Murisengo
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MURISENGO, un popolo FEDELE in cammino

https://www.ilmonferrato.it/articolo/dOTmzWuOqUyARbHS_N4-Ww/il-governatore-cirio-a-murisengo-per-la-casa-di-comunita

La Fiera del TARTUFO – 2022 – 2° e 3° Domenica di NOVEMBRE/ cioè 13 e 20 novembre 2022 – ma non solo …








NEL 1986 potevamo leggere nella Guida del Monferrato, 
TURISMO, VINI, GASTRONOMIA
Fonti Idropiniche
“A metà salita per il paese svoltando a sinistra per la frazione Rio, si raggiunge la <<Pirenta>> una delle più famose fontane sulfuree monferrine, la cui facciata in pietra venne ordinata nel 1859 dal Marchese Giuseppe Scozia. Merito di aver fatto, si direbbe oggi, da addetto alle pubbliche relazioni per la fonte fu nel 1790 il naturalista padre Giovanni Agostino De Levis, che in numerose lettere ne segnalava non solo le proprietà terapeutiche, ma anche quelle di guarire il bestiame, disinfestare il grano da seme, sbiancare il bucato e rendere lucente la seta. ”












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Marco Protopapa - Assesore Regione Piemonte - Fiera Nazionale Tartufo Murisengo 2022 - 55°
Trifola d'Or




Marco Protopapa - Assesore Regione Piemonte - Fiera Nazionale Tartufo Murisengo 2022 - 55° 
Trifola d'Or











Chiesa Madonna della Neve, Murisengo (Al)

Monsignor   Alessandro Pronzato, racconta il Rosario alla <<Madonnina>> nel mese di maggio, di ogni anno.

Il Rosario

Preghiera dei <<Resistenti>>

C’era una volta il mese di maggio.

Forse c’è ancora. Almeno lo spero, anche se non pretendo sia come quello di una volta.

Comunque ricordo, con un pizzico di nostalgia, i mesi di maggio della mia infanzia.

In casa si anticipava leggermente l’ora della cena. Mia madre non sparecchiava la tavola, metteva fretta al babbo, bisognava <<andare al Rosario>>.

Il paese, un tempo, era tutto arroccato in alto, protetto dal castello munito di torre e dalla maestosa parrocchiale barocca. Poi, a poco a poco, le case sono scivolate sempre più in basso. Il polo estremo era costituito da una graziosa chiesa dedicata alla Madonna, circondata da campi.





Murisengo – Via Umberto I

Laggiù, <<alla Madonnina>>, era fissato l’appuntamento per il mese di maggio.

Noi bambini si sciamava in mezzo ai prati o si inseguiva le lucciole lungo i fossati.

Il parroco, in cotta e stola, usciva a recuperarci annunciando:

-Presto, si canta la Salve Regina.

Noi, invece, sapevamo che non era ancora finita la terza decina. Ma eravamo ugualmente soddisfatti che ci fosse stata abbuonata una metà della corona.

Allogato nel minuscolo presbiterio, io non staccavo gli occhi dai banchi di sinistra, dove si stagliavano alcune figure che mi erano familiari. C’era la Tina del tabaccaio, la Maria del forno, la lavandaia Antonietta, la Pinota, l’Ernestina pizzicagnola, la mia vecchia maestra … Tutte sgranavano devotamente il loro grosso Rosario. Talvolta si sentiva perfino tintinnare la corona contro il banco.




















Oggi ripenso a quelle donne. Tutte avevano alle spalle una storia di fatiche immani, vicende dolorose, sacrifici inenarrabili, una dedizione pagata a caro prezzo, una fedeltà più tenace di tutti i colpi subìti.

Dal libro di Domenico Anselmo, Storia di Murisengo - recentemente scomparso 

Il paese, pochi anni più tardi, sarebbe diventato un luogo strategico dei partigiani, e le colline dei dintorni sarebbero state controllate dagli uomini della Resistenza. Io ritengo, però, che quelle donne fossero <<resistenti>> da sempre.

E non posso fare a meno di collegare la loro commovente <<tenuta>> con la recita del Rosario.

Il Rosario rappresentava il loro sacramento supplementare. Sacramento che spiegava la loro incredibile capacità di resistere, non piegarsi, non desistere, far fronte ai duri impegni della vita, passare in mezzo alle bufere più squassanti.

La loro fede e la loro ruvida stoffa umana erano cucite e tenute insieme da quel filo robusto, leggermente rigonfiato da decine di migliaia di Ave Maria.

Recitavano, regolarmente, anche i Misteri gaudiosi e gloriosi. Ma alcune di loro, nella vita quotidiana, continuavano a sgranare, concedendosi solo un sospiro – l’unica loro forma di protesta – una serie interminabile di Misteri dolorosi. Sembrava che il Signore ne inventasse continuamente qualcuno di nuovo, appositamente per loro.

Mia madre, in chiesa, aveva sempre il capo chino. E io – riferendomi a certi racconti che mi snocciolava la sera – avevo l’impressione non riuscisse ad abbandonare la posa scomoda di quando faceva la mondina ed era costretta tutto il giorno a tenere la schiena piegata in due con la fronte che sfiorava l’acqua ammorbante.

La corona di mia madre meriterebbe una storia a parte. Non si è mai spezzato il filo. E dire che lei non aveva le mani delicate (esistessero strumenti appropriati, accerterebbero sulla pelle, in alcuni punti precisi del mio corpo, inequivocabili, le impronte digitali materne …).

