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Analisi sulla politica scienza della cittadinanza servita dai operatori di pace, i politici, in chiave cristiana

La cultura, la tradizione e l’originalità di ogni popolo

Chi studia la medicina, anatomia, biologia, la chimica poi tutto quello che in grande chiamiamo medicina generale, ma nello specifico si va man mano che una patologia ci colpisce in particolari approfondimenti, condizioni di vita per poter combattere tale malattia … Tra analisi, dottori specialisti in quella specifica patologia e … e rimane in sottofondo la sofferenza, meglio, il mutuo soccorso di ciascun organo in particolare nella grande cattedrale che è il corpo umano.

In chiave cristiana: tutta l’umanità è in sofferenza ed è obbligata a prestarsi mutuo soccorso per il fatto che fa parte della stessa radice, stesso ceppo, si nutre al seno della stessa Terra. Che tu avveleni l’acqua e altri dieci fanno finta di non sapere, l’acqua farà morire un numero imprecisato di persone innocenti. L’aria, la terra, virus, malattie … tutti contaminati e sofferenti.

Il grado di sopportazione di ciascuno

Chi ha mai detto che il cristiano non ha la consapevolezza di quella che dovrebbe rappresentare la politica per una nazione? Ci sono cose che non tramontano mai, una di esse è la sofferenza e la disperazione in cui versa la gran parte dell’umanità. Nonostante la diffidenza si spera sempre nel miracolo, nella formula vincente, quella che riunisce allo stesso tavolo del dialogo e della trattativa, persone in grado di saper oltrepassare vecchi rancori, dissapori e ricordarsi che sono responsabili del destino di ogni singolo cittadino. Che sulle loro spalle c’è il peso della responsabilità, che il compito più grande non solo i debiti, ma le persone che pagano il debito. Oggigiorno tutti sono in prostrazione del monitor che annuncia il debito, le cifre, dimenticando che sono le persone che lavorano, perché non saranno i bambini, i senzatetto, disoccupati a pagare debiti, ma il lavoratore. Le politiche della manodopera, contrattuali sono le più importanti, le ruote che fanno “circolare” l’economia. Le speculazione non sono politiche sane, il calcolo delle probabilità delle multiple possibilità, non è farina del sacco dei lavoratori. Non è “geniale” scoperta, speculare, arricchirsi manipolando in continuazione. Non è da scienziati sta dietro guadagno speculativo, chi ha la mente sveglia cerchi di usarla per migliorare la qualità di vita della moltitudine, mai della minoranza.

Natura desolata sfinita
Natura desolata sfinita

Che oltre i muri dei palazzi abita un popolo, stanco, deluso e diffidente.

Il problema non è chi comanda chi, ma chi si ricorda che quello che promette è debito nei confronti dei elettori. Che alle spesse delle elezioni sono inserite anche le spesse del prossimo eletto, il secondo sulla lista, perché se è vero che si canta vittoria alla vincita elettorale, bisogna essere coscienti che le promesse non mantenute, aprono le porte al secondo classificato che sarà alla verifica della promessa  del nuovo eletto. Questa è la soluzione economica in regime non solo di crisi finanziaria, stati indebitati eternamente, ma anche per responsabilizzare che vince solo ed esclusivamente grazie alle promesse. Il tempo di grazia? 12 mesi? Ha diritto il cittadino alla corretta informazione della coerenza del nuovo/ nuova eletto/ eletta?

Valida per sindaci, governatori: chi non mantiene le promesse elettorale in termine di 12 mesi – un tempo preciso – sarà sostituito di diritto dal secondo candidato. A me sembra giusto. In quel intervallo di prova, sarebbe come il passaggio dal contratto a termine: in teoria avevi vinto, in pratica può capitare che non sei valido. Tua squadra non è operativa, non all’altezza. Nei tempi di crisi, metodi adatti.

Manca la qualità del dialogo tra parti, perché sono parti che non possono funzionare ciascuna per conto propria, rivolti in direzioni opposte, tutti devono guardare nella stessa direzione: il bene comune, cioè della nazione.

S‘invecchia illudendosi che qualcosa di buono potrà pur capitare per una nazione, che ci saranno persone che dopo aver studiato e studiato e studiato, arriveranno pur sempre a mettere in pratica quello che hanno studiato per il bene comune, dando il meglio di se … Illusioni? Poi ci si lamenta  che sono andate all’estero. E già. Chi sa come mai? A questa domanda non c’è bisogno di alcuna risposta: l’oligarchia ha tracciato la mappa delle entrate chiuse ermeticamente. Poi qualcuno si domanda come mai non funzionano la macchina arrugginita? Anche se unta mille volte, un giorno bisogna essere pur rottamata. Sarà <<morte naturale>>, inutile tentare di trapiantare solo alcune cose. Non voglio essere cattiva, sappiamo tutti quali sono i frutti della corruzione.

