutto, e tutto è, attraverso tutto, in Dio – come abbiamo dimostrato di sopra – allora, poiché queste due affermazioni devono essere considerate unitamente nel senso che Dio è così in tutte come tutte sono in Dio ( in quanto l’essere divino ha l’uguaglianza e la semplicità suprema), ne consegue che Dio, come è in tutte, non è in esse secondo gradi, cioè come se partecipasse se stesso per gradi e parzialmente. Ora tutte le cose non possono essere senza diversità di gradi, per cui sono in Dio secondo se stesse con una diversità di grado. Ne consegue, evidentemente, che poiché Dio è in tutte, così come esse sono in lui, Dio è tutte senza mutamento nell’uguaglianza d’essere,(cioè) nell’unità con l’umanità massima di Gesù, perché l’uomo massimo in lui è esclusivamente al grado massimo. E così, in Gesù che è l’uguaglianza di essere tutte le cose, come Figlio (che è per così dire, persona mediatrice nel divino), esistono il Padre eterno e lo Spirito Santo. E in essa tutte le cose esistono come nel Verbo; e così ogni creatura esiste in questa umanità somma e prettissima che complica in modo universale tutte le cose creabili per cui in Gesù risiede la pienezza di tutto.

         Possiamo arrivare a questa conclusione con l’esempio seguente: la conoscenza sensibile è una conoscenza contratta, perché il senso non coglie che i particolari. La conoscenza intellettuale è invece universale perché è svincolata da quella sensibile ed è astratta dalla contrazione particolare. La sensazione, inoltre, si contrae in modo diverso secondo gradi diversi. Da queste contrazioni hanno origine le specie diverse degli animali secondo il loro grado di perfezione e di nobiltà. E sebbene( il senso) non raggiunga mai il massimo grado semplice di contrazione -come abbiamo dimostrato di sopra, tuttavia, in quella specie che è in atto la più alta nel genere animale(cioè nella specie umana), qui il senso fa sì che l’animale, come è animale, è anche intelletto. L’uomo, infatti, è il suo intelletto; in esso la contrazione sensibile ha, per così dire, il suo supporto nella natura intellettuale, perché la natura intellettuale è come qualcosa di astratto, separato, divino, mentre la natura sensibile vi rimane come qualcosa di temporale e corruttibile conformemente alla sua stessa natura.

Servendoci di questa similitudine, anche se molto approssimativa, dobbiamo considerare che in Gesù Cristo l’umanità ha il suo porto nella divinità, perché, altrimenti, non potrebbe essere nella sua perfezione assoluta.  L’intelletto di Gesù, in quanto è perfettissimo e completamente in atto, non può essere fondato personalmente che nell’intelletto divino, il quale, solo, è in atto tutte le cose. In tutti gli uomini l’intelletto è tutte le cose in modo possibile, in quanto passa gradatamente dalla possibilità fino all’atto conoscitivo, per cui tanto più cresce in atto quanto più diminuisce in potenza. Ma un intelletto massimo, poiché sarebbe il termine di tutte le potenze intellettuali ed esisterebbe completamente in atto, potrebbe essere solo quell’intelletto che è Dio che è tutto in tutti: come se il poligono inscritto nel circolo rappresentasse la natura umana e il circolo la natura divina. Supposto che questo possa essere il poligono massimo, di cui non se ne può trovare un altro più grande, tale poligono non potrebbe mai sussistere in un numero finito di angoli, ma consisterebbe nella figura del cerchio; pertanto non avrebbe una figura sua propria, sussistente di per sé e separabile( anche solo intellettualmente) dalla figura eterna del cerchio.

         La forma massima della perfezione della natura umana è raggiunta negli enti sostanziali e essenziali per tutto ciò che essa è intelletto, al quale tutte le altre attività corporee devono asservirsi. Perciò l’uomo massimamente perfetto deve eccellere solo per l’intelletto e non per qualità accidentali: non gli si chiede di essere un gigante o un nano o di avere questa o quella statura, quel colore e quella figura, o altre qualità accidentali.  solo necessario, invece, che il suo corpo sia così lontano dagli elementi fisici estremi, da essere lo strumento quanto mai adatto della natura intellettuale, alla quale esso deve sottomettersi e obbedire senza riluttanza, scontento e fatica. E Gesù nostro, nel quale, quando apparve al mondo, furono celati tutti i tesori della scienza e della sapienza, come luce nascosta nelle tenebre, si crede che abbia avuto il corpo più perfetto e più conveniente alla natura intellettuale più alta, come ci è stato tramandato anche dai più santi testimoni della sua vita.