Quando è venuta con me in udienza da Paolo VI, il Papa le ha fatto dono di un Rosario prezioso.

Lo mostrava, orgogliosa, alle amiche. Ma non l’ha mai usato. Troppo delicato, temeva di romperlo. Si fidava unicamente del suo, solida, a prova di strattoni, coi grani scuri leggermente smangiati e tendenti ormai al grigio.

Quella corona gliel’ho messa nella barra. Era ancora la stessa che le vedevo in mano, quand’ero bambino, nel mese di maggio.

A ricordo del Dott. Pericle Lavazza Murisengo

Ormai prete, tutte le volte che tornavo a casa, non esitava a domandarmi a che punto fossi del Breviario. Poi veniva a prendere i pantaloni quand’ero già a letto. Voleva stirarli a ogni costo. Era la sua maniera, discreta, di accertare se in tasca ci fosse la corona. Non l’avesse trovata, temo che sulla mia pelle di <<unto del Signore>> si sarebbero aggiunte altre impronte supplementari …

Mi capitava anche spesso – specie in tempi più recenti – di rientrare nel cuore della notte, ubriaco di autostrada, di fatica e di sonno, il viaggio reso drammatico dalla nebbia più impenetrabile.

Appena varcata la soglia, si spegneva la luce nella sua camera. E mi pareva di avvertire il fruscio caratteristico del grosso Rosario posato sul comodino.

Poteva addormentarsi, finalmente, con un sospiro di sollievo.

Anche questa volta era andato tutto bene.

Non mi aveva perso di vista, nel buio della notte e nella nebbia, anzi mi aveva pilotato, con quel radar domestico, graffiato chissà quante volte dalle ossute dita trepide.

Radar. O forse guinzaglio. Sì, perché ho l’impressione – oggi più di allora – che mia madre usasse il Rosario anche come guinzaglio. E tirasse con tutta la forza della sua preghiera per mantenermi in careggiata.

Lei era consapevole di essere più forte – nonostante i miei studi, i libri letti e scritti, le peregrinazioni per il mondo – perché teneva in mano la corona e la sapeva usare come si deve.

Potevo anche trovarmi in Africa. Lei allungava il filo e ci metteva qualche migliaio di granelli neri – un po’ smangiati, tendenti al grigio – in più.

Io avevo dalla mia la carta stampata. Lei le Ave Maria. Non c’era proporzione. Manco a dirlo, sulla bilancia quel cumulo di granellini aveva più peso delle tonnellate di carta macchiata d’inchiostro.

Ho motivo di sospettare che in cielo mia madre sia riuscita a recuperare la vecchia, inseparabile corona col filo che non si è mai spezzato. Gliel’avranno concesso quale premio e … come strumento di lavoro.

Infatti, qualche volta, quando tendo a scantonare, mi pare di avvertire un robusto strattone …

E mi sorprendo a immaginare quanto dev’essere lungo il filo di quel guinzaglio provvidenziale.

Sorridendo, borbotto: <<Neppure lassù l’hanno convinta ad adottare nei miei riguardi le maniere delicate>>.

… Per fortuna.

Comunque, questo non vuol dire essere semplicemente Amarcord.

Negli ultimi tempi non sono mancati attacchi condotti da alcuni barbassori superciliosi contro la pratica del Rosario definita <<sorpassata>>, <<anacronistica>>, <<diseducativa per una corretta pedagogia della preghiera>>, <<di una ripetitività mortificante>>, <<di una monotonia intollerabile>>, e chi più ne ha più ne tolga.

Il Rosario deriso e diffamato, o guardato con sospetto oppure con degnazione. Quasi un verso.

Personalmente, non mi sono mai lasciato impressionare da questi campioni di una fede <<a prova di laboratorio teologico>>.

Ascoltandoli, riflettevo immancabilmente che ci voleva ben altro per sgominare l’intrepido drappello di donne schierate in <<formazione di resistenza>> insieme a mia madre.

La vecchia corona <<tiene>> ottimamente. Ha resistito ai colpi più squassanti che ci sono abbattuti su quelle esistenze. E non saranno certamente delle formulette brillanti pronunciate con le narici arricciate a spezzare quel filo sottilissimo, più robusto di una fune.





Donatori per Asilo d’Infanzia a MURISENGO




Anche la nostra vita di fede <<tiene>> grazie a quella corona.

Percorrendone i granellini, abbiamo la possibilità di ritrovare un senso per la nostra esistenza, agganciarla al mistero, esplorare territori nuovi, o comunque diversi da quelli battuti dalla maggior parte dei nostri <<dissimili>>, sentirci <<vigilati>> da una presenza materna, tenuti in careggiata da quel guinzaglio invisibile (si tratta di un guinzaglio che ci mantiene liberi e ci impedisce di cadere nelle innumerevoli schiavitù della società d’oggi).

Il Rosario può fare di noi dei resistenti. Resistenti alle mode, all’imbarbarimento progressivo, alla stupidità, alla cialtroneria, alla propaganda, alla superficialità.

Lasciamo pure che qualcuno rida o sorrida.

Pare che la vita continui a essere una cosa seria.