A cosa serve studiare all’infinito se non si arriva alle soluzioni di problemi concreti? La mappa della povertà indotta si sta allargando a dismisura. Il debito pubblico è aumentato con un clic di mezzo punto[sic!]. L’avresti fatto prima se avresti saputo? Non importa più.

Creare la pace, piantarla, seminarla ogni santo giorno e non voler più sentire di morti in guerra. Bastano già il numero di morti ancora infinito di malattie, povertà, mancanza di farmaci, dottori, soldi per curarsi, suicidi per disperazione, incidenti sul lavoro, aborti clandestini …

L’aborto, ogni volta che è stato proibito, ha generato un fiume di morti, madri che hanno scelto l’aborto clandestino e per paura chi l’ha eseguito, alla complicanza non hanno mai chiamato i soccorsi. Quanti mariti ignari, bambini orfani – perché la donna non si fidava nemmeno del marito nella sua scelta. Questo potrà ripetersi all’infinito purtroppo. Alcune considerazioni che a me sembrano giuste

“Accostarsi alla cultura del mondo per smarrirsi in essa, non rende un vero ervizio all’umanità, che ha bisogno della fede in un destino eterno ”. Franco Demarchi

Giuseppe Dal Ferro

“ La politica non è estranea alla fede. Vocazione a costruire la città terrena. S. Paolo invita i cristiani di Colossi a <<cercare le cose di lassù>>. L’affermazione non va interpretata come abbandono del mondo per la preghiera, ma come impegno a fare cose nuove (spirituali!), abbandonando la logica del peccato. L’invito è di essere uomini spirituali nel temporale: guai ai santi che non hanno i piedi per terra; guai agli uomini poderosi che non hanno un’anima spirituale.

L’uomo oggi è lacerato, diviso. Sono crollati ad uno ad uno i miti del benessere, della politica, della scienza. Si tratta di scoprire relazioni nuove al di là della forza e al di là della legge. Bisogna far spazio nella città all’amore.

In questo lavoro la fede sostiene proprio perché richiama alla necessità di recuperare la bontà delle cose, impresa dal Creatore, superando il peccato. Il tempo che viviamo presenta <<gli otri vecchi>> scoppiati, ed è forse il più disponibile a Cristo, ai valori. Mentre i giudei consideravano <<santo>> il separato dal mondo, i cristiani sono invitati ad essere lievito, anima del mondo, forza rivoluzionaria della storia.

Gli sforzi per umanizzare il mondo non sono caduchi. Lo scoraggiamento è il tarlo che corrode e toglie la forza di agire. Come è possibile cambiare la faccia della terra?

Sturzo e De Gasperi avevano la certezza che il bene non si affermava con il compromesso e non necessariamente con il potere. Questa convinzione li ha portati a saper perdere pur di non tradire il messaggio: fascismo e Chiesa li esortavano a governare. E’ la convinzione che alla fine è il bene che costruisce la città e che questo spesso percorre il mondo in mille rivoli, apparentemente insignificanti.

S. Paolo dice che tutto svanirà, ma non la carità, non i legami fondati sull’amore. Se il cielo raccoglie i santi, questi si sono formati in terra con questa fedeltà al bene che si affermerà, alla fine dei tempi, nel Regno di Dio. C’è una differenza essenziale fra i cristiani e i pagani: questi ultimi credono solo nello sviluppo; i cristiani anche nel valore della sconfitta e della sofferenza. Il mondo non è fatto per essere distrutto, ma per trasformarsi in una qualità nuova, della quale il Cristo è il modello. Il cammino avviene nell’uomo, il cui corpo è destinato alla risurrezione.

Riflessione critica sui modelli di uomo e di società da promuovere

La politica del territorio, pone al centro dei servizi l’uomo. Ci chiediamo però: quale uomo?

Il dibattito sull’argomento è tutt’altro che scontato. Sono a confronto oggi al riguardo concezioni assai diverse

  • Da quella dell’uomo cibernetico, preservato dai rischi dell’irrazionalità
  • A quella dell’uomo consumista, appagato e realizzato nella sfera dell’avere;
  • A quella dell’uomo libertario, difeso sempre nella esplicazione piena della sua libertà.