CAPITOLO V

Cristo, concepito in virtù dello Spirito Santo, è nato da Maria Vergine

         “[…] Quando venne, dunque, la pienezza dei tempi(perché l’uomo può nascere solo nel tempo), Gesù nacque nel tempo e nel luogo più conveniente, ma rimase nascosto a tutte le creature perché la pienezza più alta non è comparabile alle esperienze quotidiane. Di conseguenza non ci fu nessun segno che permise alla ragione di riconoscere una tale perfezione, sebbene qualcuno di essi, oscuro e misterioso, tramandatoci dall’ispirazione dei profeti avesse adombrato questa venuta in similitudini umane, dalle quali i sapienti avrebbero potuto trarre previsioni ragionevoli sull’incarnazione del Verbo nella pienezza dei tempi. Ma solo l’Eterno genitore sapeva in precedenza il luogo esatto, il tempo e il modo(di questa nascita). Egli dispose che, mentre il silenzio copriva il mondo, il Figlio discendesse, nel cuore della notte, dalla vetta suprema nel grembo della Vergine e, nel tempo prescritto e conveniente, si rivelasse al mondo, sotto le spoglie di un servo.”

CAPITOLO VI

IL MISTERO DELLA MORTE DÌ GESü CRISTO

Per cogliere in modo più chiaro il mistero della croce conviene anticipare una piccola digressione.

Non c’è dubbio che l’uomo sia dotato di senso, di intelletto e di ragione, la quale sta nel mezzo e unisce il primo al secondo. L’ordine vuole che il senso sia sottomesso alla ragione e la ragione all’intelletto. L’intelletto non appartiene al tempo e al mondo, anzi è svincolato da essi. Il senso, invece, appartiene al mondo ed è soggetto al tempo e al movimento. La ragione rispetto all’intelletto sta nella linea di mezzo come l’orizzonte, ma, rispetto al senso, è nel punto più alto. Pertanto il senso e l’intelletto,, l’uno nel tempo, l’altro al di sopra del tempo, coincidono nella ragione.

Il senso, in quanto è animale, è incapace di cogliere le cose sovratemporali e spirituali. L’animale non percepisce la realtà di Dio, perché Dio è spirito e più che spirito. Per questo la conoscenza sensibile è immersa nelle tenebre dell’ignoranza delle verità eterne. Dalla potenza concupiscibile è spinta carnalmente agli appetiti della carne ed è trattenuta a respingerli da quella irascibile.

La ragione, invece, che sta al di sopra in quanto la sua natura partecipa di quella dell’intelletto, possiede in sé alcune leggi per le quali come reggitrice, essa modera le passioni, dirige i desideri e li riporta nel giusto mezzo, affinché l’uomo, che ripone il proprio fine nelle cose sensibili, non sia privato di un desiderio spirituale che lo spinga all’intelletto. La più importante delle leggi è che nessuno faccia ad un altro ciò che non vorrebbe fosse fatto a sé; il bene eterno deve essere anteposto a quello temporale e le cose pure e sante a quelle caduche e immonde. E a questo fine cooperano le leggi tratte dalla ragione e promulgate dai più santi legislatori, rispettando la diversità dei luoghi e dei tempi, a rimedio di quanti hanno peccato contro la ragione.

L’intelletto che spazia ancora più in alto, vede che, anche se il senso si sottomettesse totalmente alla ragione e non obbedisse alle passioni a lui connaturate non sarebbe in nessun modo capace di raggiungere di per sé il fine dei suoi desideri intellettuali ed eterni. Infatti l’uomo è stato generato dal seme di Adamo nel piacere della carne e, in questa generazione, l’animalità prevale sulla spiritualità obbedendo alla propagazione della specie. Questa natura, immersa fin dalle sue origini nei piaceri della carne per i quali l’uomo è generato da un padre, resta radicalmente incapace di oltrepassare i piaceri temporali per abbracciare quelli spirituali. Se dunque il peso dei piaceri della carne trascina in basso la ragione e l’intelletto, al punto che essi consentano a tali impulsi senza resistere, è chiaro che l’uomo tratto in giù è così distolto da Dio, è del tutto privato del godimento del bene ottimo che è eterno e posto nei piaceri intellettuali. Ma se la ragione domina il senso, bisogna che anche l’intelletto domini la ragione per aderire, al di sopra della ragione stessa, mercé una fede ben salda, al Mediatore stesso e così Dio Padre possa attirarlo alla sua gloria eterna.