… C’era una volta il mese di maggio. Forse c’è anche oggi. Non dovrebbe essere difficile, infatti, reclutare persone fermamente intenzionate a <<resistere>>.





















Altare Madonna della Neve_Murisengo












Particolare dell’Altare Madonna della Neve_Murisengo
Adolfo Cormanni dipinto una serie di Via Crucis _1
Adolfo Cormanni quadro sito nella Chiesa Madonna della Neve, Murisengo
Adolfo Cormanni, dipinto sito nella Chiesa Madonna della Neve, Murisengo
Adolfo Cormanni, dipinto sito nella Chiesa Madonna della Neve, Murisengo
Adolfo Cormanni, dipinto sito nella Chiesa Madonna della Neve, Murisengo

Monsignor Alessandro Pronzato un gigante della psicologia cristiana

Dal libro <Il Rosario – Preghiera nel quotidiano>

Troppa gente si illude di far camminare la storia soltanto perché dirige il traffico dei minuscoli avvenimenti che riempiono i giornali, gli schermi e i libri e le copertine dei rotocalchi. Mentre i veri <artefici della storia> operano in disparte, e soprattutto agiscono in profondità.

Se gli eccitati ed esagitati attivisti – anche delle <opere buone> – scoprissero, a un tratto, a chi sono dovuti certi brillanti successi, certe realizzazioni, misurerebbero tutta la ridicolaggine del loro inguaribile complesso di <mosche cocchiere>.

Se predicatori, conferenzieri e organizzatori instancabili costatassero quali sono le persone <insignificanti> che tengono in piedi, fanno camminare e funzionare il mondo, la Chiesa, gli Ordini religiosi e tutto il resto, sicuramente perderebbero un po’ della loro supponenza e spavalderia e nutrirebbero qualche dubbio circa l’identità dei componenti la cosiddetta <ala portante>.

Beh, capiscano o meno quei signori, entrino o meno nella prospettiva dell’ultimo mistero glorioso del Rosario, resta l’insostituibile necessità di questa gente insignificante, che se ne sta in un angolo, apparentemente estranea alla mischia. Capace però di pregare, di contemplare, di servire. Soprattutto, di essere.

In mezzo a un mondo percorso dalla frenesia della pubblicità e dell’esibizionismo più cafone, in cui tutti si illudono di fare cose estremamente importanti, per fortuna c’è un esercito formato da tenaci, gioiosi specialisti del lavoro sotterraneo. Ci sono gli instancabili faticatori nell’ombra, impiegati in azioni poco appariscenti, di scarso rilievo esteriore, di modesta risonanza, impossibile da inquadrare in una qualsiasi contabilità.

E, alla testa di questo esercito sterminato, una donna rivestita di luce. Una donna che ha sempre camminato in punta di piedi …





















Adolfo Cormanni, dipinto sito nella Chiesa Madonna della Neve a Murisengo
































































Murisengo 1969 Campioni d’Italia Tamburello
































































Cappella del Castello di Murisengo




Panorama dal giardino del Castello di Murisengo




Murisengo e dintorni, veduta dal giardino del Castello di Murisengo




La storia di un posto, non si può inventare, deve essere vera, per questo trovo strano il fatto di non “copiare” la storia, nemmeno indicando la sorsa, anzi mi sembra una assurdità, come se abbiamo genitori ma non dobbiamo mai nominarli. Per mille cose ci può stare, ma la storia di un posto, chiesa per esempio, chi l’ha costruita e perché … possiamo inventacela ciascuno, per non aver “copiato” LA VERITA’ dei fatti storici? Trovo strano. Importante è che sia VERA per onestà intellettuale, per rispetto della storia del posto.

Dunque non posso inventarmi la storia di Murisengo, dei suoi luoghi di culto, posso scegliere la più fedele alla verità. Ho scelto quella descritta, trovata nel sito www.artestoria.net per i luoghi di culto, alla lettera M.

Favolosi i luoghi del Sacro Monte di Crea dallo stesso portale





https://www.sacrimonti.org/sacro-monte-di-crea





Dial. Ambrüžèng. Munesingum, 940 [BSSS 28, doc. 55, p. 97].

Nel 1928 a Murisengo venne aggregato il comune soppresso di Corteranzo [R.D. n. 2413, 4/10/1928].

Abitanti: 750. Distanza da Casale Km 28 Altezza: m 338 s. m. Provincia di Alessandria.

Parrocchia di S. Antonio Abate. Dalla diocesi di Vercelli passò nel 1474 alla nuova diocesi di Casale [De Bono 1986, p. 34], nel 1805 alla diocesi di Asti, infine nel 1817 nuovamente alla diocesi di Casale [Bosio 1894, pp. 134-41].

Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate: presso il castello. Fu fatta costruire tra il 1743 e il 1754 dal parroco don Carlo Serra Madio, sui resti di una chiesa precedente, citata nel 1577 [Guasco 1912, p. 46]; progettista fu Giovanni Peruzzi (pagamento nel 1748) [Casalis, vol. XI, 1843, p. 610; Ieni 1995, p. 20 n. 7]. Gli altari in marmorino vennero realizzati entro il 1755 da Francesco Solari [Di Majo 2010, p. 52]. Segnalati interventi dei pittori Ferraris («le due nicchie delle Vergini, e tendoni» sopra gli altari laterali, 1751), Luca Rosselli di Orta (volta, 1751), Carlo di Moncalvo (Carlo Gorzio? quattro piccole pitture d’altare nelle cappelle, 1754), Carlo Muttone, Carlo Felice Bianco e Pietro Piazza di Torino (maggior parte dei restanti affreschi, 1753-54). Nel 1753 risultava dipinta anche la facciata [Pommer 1967, pp. 165-66]. Don Serra Madio fece pure costruire la casa canonica e la casa degli esercizi spirituali (quest’ultima, ceduta al comune di Murisengo, è stata demolita). La chiesa fu consacrata da mons. Ignazio della Chiesa il 29/9/1754 [AD 1991, p. 162]. Il campanile, più tardo, era già innalzato nel 1777 [Guasco 1912, p. 46].