I cristiani sono chiamati a promuovere una coscienza sull’uomo persona, incarnato ed i relazione, e, secondo questa concezione, a sviluppare un modo di pensare e di costruire la comunità politica, l’economica e la vita sociale.

Joseph Comblin, parlando della città, dice che la Chiesa vi è dentro, non può limitarsi solo a parlare. Parlare dunque del territorio è parlare anche della Chiesa, essendo questo non un insieme di funzioni, ma una cultura, un sistema di segni, una totalità. Compito della Chiesa non è risolvere i problemi tecnici del territorio, ma essere voce critica, valutando se le soluzioni favoriscono o danneggiano l’uomo. Essa deve occuparsi del territorio, perché in esso vive l’uomo e le sue speranze di realizzazione. Deve diventare per esso <<anima>>, forza costruttrice di  <<comunità>>.

Joseph Comblin, Teologia della città, Cittadella, Assisi, 1971

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il bene comune

Il programma scolastico di un paese è concepito da chi?

 E qui si apre una voragine oppure si spacca in tanti pezzi non comunicanti. Quanto è importante che la lista sia completa, come una dieta completa e non di vegetariani, cioè nomi esclusi perché indigesti da solo alcuni. L’Italia deve educare suoi cittadini in fascia, con quello che la sua terra ha donato al mondo intero. Io, da straniera, non ci credo che non sono stati tanti altri nomi, mai citati nei manuali scolastici.

                Cresciuta in un paese comunista, il programma scolastico ai tempi fu selezionato tra tutti coloro che hanno lodato il regime, erano in grazia dei potenti di turno, ma accuratamente esclusi tutti coloro che sfioravano la parola Dio, anima, spirito, fede, cristiani. Non sono stati però in grado di trattenere quello che veniva letto anche tra le righe, mancava l’anima della scrittura. La letteratura di un popolo, quella vera, non è scrittura creativa, ma esplode come un vulcano scoprendo tutto quello che il tempo storico attraversato cerca inutilmente di nascondere. La letteratura fu per molti anni il termometro della società, a volte in delirio della febbre, a volte sobria, a volte impassibile, mai volgare, in aspetto della stella dei Re Magi. Del miracolo, della libertà d’espressione, non per sputare e vomitare insulti, ma per guarire le ferite interiori, le sofferenze, sospiri e lacrime di una nazione delusa, mentita e spogliata dai valori che teneva legati al cuore.

                La formazione del pensiero del bambino è plasmato da chi? Qualcuno dirà che il bambino è libero di scegliere, io rispondo, magari. La scelta è indirizzata solo alla platea concessa, tutto il resto è “cibo” proibito. Romania degli anni ’70 era comunista, il programma scolastico in conformità, nelle librerie solo nomi approvati dal PCR. Sono rimasta stupita che in verità, tutto il mondo è paese.

Tra le mani un libro  <<Cultura e politica dei cristiani>> firmato da G. Dal Ferro, F. Demarchi, P. Doni, G. Nervo, A. Rigobello e S. Tramontin, Edizioni del <<Rizzara>> Vicenza, coll. Informazioni e opinioni/5, 1983

Alla pagina 72, sotto la firma di Francesco Marchi

Cultura cristiana

Tradizione cristiana – possiamo leggere

“Il doppio binario che si rileva nelle grandi centrali della politica culturale, come all’Unesco, si ripresenta in tutte le aree nazionali ed anche in Italia. La cultura popolare caratteristica della tradizione italiana non è per niente analoga alla cultura élitaria, che dalla unificazione politica del Paese si è imposta con tendenze perfino monopolistiche e discriminatrici. La cultura che tenne banco fra gli intellettuali, dall’avvento delle sinistre potere, è in buona parte una scimmiottatura delle manifestazioni parigine, con particolare compiacimento per tutto quello che ha il gusto del dissolvimento delle istituzioni religiose e dei costumi onesti, quello che sa di denuncia della vera o presunta ipocrisia clericale. La lingua che vale, in questa cultura, è quella del trinomio antimanzoniano: Carducci, Pascoli, D’Annunzio: la filosofia che vale è il positivismo d’oltralpe; l’educazione che conta è quella che schiva Dio, così come la propongono De Amicis, Mantegazza e Collodi. Quanto poco abbiano interpretato il <<sentire popolare>> l’hanno rivelato ben presto i bilanci dei primi responsi elettorali e l’apatia delle masse per la politica nazionale. Ed è in questo contesto linguistico, filosofico, educativo che s’inseriscono le tre correnti culturali eterodosse, per farsi capire:

  • Il nazionalismo precipitoso
  • Il classicismo irrequieto
  • Il clericalismo disponibile.