Non c’è stato mai alcuno che abbia avuto il potere in se medesimo di elevarsi da sé al di sopra di se stesso e della propria natura, soggetta originariamente ai peccati del desiderio carnale, e ascendere, al di là della sua radice, alla realtà eterna e celeste, tranne colui che è disceso dal cielo: Gesù Cristo. Egli è colui che per virtù propria è salito al cielo. In lui la natura umana, nata non per volontà della carne, ma da Dio, non ha trovato nessun ostacolo che le impedisse di tornare, in tutta la sua potenza, a Dio Padre. In Cristo, dunque, la natura umana è stata esaltata da questa unione con la potenza più alta ed è stata strappata al peso dei desideri terreni che la molestano. Cristo Signore si è fatto carico di tutte le colpe della natura umana sedotta dai piaceri terreni, e li ha mortificati profondamente nel proprio corpo d’uomo, non per sua colpa, perché non aveva peccato, ma per nostra colpa. E mortificandosi, cancellarli, affinché tutti gli uomini che partecipano della medesima umanità, possano ritrovare in lui e con lui, il riscatto di tutti i loro peccati. Volontaria e completamente innocente, ignominiosa e crudele, la morte sulla croce di Cristo uomo ha segnato l’estinzione di tutti i desideri carnali della natura umana, il loro riscatto e la loro purificazione. Tutto ciò che gli uomini possono fare contro l’amore del prossimo, trova largo compenso nella pienezza dell’amore di Cristo. E per questo amore egli è morto per la salvezza anche dei suoi nemici.

In Gesù Cristo l’umanità ha largamente riscattato tutte le imperfezioni di tutti gli uomini. In quanto è la massima umanità, essa abbraccia tutta la potenza di questa specie, in modo da costituirsi come l’uguaglianza d’essere di qualunque uomo, perché Cristo è unito a ogni uomo più di come è unito un fratello o un amico intimo. Questo massimo della natura umana di Cristo agisce in qualunque uomo che gli aderisce con il legame di una fede formata, sì che quest’uomo divenga Cristo medesimo in una unione perfettissima, restando intatto, tuttavia , il loro numero.  vero, allora, quello che gli ha detto: <Qualunque  cosa avrete fatto a uno dei miei, fosse anche il più umile, lo avrete fatto a me>(Mt 25,40). E per conversione ne consegue che tutti i meriti acquistati da Gesù Cristo con la sua passione li hanno acquistati anche quelli che formano un unico essere con lui, senza pregiudizio per la differenza dei gradi della loro unione con Gesù per la loro fede formata di carità. Così i fedeli in lui sono circoncisi, in lui sono battezzati, in lui morti; in lui, infine, richiamati in vita per la sua resurrezione, uniti e glorificati in Dio stesso.

Pertanto la giustificazione delle nostre azioni non è da noi, ma da Cristo. In lui possiamo tutto conseguire, se saremo capaci di possederlo, perché egli è la pienezza assoluta. E siccome in questa vita lo possiamo raggiungere con una fede formata, solo con una tale fede potremo essere giustificati, come diremo più ampiamente più avanti.

 Questo l’ineffabile mistero della croce che ci ha redento, nel quale, al di sopra di tutte le verità di cui abbiamo parlato, Cristo ha rivelato che la verità, la giustizia, le virtù divine e i beni ultraterreni devono essere preferiti alla vita terrena, come le cose eterne sono preferibili alle caduche; e che l’uomo più perfetto deve possedere in sommo grado costanza, fortezza, carità e umiltà. La morte di Cristo sulla croce ha rivelato che Gesù massimo ha posseduto in modo massimo queste virtù e tutte le altre.

Quanto più l’uomo migliorerà in queste virtù immortali, tanto più sarà simile a Cristo. Le virtù minime coincidono con le massime, come la massima umiliazione coincide con l’esaltazione, la morte più vergognosa di un uomo virtuoso coincide con un avita gloriosa, e lo stesso dicasi delle altre virtù, come ce lo dimostrano la vita, la passione e la crocifissione di Cristo.

DAGLI SCRITTI DI MARIA VALTORTA alla pagina 50, 51 – inizia una descrizione della Trinità, come forma celeste …Dice Gesù:
«Alle vostre capacità intellettuali molto limitate, alla vostra spiritualità embrionale, non è
concesso conoscere il mistero della natura di Dio. Ma agli spirituali, fra la massa dei cosiddetti
spirituali, il mistero si rende più conoscibile. Agli amanti del Figlio, a coloro che sono veramente
segnati del mio Sangue, il mistero si svela con maggiore chiarezza perché il mio Sangue è Scienza e
la mia predilezione è Scuola.
Oggi è grande festa in Cielo perché tutto il Cielo canta oggi il Sanctus all’Agnello il cui Sangue
fu versato per la Redenzione umana.




















































































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