La sobria facciata in mattoni a vista, restaurata e intonacata nel 1865, restituita al cotto nel 1942 [Niccolini 1877, p. 409; Prola 2002, p. 182], è divisa orizzontalmente da una trabeazione, sopra la quale quattro delle sei lesene proseguono verso il timpano; la parte superiore più stretta è raccordata da volute [Grignolio 1993, p. 71]; nella lunetta della porta d’ingresso è dipinto S. Antonio Abate nel deserto. L’interno è molto interessante, tra i migliori esempi del rococò piemontese per l’armonia degli stucchi e delle decorazioni. Pianta a croce greca, con presbiterio e abside rettangolare; il disegno ricorda il primo progetto di Juvarra per Venaria [Pommer 1967, p. 165]. Abside e presbiterio hanno volte a botte con due lunette per parte; volte a botte coprono anche gli altri ambienti, mentre sulla crociera vi è una grande cupola circolare molto ribassata, senza cupolino. Una buona illuminazione è assicurata da quattro alte finestre nel presbiterio e nel coro; nelle cappellette angolari si aprono piccole finestre trilobate. Tutt’intorno corre un’alta trabeazione con ringhiera di ferro battuto, sostenuta da lesene dai ricchi capitelli compositi di stucco [Olivero 1940, p. 229]. Gli affreschi delle volte (Visione del Paradiso e Gerarchie celesti) di Luca Rosselli (1751) [Pommer 1967, p. 166], sono stati restaurati nel 1976-77 da Gian Luigi Nicola [Spantigati 1978, p. 143]. In corrispondenza delle due cappelle laterali maggiori le decorazioni prospettiche, le colonne e gli eleganti baldacchini sono attribuiti a Ottaviano Giovanni Rapetti; su alte lunette vi sono affreschi staccati e intelati (dal prof. Nicola) con S. Orsola e le sue compagne e la Madonna del Rosario, del Rapetti [Grignolio 1993, pp. 72-73] (Casalis però nel 1843 indicava dipinti di Ropetti, pittore che non può coincidere con Ottaviano Giovanni Rapetti, nato nel 1849 [Casalis, vol. XI, 1843, p. 610; Bellini 1998, p. 342]). L’altar maggiore in stucco coi modiglioni laterali in marmo nero di Como, dedicato a S. Antonio Abate, è opera dei fratelli Solari (1750); è sormontato da un Crocifisso ligneo del 1917 tra dieci candelabri. La balaustrata del presbiterio in stile lombardo, di marmi policromi, con pilastrini policurvi tramezzati da formelle riccamente traforate a volute, fu realizzata da Giovan Battista Galli (1778) [Olivero 1940, p. 229; Di Majo 2010, pp. 503-505]. Il coro ligneo del sec. XVIII ha una decorazione a nastro intarsiato di gusto rocaille. Sopra il coro, in un importante apparato di cornice con colonne, è posta una pala raffigurante S. Candido, contornata da 14 ovali privi di immagini; l’imponente figura del santo militare ricorda il Pirro del Castello di Moncalieri dipinto nel terzo quarto del Cinquecento da Giacomo Rossignolo.

Vi sono sei altari laterali. Le due cappelle laterali maggiori, maestose, poste alle estremità dei bracci della croce, sono delimitate da balaustre marmoree analoghe a quella del presbiterio; hanno altari di stucco dipinto a finto marmo, con quadrature di Ferraris (1751) e statue lignee anch’esse dipinte a finto marmo, opera di Ignazio Perucca (1759), raffiguranti S. Orsola a destra e la Madonna del Rosario a sinistra [Di Majo 2010, pp. 52, 504]. Agli angoli dell’aula sono collocate quattro originali ed eleganti cappellette su pianta rettangolare, a due piani, coperte da piccole cupole a base circolare [Olivero 1940, p. 229]; deliziosi coretti circondano le volte quali minuti matronei; le cappelle sono delimitate da balaustre di legno e hanno piccoli altari di stucco dipinto dedicati a S. Luigi Gonzaga e S. Candido (con S. Rocco) a destra, S. Anna e S. Giuseppe a sinistra; sulle pareti di fondo sono poste pale di autore ignoto incorniciate da stucchi (sec. XVIII). Nella cappella di S. Luigi Gonzaga è conservata entro una nicchia una statua lignea dorata della Madonna del Rosario. Nella cappella di S. Candido, l’ultima a destra, il quadro raffigurante un Angelo che concede la palma e la corona ai Ss. Candido e Rocco ha uno sportello centrale (dipinto col martirio di S. Candido), che copre una grata chiusa da quattro serrature, oltre la quale in una nicchia è riposto un busto-reliquiario d’argento del santo, risalente al 1713 [Guasco 1912, pp. 42, 50]. Un’epigrafe ricorda la storia delle reliquie [Negro 1974, p. 33]. L’imponente pulpito ligneo settecentesco con ornati e rilievi scolpiti raffiguranti S. Antonio Abate e gli Evangelisti, è attribuito a Cristoforo Germano Serra (metà sec. XVIII) [Caramellino 1986, p. 14]. Sopra la porta d’ingresso, su un palco ligneo decorato e sorretto da colonne scanalate rivestite di legno pregiato, si trova il grande organo di Felice Silvera (1842), rimodernato nel 1904 da Giuseppe Gandini e restaurato nel 2013 dai fratelli Marzi. Il precedente organo del 1773, costruito da Giuseppe Savina, fu trasferito nel 1841 a Montechiaro d’Asti [Grignolio 1993, p. 72; Cavallo 1999, pp. 105-110]. Una porta sul lato destro al fondo della chiesa conduce nella sacrestia dove sono collocati i ritratti di quattro parroci che vestono la mozzetta bordata di pelliccia, distintiva dei vicari foranei: Carlo Antonio Serra Madio, Giovanni Michele Mignacco, Celestino Malaterra, Giovanni Francesco Cassone; l’ultimo ritratto è opera di Carlo Antonio Martini (1853).