La cultura minore della maggioranza popolare italiana è convissuta con la cultura ufficiale, quasi ignorandosi a vicenda per quasi cinquant’anni, anzi disprezzandosi a vicenda. Se poi si è formata un’area di mutua comprensione, di apertura e dialoghi, di riconoscimento dei vantaggi tecnici offerti al pensiero dell’uomo comune da parte della cultura d’élite, di riconoscimento dell’interesse folkloristico dei costumi popolari per l’alta cultura, ciò non ha per niente confuso i fondamenti distinti da cui gli uni e gli altri partono. Ancor oggi, più che mai, la cultura élitaria, che adesso ama chiamarsi laica o laicista, è eversiva nei confronti della storia cristiana d’Italia, tutta impegnata nel sopravvalutare le ombre, gli errori, i limiti, le angustie d’un passato che sotto il nome cristiano si sforzava di annaspare meglio che fosse possibile a capirne e viverne i valori, tutta impregnata a presentare le conquiste scientifiche e civili dell’Occidente come frutto del rifiuto, anziché dell’approfondimento, del pensiero cristiano, tutta fiduciosa nei connotati mondani, terrenistici e perfino lascivi del progresso. Più che mai, ancora oggi la cultura popolare è credente, legittimista  nel senso che è impegnata a rispettare la continuità delle linee di pensiero che hanno valorizzato persona, famiglia, paese in una visione di bontà, di sacrificio, di amore, legittimista anche nel senso che è affezionata ai simboli umili o solenni, ingenui o artistici, privati o corali dell’onda suggestiva degli antichi valori.

Armando Rigobello, nel Cristianesimo e cultura

La cultura infatti può far insuperbire <<scientia infiat>> (S. Paolo 1 Cor 8,2) chi la possiede. L’esatta impostazione del problema, nel suo profilo etico-ascetico, è stata formulata sa S. Bernardo:

<<Vi sono di quelli che vogliono sapere tanto per sapere, e ciò è curiosità; altri, perché si sappia che loro sanno, e questa è vanità; altri ancora che studiano per vendere il loro sapere per denaro o per onori, ed è cosa turpe. Chi vuole conoscere per propria edificazione, compie un’azione prudente; chi infine studia per edificare gli altri, compie opera di carità>>. Bernardo di Chiaravalle, In Cantica canticorum, Sermo XXXVI, P.L. 183, 968.

Paolo Doni

Rapporto fede e politica

Quarto livello: l’efficacia nell’agire

Pagina 150

Sul piano oggettivo esige la capacità di articolare l’immutabile col contingente, i principi con le situazioni, le esigenze delle persone con quelle del bene comune, il dato oggettivo col sentire soggettivo. E’ una capacità di coniugazione.

Per il cristiano questa capacità è data dalla virtù della prudenza, che è l’auriga del nostro agire morale. Per Aristotele e per S. Tommaso d’Acquino la prudenza è la <<recta ratio agibilium>>. <<Recta>< perché fa da tramite, da raccordo tra i principi e le situazioni <<agibilium>>, perché non è la ricerca dell’eqquilibrismo immobilizzatore, ma la ricerca del <<da farsi>> per dare una risposta <<recta>> ai problemi che si pongono davanti. E’ per questo che Giovanni Paolo II nella Laborem exercens definisce la politica <<prudens curatio boni comunis>>. <<Prudens>> richiama il tema della prudenza, cioè la capacità di calare nella realtà, sempre problematica, a mo’ di fermento e di lievito, i valori, i principi, le norme, la fede. <<Curatio>>, dice la ricerca, la fatica, il cammino progressivo, lento, senza illusioni di aver mai trovato la bacchetta magica.

<<Boni comunis>>, dice quel bene della totalità senza annullare il bene delle parti.

Comprendiamo perché Paolo VI amava ripetere che oggi, di fronte alle complesse domande che emergono dalla nostra società, la carità dei cristiani, il loro amore al prossimo, deve diventare politica. La politica – egli diceva – è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri.

Sul piano soggettivo, la ricerca dell’efficacia richiede la competenza professionale, qualificata, aggiornata, capace di invenzione continua; richiede la moralità personale, la chiarezza nel saper rifiutare ciò che è contrario alla fede e all’interesse della popolazione; richiede la collaborazione che sa cercare con tutti, che sa sostenere il confronto e il dialogo.

Paolo Doni alla pagina 154:

  • Ci sono delle urgenze che richiedono un pronunciamento, una presa di posizione della comunità cristiana. Di fronte a esse non sarà bene che la comunità resti muta e neutrale. Un presa di posizione e una decisione operativa, però, saranno possibili e corrette se tutta la comunità, non solo i responsabili, sarà coinvolta nel problema e se la decisione servirà a rendere più responsabile e attenta la comunità. Fosse un’azione o una decisione

Isolata, di vertice, non sarebbe espressione di Chiesa e non sarebbe maturante per la comunità.

I momenti di spiritualità, che pure sono necessari e anzi dovranno essere incrementati, saranno sempre momenti di verifica, di rettifica, di ricerca interiore.

Giuseppe Dal Ferro alla pagina 158:

La politica come esercizio di carità

La <<politica>> si distingue dal <<privato>>, ma anche dal <<sociale>>, in quanto promuove il bene comune generale consentendo a tutte le persone e alle comunità esistenti all’interno della collettività di perseguire ordinatamente i propri fini e di armonizzarsi le une con le altre e con l’intera collettività. Il politico tradirebbe la sua natura se si identificasse con il <<privato>> o con il <<sociale>>, degenerando in clientelismo o in corporativismo. Se però negasse il privato o il sociale degenerebbe nel totalitarismo.

Se allora è carità soccorrere il povero, venire incontro all’ingiustizia di chi è emarginato, ancor più è carità ricercare il bene comune. <<Il dovere fondamentale del potere è la sollecitudine per il bene comune della società (…). Quel bene comune, che l’autorità serve nello Stato, è pienamente realizzato solo quando tutti i cittadini sono sicuri dei loro diritti>> (Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 1979, n. 17). In questo senso si capisce l’affermazione sopra riferita della politica come maniera esigente della carità. Cristo >>ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità>>. Ora andate incontro alle aspirazioni dell’uomo, servire e così porre le condizioni della pace affermando la fraternità universale, è senza dubbio l’apice della carità.

In una lettera dell’agosto 1954, quasi alla vigilia della morte, Alcide De Gasperi scriveva queste parole, che sono una sintesi del concetto di servizio. <<Quello che dobbiamo soprattutto trasmettere l’un all’altro è il senso del servizio del prossimo, come ce lo ha indicato il Signore, tradotto ed attuato nelle forme più larghe della solidarietà umana, senza menar vanto all’ispirazione profonda che ci muove e in modo che l’eloquenza dei fatti ‘tradisca’ la sorgente del nostro umanesimo e delle nostre socialità>>.

Paolo Doni alla pagina 178,

Imparare a fare politica significa imparare a superare la logica miope delle ideologie. Inutili allora le ideologie? Certamente no. Esse sono gli strumenti di lettura per una realtà che è sempre molto complessa; sono strumenti di comunicazione, di progettazione. Ma appunto; sono <<strumenti>>, e tali dovranno sempre restare e come tali dovranno sempre essere gestiti, nella consapevolezza che la realtà è più grande, più complessa, più misteriosa delle letture che di essa può fare una ideologia. Una lettura della realtà non esaurisce mai la realtà stessa.

Il cristiano che vuole imparare a fare politica, come espressione eminente della carità, dovrà imparare a contestare la pretesa di assolutezza di tutte le ideologie; a cogliere il positivo che in esse, in tutte, si trova; a metterle in dialogo, in confronto tra di esse e con la realtà. Il cristiano diventa così, proprio usando i suoi strumenti culturali e ideologici, l’uomo del dialogo, del confronto, della comunicazione, non l’uomo della chiusura, del dogma, dell’imposizione.

Gli strumenti.

La politica oggi si fa scegliendo il campo, scegliendo il partito. Che ci siano più partiti, come da noi, è un fatto positivo, segno e garanzia di democrazia. Nessuno tuttavia dei partiti è assolutamente giusto: la realtà del Paese è molto più ricca e può essere letta e affrontata da ottiche diverse, tutte contemporaneamente giuste e contemporaneamente parziali.

In Italia i partiti sono espressione di ideologie: accettare un partito significa accettarne le ideologie di riferimento. La logica dei partiti è la logica delle ideologie, più che la logica delle persone e della realtà; la disciplina è quella della ideologia. E tutto nei partiti obbedisce alla ideologia (dalla organizzazione interna, alle alleanze, alla collocazione internazionale).

E’ questa logica che il cristiano non può accettare come dato irreformabile, anche quando sceglie un partito che si rifà a una ideologia che non è in contrasto con la sua fede.