S. Maria delle Grazie o Madonna della Neve (B. V. ad Nives, detta la Madonnina): in via Asti all’estremo sud-occidentale del paese. La chiesa primitiva fu eretta nel 1631 dalle famiglie Mola e Ossola, preservate dalla peste; venne interdetta nel 1818 perché pericolante e demolita nel 1823. Un disegno preparatorio di don Audisio per un nuovo edificio (1823), non fu realizzato perché troppo costoso; nello stesso anno Giuseppe Cappello (Capello?) presentò un nuovo progetto neoclassico, che, con qualche variante, rispecchia la realizzazione finale: pianta a croce greca, con nucleo centrale circolare coperto da cupola emisferica del diametro di 7.5 metri e quattro bracci diametralmente simmetrici. I lavori iniziati solo nel 1826 (capomastri Domenico Giani e Antonio Ariolo di Murisengo), terminarono nel 1829. La chiesa fu benedetta nel 1835. Nel 1858 Giuseppe Moratti decorò mediocremente l’interno. Nel 1860 si costruirono sacrestia e coro, chiudendo ad angolo retto i due spazi esterni compresi tra il braccio del presbiterio e i due bracci laterali [Rigotti 1933, pp. 2-17; Guasco 1912, p. 53]. L’interno fu restaurato nel 1881 [Grignolio 1980, p. 156]. La cupola inizialmente era rivestita di piombo; venne in parte ricostruita nel 1906, rifacendo in cemento la lanterna e ricoprendo la volta con lastre di latta; nel 1920 tale copertura fu sostituita da una coltre di cemento di 3-4 centimetri, senza giunti di dilatazione; nel 1930 si effettuò un restauro generale (arch. Giorgio Rigotti): vennero ricostruite cupola e lanterna, fu arretrato il filo del muro, abbassata la copertura della sacrestia e del coro, riparata la muratura; all’interno vennero rimosse le decorazioni del 1858 e rifatti i particolari decorativi in stucco [Rigotti 1933, pp. 4, 17-18]. L’edificio è ora in buone condizioni; viene utilizzato per manifestazioni culturali.

Ciascun braccio termina con un prospetto esterno delimitato da colonne appoggiate su alti basamenti; i capitelli dorici sorreggono la trabeazione e un frontone triangolare con cornice aggettante; nel braccio rivolto a nord-est, in direzione del centro del paese, si apre la porta d’ingresso. All’altare è collocato un trittico, già presente nella prima chiesa, che ha un’importante cornice di legno scolpito e dorato; vi sono raffigurati la Madonna col Bambino, S. Domenico col modellino di una chiesa, S. Filippo Apostolo e il Creatore; è stato restaurato nel 1991 (ditta Marello e Bianco) [Giordano 1991]; l’opera è stata attribuita a Orsola Caccia [Ricaldone 1999, p. 374] (vi sono però estese ridipinture che nascondono largamente l’originale); i santi Domenico e Filippo ricordano i fondatori della prima chiesa, Domenico Mola e Filippo Ossola [Rigotti 1933, p. 18]. La Via Crucis ad olio su tela è opera di Adolfo Cormanni (1979-80).

S. Michele: situata nella parte alta del paese, il cosiddetto Türin vecc. Già oratorio degli Angeli, edificato dall’omonima confraternita fondata nel 1488 [Sarboraria 2001, p. 14]; questo era ancora il titolo nel 1577, mentre nel 1584 veniva indicato come oratorio di S. Michele dei Disciplinanti [Guasco 1912, p. 52]. Nel 1615 fungeva da chiesa parrocchiale e il fonte battesimale fu utilizzato fino al 1624, periodo in cui la chiesa di S. Antonio era in ricostruzione; sul davanti vi era un cimitero [Guasco 1912, pp. 52-53]. Un ampliamento della chiesa dal lato dell’altare fu effettuato nel 1731; alla stessa epoca dovrebbe risalire il nuovo altare e il nartece. Nel 1893 risultava in buono stato. Una cartolina dell’inizio del sec. XX riproduce l’altare ora scomparso, con paliotto in scagliola monolitico a fondo nero, recante cornice con fascia di girali, riquadro centrale con S. Michele, e decorazioni a rocaille; una notizia lo darebbe ricollocato in una cappella del duomo di Casale (dove però non risulta); pure la pala d’altare è scomparsa [Sarboraria 2001, pp. 19-20, 100]. La chiesa è di proprietà comunale. Nel 2015 si sono conclusi lunghi lavori di restauro conservativo, con la collaborazione dell’Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato Casalese: l’edificio ora ospita eventi di carattere artistico e culturale.

Ampio sagrato dotato di terrazza. Muratura in mattoni e conci calcarei, con intonaco esterno quasi completamente caduto. Un portico è addossato alla facciata. Adiacente alla parete destra vi è un loggiato aperto, affacciato su via Sottocastello; nella parte corrispondente al fondo della chiesa il loggiato è suddiviso in altezza da un voltino, la cui presenza crea nella metà inferiore un vano aperto sulla chiesa, un tempo adibito a sacrestia. Interno del tutto spoglio; aula unica a rettangolo irregolare (il lato di facciata è obliquo), suddivisa da arcate a sesto ribassato poggianti su lesene e rinforzate da catene metalliche. Volte a crociera e a botte lunettata [Sarboraria 2001, pp. 15-16].

S. Sebastiano: nel cantone Rio (Rivo) (dial. antu Rì), sulla strada che da San Candido sale al paese. Costruita presso altra chiesa più antica, interdetta nel 1836 perché diroccata. Fu terminata nel 1861 e benedetta il 20/1/1862 [Guasco 1912, pp. 52-53]. E’ in buone condizioni. L’altar maggiore ha un paliotto di scagliola decorato a girali vegetali, databile attorno agli anni 1670-90, simile agli esemplari presenti nelle chiese di S. Martino di Isolengo e di S. Anna di Ilengo [Di Majo 2012b, p. 97].

Cappella del castello: situata nella parte che prospetta sul cortile della manica orientale del castello. Fu realizzata dagli Scozia nel 1878 su disegno del conte Carlo Ceppi [Guasco 1912, p. 18]. E’ una cappella di piccole dimensioni in stile eclettico, con pianta a croce greca, i cui bracci si concludono con absidiole semicircolari coperte da semicupole, mentre l’ambiente qradrato centrale è voltato a crociera e ai quattro angoli reca gruppi di tre colonne tortili dipinte a finto marmo. Il soffitto è decorato a cielo stellato. Il piccolo altare aveva in passato un trittico dipinto dal conte Rodolfo Curbis di San Michele, raffigurante la Madonna del Rosario, venerata dai fondatori della cappella, i coniugi marchesi Francesco Guasco Gallarati di Bisio e Tarsilla Scozia, sorretti dai rispettivi santi protettori [Ricaldone 1999, p. 361], ora sostituito da un dipinto moderno su tavola.

S. Pietro: su un rilievo, 500 metri a sud del paese, presso la strada per Casa Battia. Già priorato, forse dipendente dal monastero di S. Pietro in Ciel d’Oro di Pavia (al 1027 risalgono le prime notizie di un luogo fortificato, detto di S. Pietro, appartenente al monastero pavese) [MGH DD IV, doc. 75, p. 96]. Nel 1299 e nel 1440 la chiesa è elencata nella pieve di Castrum Turris, mentre nel 1348 e nel 1359 viene recensita tra i priorati [ARMO pp. 39, 116, 237; Cognasso 1929, p. 234]. Nel 1470 S. Pietro era unita alla chiesa di S. Maria di Tonengo (Tonco?), e ministro era il giovane Bernardino Tibaldeschi, futuro primo vescovo della diocesi di Casale, mentre nel 1487 il beneficio di S. Pietro, unitamente a quello di S. Germano di Paciliano, venne assegnato da papa Innocenzo VIII a Bernardino Gambera [Ribaldone 2001, p. 214; Curato 2002, pp. 20-21]. Nel 1584 l’edificio sacro appariva abbandonato, senza porta d’ingresso, con campanile in parte demolito per riparare la chiesa; sul davanti vi era un cimitero. Nel 1616 la chiesa era completamente rovinata, i suoi ruderi erano ancora visibili nel 1739 [Bo 1980, pp. 217-18]. Prima del 1725, accanto ai resti dell’antico edificio sacro, venne costruita una nuova chiesa, che però era a sua volta già scomparsa nei primi decenni del sec. XIX [Vescovi 2007, p. 294]. Un notevole intervento di restauro ha recentemente interessato anche il sito circostante e una cava di gesso dismessa, trasformata in panoramico teatro all’aperto. Durante i lavori si è ricuperato un piedritto con l’imposta dell’arco di una monofora (ora conservata in Comune), che doveva trovarsi in un piano superiore del campanile [Anselmo 2006, p. 62]. Nel 2016 è stata collocata all’interno della torre una scala a chiocciola in ferro che consente un’ampia vista panoramica dalla sommità.