L’urgenza del cristiano, alla quale mai potrà rinunciare finché vorrà essere un uomo di fede, è la carità come risposta efficace alle necessità. Egli potrà scegliere un partito, anzi dovrà sceglierlo: non scegliere significherebbe rendere velleitaria la carità. Il partito sarà lo strumento operativo, non il fine. E sarà strumento proprio nella sua razionalità, nella sua logica. Il cristiano non seguirà un partito perché espressione della sua fede: nessun partito sarà tale, proprio per il necessario riferimento ideologico che lo qualifica; neppure sceglierà un partito perché longa manus della sua carità: negherebbe la <<laicità>> del partito stesso. Il cristiano sceglierà un partito utilizzandolo, ponendosi in esso in modo attivo senza delegare al partito stesso la realizzazione dei valori e degli obiettivi della fede. Il partito non è per il cristiano l’espressione temporale della fede  o della chiesa.

Di qui alcune conseguenze:

  • Il cristiano che sceglie un partito sarà sempre anche un contestatore del partito scelto; sarà uno che sa usare il partito, ma saprà anche andar oltre le indicazioni e le logiche del partito.
  • Il cristiano farà funzionare un partito nel modo più perfetto alla ricerca continua di efficienza: da esso dipende la soddisfazione di bisogni autentici dei fratelli.
  • Il cristiano cercherà sempre la collaborazione, il dialogo, il confronto con gli altri partiti nel tentativo comune e continuo di dare la risposta più perfetta alle necessità della popolazione.
  • Il cristiano costringerà anche gli altri partiti a misurarsi, non sulle proclamazioni di principi ideologici, ma sulla risposta ai problemi della gente, sulla promozione delle persone.

Il metodo.

Non può essere che quello democratico che è certamente il metodo più difficile, ma l’unico coerente con la impostazione cristiana dell’uomo e della società.

Per democrazia intendiamo l’organizzazione della società in cui ciascuno sia <<soggetto>>, cioè elemento attivo e responsabile che interagisce con gli altri soggetti. Certamente una società democratica di questo tipo è l’utopia di tutte le forme oggi esistenti di democrazia reale. Imparare a fare politica significa imparare a vivere democraticamente.

La democrazia non è solo un metodo: è una mèta, è l’obiettivo cui deve tendere il fare politica, perché dice la realizzazione piena di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Essa dice la direzione, il dinamismo della politica, la logica che la politica deve attuare.

La democrazia comporta ed esige il pluralismo accettato, suscitato, valorizzato; la comunicazione tra parti diverse; il coordinamento attorno a un obiettivo comune stabilito dalle urgenze del territorio. La democrazia è il contrario dell’autoritarismo sia individuale sia  collettiva. E’ il contrario della usurpazione del  protagonismo e della responsabilità; è il contrario della abdicazione al protagonismo e alla responsabilità.

La democrazia vive e cresce (e con essa le persone) in proporzione della elaborazione di strumenti e strutture che la favoriscano. Tali sono le leggi. Le leggi sono lo strumento privilegiato della democrazia, perché sono lo strumento della giustizia, cioè del rispetto e della promozione del protagonismo delle persone, dell’uso delle realtà terrene secondo una finalità corretta. E’ determinante pertanto la elaborazione della legge, come la sua corretta applicazione e il controllo sulla applicazione stessa.

Molto importante diventa anche il ruolo di chi in democrazia è chiamato a rappresentare gli altri e a esercitare l’autorità. L’autorità non sarà mai, per il cristiano e per l’uomo democratico, un porsi sopra gli altri, bensì un coordinare il protagonismo di tutti per il raggiungimento del bene comune. Solo allora si potrà dire  con verità che l’autorità è un servizio. Si comprende allora la dignità e la responsabilità di chi è posto in autorità o è chiamato a rappresentare gli altri in un organismo democratico. Si comprende anche l’importanza della scelta delle persone per i posti di responsabilità.

Imparare a fare politica equivale veramente a fare della politica una espressione esigente della carità verso i fratelli.

Avevo in mente di annodare due grandi visionari della PACE e della NONVIOLENZA – Don Tonino Bello e Mahatma Gandhi – il materiale c’era dunque – immaginando la gente seduta ad ascoltare …

La politica in quanto scienza della cittadinanza ed i politici in quanto operatori di pace

La pace del mondo e la pace di Gesù Cristo

C’è una pace dei filosofi. E c’è una pace di Cristo.

La prima è quella prodotta dai nostri sforzi diplomatici, costruita dai dosaggi delle cancellerie, frutto degli equilibri messi in atto dalle potenze terrene. Al punto che, se una sola condizione va in crisi, si rompe il giocattolo e ruzzola tutto intero il castello.