Oggi resta solo una torre smozzicata, a pianta rettangolare (lati di m 5.45 e 4.84), residuo del campanile della chiesa. La muratura è costituita da grossi conci di calcarenite della vicina collina di Montelungo, ben squadrati in corsi di altezza variabile, escluso il fianco meridionale (che aderiva alla chiesa primitiva) dove i conci sono di piccole dimensioni e la parete del tutto priva di decorazioni è interrotta da una porta con archivolto, da cui si accede all’interno del campanile. Dei due piani superstiti, privi di finestre, solo il secondo è decorato con archetti pensili monolitici, semicolonne dotate di capitello, piccoli protomi animali, rilievi zoomorfi. Le semicolonne centrali con capitello a contatto con gli archetti pensili del fregio e la decorazione plastica degli archetti ricordano il campanile della chiesa dei Ss. Vittore e Corona di Grazzano, mentre i protomi animali sono simili all’apparato scultoreo dell’atrio del S. Evasio di Casale, permettendo di ipotizzare una datazione della struttura attorno alla metà del sec. XII [Vescovi 2007, pp. 295-97, 369; Vescovi 2012, p. 164].

Le foto sono scattate da me però

Madonna della Neve Murisengo
Dal cortile del Castello di Murisengo – una Madonnina












NINA PRATI (Scaglia Maria Ernestina) (28 gennaio 1928 - 8 febbraio 2018) "I record del me cheur per ja storji veri dla me tera, dla me gent, dla me vita".
Scaglia Maria Ernestina la troveremmo nominata alla sezione bricolage, alla sezione dialettale, come anche Lorenzo Magrassi e Don Gonella - a- Programma Mongolfiera del giornale <<'L NOST PISIGHIN>>, UN BIMESTRALE di MURISENGO - 1986, ANNO 4° - N° 1 Gennaio - Febbraio, Stampato in proprio alla Casa Parrocchiale, Direttore responsabile Bertana Don Artemio (10 Ottobre 1924 - 17 Marzo 2012) UN SACERDOTE GENIALE, UN UOMO DI DIO.









Pittura in entrata – cortile Chiesa S. Michele Murisengo
Dal giardino del Castello di Murisengo, in fondo – Chiesa S. Michele










































Giardino del Castello di Murisengo








L'autore, Ex sindaco di Murisengo, Domenico Anselmo - scomparso al novembre 2022, a 91 anni.




Giardino del Castello di Murisengo




La dedica del libro, Domenico Anselmo l’ha fatta sentendo che io avevo già comprato il suo libro, ma l’avevo regalato alla madre di una scrittrice che era arrivata a Murisengo e che io ho avuto il piacere di conoscere. Confidenza fatta nel tratto che ci capitava percorrere sempre tra il parcheggio e la salita per andare alla messa della domenica. Io ho regalato il libro di Veronica alla moglie di Domenico Anselmo e lui ha regalato a me il suo libro con la dedica. Uno scambio culturale.

Veronica Iannotti – Don Gervasio Fornara <Un missionario in canoa>

Dei libri – Veronica ha regalato anche alle Suore del Famulato Cristiano a Torino, per le mie mani, perchè lì c’è Suor Carmen Montes di origine Colombiana, sono state loro a mandarmi in “missione” a Murisengo.













Silvio Pellico, amico del Marchese Don Carlo Guasco, nipote della Contessa di Murisengo, Osanna Scozia, ospite in questo castello, rievocando i fantasmi di Dante, scrisse La Francesca Da Rimini, l’anno 1813.

SMM. Vittorio Emanuele III  S.A.R. Umberto Principe di Piemonte, onorando di loro augusta presenza questo castello, sede della Direzione delle manovre militari nel agosto 1928, VIII E. F.

LAPIDE all’interno del Castello di Murisengo

Audere Semper <<L’amore per la famiglia e una fede silenziosa guidano in questi anni la famiglia Collura e Di Leo ad un meticoloso lavoro di restauro. Questa Cappella è la lampada che illumina la rinascita del Castello. La Pala sull’altare con l’immagine della Madonna col Bambino simbolo della Famiglia, Sant’Anna Madre della Madonna, Patrona e Protettrice delle Madri, San Giuseppe Patrono del lavoratori e Protettore della Chiesa Universale, rimane come memoria di tali intenti.

A cura di Don Emilio Principe Guasco Marchese di Bisio nell’anno 1934 – XII E. F.





Scritta nella Cappella del Castello di Murisengo

Murisengo
Roberto Turolla, autore <Il salto del salmone> -Murisengo, 2019
Roberto Turolla, autore <Il salto del salmone> -Murisengo, 2019
Roberto Turolla, autore <Il salto del salmone> -Murisengo, 2019
Roberto Turolla, autore Il salto del salmone -Murisengo, 2019
Roberto Turolla, autore <Il salto del salmone> -Murisengo, 2019
Roberto Turolla, autore Il salto del salmone -Murisengo, 2019
Roberto Turolla, autore <Il salto del salmone> -Murisengo, 2019

Il libro di Roberto Turolla, con tanto di autografo, l’ho spedito alla città della PACE, Assisi. Avevo conosciuto lì un UOMO di Dio, che ama la cultura e la verità. Abbiamo parlato tanto quanto basta per intenderci che eravammo entrambi animati dallo stesso Spirito. Davide Costantini, il fondatore del Museo di Arti e Mestieri di Umbria. Parlando, parlando si è sentito di punto in bianco di darmi un bacio sulla guancia, così. Ho “contaminato” Murisengo con Assisi, poi con Loreto, Peschiera del Garda ….