La pace di Cristo, invece, è quella che non esige garanzie, che scavalca le coperture prudenziali, e che resiste anche quando crollano i puntelli del bilanciamento fondato sul calcolo. Questo è il senso profondo dell’espressione che proprio oggi è risuonata nella Messa: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come ve la dà il mondo, io la do a voi” (Giov 14, 27).

Questo è il salto di qualità a cui ci provoca la frase divenuta ormai celebre di D. Bonhoeffer: “Osare la pace per fede”.

Ci riempie di commozione un testo che questo grande testimone del Risorto scrisse nel 1934, e che è divenuto un monito per noi:

                “Una via per la pace che passi per la sicurezza non c’è. La pace infatti deve essere osata. E’ un grande rischio, e non si lascia mai e poi mai garantire. La pace è il contrario della garanzia. Esigere garanzie significa diffidare, e questa diffidenza genera di nuovo guerre. Cercare sicurezze significa volersi mettere al riparo. Pace significa affidarsi interamente al comandamento di Dio, non volere alcuna garanzia, ma porre nelle mani di Dio Onnipotente, in un atto di fede e di obbedienza, la storia dei popoli … Chi rivolgerà l’appello alla pace così che il mondo oda, che sia costretto a udire? … Solo la Santa Chiesa di Cristo può parlare in modo che il mondo, digrignando i denti, debba udire la parola della pace, e i popoli si rallegreranno perché questa Chiesa di Cristo toglie, nel nome di Cristo, le armi dalla mano dei suoi figli e vieta loro di fare la guerra e invoca la pace di Cristo sul mondo delirante”.

Beati i costruttori di pace

(Riflessione svolta nell’incontro di spiritualità per gli Operatori della politica, tenutosi a Molfetta il 22 dicembre 1985).

Chi state servendo: il bene comune o la carriera personale? Il popolo o lo stemma? Il municipio o la bandiera del partito?

Il futuro è nelle radici

Carissimi,

se dovessi trovare una frase a effetto per spiegarvi a quale titolo mi sono sentito autorizzato a convocarvi, ne adopererei una di lontano sapore sessantottesco: “Il futuro è nelle radici!”.

E siccome ho la convinzione che (benché i rami e le fronde e forse anche i frutti sembrino dire il contrario) possediamo radici comuni, e queste sono indiscutibilmente cristiane, mi son detto: “Travalico dai miei compiti di vescovo se, all’approssimarsi del Natale, chiamo tutti coloro che si impegnano nella politica (che è essenzialmente l’arte di costruire il futuro) per una ricognizione comunitaria delle nostre identiche radici?.

Insisto su questa provenienza comune dall’unico ceppo cristiano, che ci unifica molto più di quanto non ci diversifichi ogni successiva diramazione.

E’ in forza di questo ceppo che Benedetto Croce affermava: “Noi non possiamo non dirci cristiani”.

E’ in forza di questo ceppo che Gaetano Salvemini scriveva nel 1947: “Credo solo nel Critone di Platone e nel Discorso della Montagna. Questo è il mio socialismo, e lo tengo inespresso nel mio pensiero, perché a esprimerlo mi pare di profanarlo. Cerco di esprimerlo meglio che posso nelle opere. Affrontare problemi concreti, immediati, seguendo direttive di marcia dettate dalla morale cristiana, e non perdere tempo in disquisizioni teoriche su che cosa è, cosa dovrebbe essere, che cosa sarà la democrazia, il marxismo, il socialismo, l’anarchia, il liberalismo … che se ne vadano tutti quanti a casa del diavolo. Perdere tempo a pestare acqua nel mortaio delle astrazioni è vigliaccheria; è evadere ai doveri dell’azione immediata, è rendersi complici della conservazione dello status-quo”.

E allora, se è vero che le nostre radici sono cristiane e che il futuro è nelle radici, oggi, dissotterrandole da cumuli di zolle, vorremmo esporne al sole qualcuna.

Sarà, me lo auguro, una esercitazione salutare, visto che attorno ad esse alcuni di noi, forse dai tempi dell’adolescenza, non hanno né zappato né innaffiato. Altri le hanno ricoperte di terra e di detriti, ripudiandone le antiestetiche nodosità. Altri le hanno recise o tenute sotto controllo per paura che ramificazioni sotterranee producessero scassi ulteriori.

Altri, nel migliore dei casi, si son limitati a esporle, per puri scopi ornamentali, nel museo ortobotanico delle loro memorie, ma senza farle mai esplodere nel rigoglio dei tronchi, nella lucentezza delle fronde, nella carnosità dei frutti.

Beati gli operatori di pace

In questo tentativo di “ricognizione”, ho pensato di scegliere un tema generatore molto forte, partendo proprio dal Discorso della Montagna, è precisamente da una espressione di Gesù: “Beati gli operatori di pace: saranno chiamati figli di Dio”:

Se uno mi chiedesse a bruciapelo. “Dammi una definizione di quel che dovrebbero essere i politici”, io risponderei subito: “Operatori di pace”.

Che cosa è la pace?

E’ un cumulo di beni.

E’ la somma delle ricchezze più grandi di cui un popolo o un individuo possa godere.

Pace è giustizia, libertà, dialogo, crescita, uguaglianza.

Pace è riconoscimento reciproco della dignità umana, rispetto, accettazione dell’alterità come dono.

Pace è rifiuto di quelle posizioni filosofiche del catastrofismo degli ultimi anni secondo cui “l’uomo non è più di moda” e va disormeggiato con tutta la sua storia.

Pace è temperie di solidarietà: solidarietà, che non è più uno dei tanti imperativi morali, ma è l’unico imperativo morale, che noi credenti chiamiamo anche comunione.

Pace è il frutto di quella che oggi viene indicata come “etica del volto”: un volto da riscoprire, da contemplare, da provocare con la parola, da accarezzare.

Pace è vivere radicalmente il “faccia a faccia” con l’altro. Non il teschio a teschio. Vivere il “faccia a faccia”, non con gli occhi iniettati di sangue, ma con l’atteggiamento del “disinteresse”. Anzi, del “dis-inter-esse”, scritto proposito in tre pezzi, come osserva Italo Mancini, per dire che nel movimento di fondo del faccia, indicato dal pezzo intermedio (“inter”), quello che io debbo fare è depotenziare (“dis”) la pretesa del mio essere (“esse”) a porsi come sovrano.

Pace, perciò, è “deporre l’io dalla sua sovranità, far posto all’altro e al suo indistruttibile volto, instaurare relazioni di parola, comunicazione, insegnamento; quello che categorie mistiche, che possono essere lette in senso etico, esprimevano con la parola abbandono e svuotamento. Prima ancora che fatto politico, la deposizione è un fatto di giustizia e di alta moralità”. (ITALO MANCINI, L’uomo è ancora di moda?, in “La vicenda uomo tra coscienza e computer”, Assisi 1985, p. 50.

Pace, per usare un’immagine, è un’acqua che viene da lontano: l’unica in grado di dissetare la terra, l’unica capace di placare l’incoercibile bisogno di felicità sepolto nel nostro inquieto cuore di uomini.

Quest’acqua che, in larga parte discende dal cielo e in minima parte deriva dalle risorse idriche della terra (ma anche queste, in ultima analisi, non provengono dall’altro?), si trova in un acquedotto. Si tratta ora di portarla a tutti.

Ed eccoci al ruolo degli operatori di pace, cioè I POLITICI.

Chi sono gli operatori di pace?

Sono i tecnici delle condutture; gli impiantisti delle reti idrauliche; gli esperti delle rubinetterie. Sono coloro che, servendosi di tecniche diversificate, si studiano di portare acqua della pace nella fitta trama dello spazio e del tempo, in tutte le case degli uomini, nel tessuto sociale della città, nei luoghi dove la gente si aggrega e fioriscono le convivenze.

Mahatma Gandhi

POLITICA  = Scienza della cittadinanza

            Per vedere faccia a faccia l’universale e onnipotente Spirito di verità, non ci si può estraniare da nessun campo, per quanto piccolo che sia, della vita. Ecco perché la mia devozione alla verità mi ha spinto verso la politica, e posso dire senza la minima esitazione, se pure con tutta umiltà, che coloro i quali pretendono che la religione non abbia niente a che fare con la politica non sanno che cosa sia la religione.

            La politica non è differente da altre attività della nazione. Etimologicamente, politica significa “scienza della cittadinanza” ed è lontanamente connessa al termine educazione. Poiché il concetto di cittadinanza è stato esteso a tutti i continenti, la scienza della politica viene ad includere il progresso umano in tutti i campi, sociale, morale, economico e politico in senso stretto! Young India, 24 dicembre 1938

            “Ho sempre detto che la mia politica è al servizio della mia religione. Mi sono ritrovato in politica perché non potrei vivere la mia vita religiosa, che è una vita di servizio, senza entrare in politica. Smetterei oggi stesso di fare politica, se mi accorgessi che è contraria alla religione. Perciò non sono d’accordo con chi afferma che, essendo un uomo politico, non posso interessarmi di religione”. Young India, 19 giugno 1924

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