Autografo di Roberto Turolla
















Veduta dal giardino del Castello di Murisengo












Cortile del Castello di Murisengo












Castello di Murisengo – cortile

Chiesa di San Michele, Murisengo, veduta dal giardina del Castello
SANTUARIO  MARIANO  DI  OROPA - BIELLA
SANTUARIO MARIANO DI OROPA – BIELLA, un ex voto Carmen Webdesign













La Cappella delle rocce OROPA
Santuario Mariano di OROPA  statua portata da primo vescovo di Piemonte, Eusebio di Vercelli - dall'esilio, Palestina nel 350 d. C.




Facciata della Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Festa al Castello di Murisengo
FIERA NAZIONALE DEL TARTUFO A MURISENGO 2° E 3° DOMENICA DI NOVEMBRE 








Altare della Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Altare della Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Madonna del Rosario, parrocchia S. Antonio Abate, Murisengo
La Madonna della Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
La Visitazione – Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo

Ho tentato, anzi iniziato ad inserire dei dati su Murisengo a Wikipedia, con tanto di citazione della sorsa. Niente <è pericoloso> non si può perché sono stati inserite nella rete già da un’altra persona. Io ho capito, ho descritto il “fenomeno” del copiare – ma purtroppo, “grazie” a questa serie di precauzioni, che siano pure giuste, nei fatti storici però non bisogna inventare – ma essere VERI, Murisengo è ORFANO – sembra un paese senza anima. Dio lo sa che non è vero. Ecco perché ho dovuto lasciare perdere l’inserimento a Wikipedia, perché veniva bloccato … con la causale appena descritta e ho messo sù in 2/3 giorni quello che avevo già a portata di mano. Ho sbagliato Wikipedia? Perdonatemi, ma non ho trovato altra soluzione. Sembra una tristezza senza vedere quello che è descritto in teoria.

















wikipedia
Murisengo ha una cava di gesso privata - Via San Pietro, 14
Murisengo ha una cava di gesso privata – Via San Pietro, 14
 Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo

Ho notato una cosa che a me fa molto piacere: i quadri della Via Crucis, sono identici ai quadri della Via Crucis che sono nel Duomo di Termini Imerese (Palermo) dove avevo abitato, prima di risalire a Torino.





Percorsi di spiritualità mariana, arte, cultura, tradizioni, CONTAMINATE DA UNA STRANIERA, ROMANIA è una maestra di alleanze tra culture e religioni diverse, a Termini Imerese nel arco del mio soggiorno, ad ogni manifestazione religiosa C’ERA IL SINDACO E DEI CARABINIERI – culture diverse?!! … da straniera vedo e documento per i posteri il cammino della fede in Cristo




Termini Imerese, Palermo - Sicilia, La Madonna è onorata anche dalle alte cariche dello Stato, Sindaco, Carabinieri
Termini Imerese, Palermo – Sicilia, La Madonna è onorata anche dalle alte cariche dello Stato




Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Cartolina – Chiesa Parrocchiale di S. Antonio Abate – MURISENGO

Adorazione Madonna d’Oropa

Presepe in Mostra a Oropa
Presepe in Mostra a Oropa
Presepe in Mostra a Oropa
Presepe in Mostra a Oropa
Presepe in Mostra a Oropa
Presepe in Mostra a Oropa
Sul dorso della Cartolina di Madonna di Crea c'è questa scritta, sarebbe a dire che la Madonna di Crea è arrivata a Murisengo Aprile 1998
Sul dorso della Cartolina di Madonna di Crea c’è questa scritta, sarebbe a dire che la Madonna di Crea è arrivata a Murisengo
Presepe in Mostra a Oropa
Oropa Mostra dei Presepi
Oropa Mostra dei Presepi
Mostra dei presepi a Oropa
Mostra dei presepi a Oropa

Madonna d’Oropa Pellegrina

Madonna d'Oropa Pellegrina
Madonna d’Oropa Pellegrina












Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo
Don Artemio Bertana - 10 ottobre 1924 - 17 marzo 2012
Don Artemio Bertana – 10 ottobre 1924 – 17 marzo 2012

‘L Nost Pisighin

Bimestrale 1986 era il 4° anno, STAMPATO IN PROPRIO - CASA PARROCCHIALE MURISENGO
Direttore responsabile: BERTANA DON ARTEMIO
Autorizzazione: Tribunale di Casale Monferrato n°150 del 26/4/1983
Sped. Abb. Postale 
Questo numero apparteneva al Sig. BASSAROV Dott. JURI di MURISENGO
NON è GENIALE che un sacerdote unisce, informa, vuole la comunità VIVA, ATTIVA, NON INDIFFERENTE ed è di una tempra 100% cristiana, credo che la buona stampa, il giornale locale, l'informazione della comunità è fondamentale, l'onestà intellettuale sia per i soldi pubblici che per quelli della parrocchia appartengono alla comunità.
Bellissima l'iniziativa - IL PELLEGRINAGGIO A LOURDES OFFERTO - SORTEGGIATO, qualcuno da Murisengo vada a pregare per tutti a LOURDES, non è cosa di poco conto.
" Il viaggio a Lourdes con il pellegrinaggio diocesano, dal 14 al 28 aprile, classe "C", offerto dal Nost Pisighin, e sorteggiato Lunedì 10/3 alla presenza del sig. Notaio Dell'Era, è stato vinto da "D. Luigi Ardito", nostro fedelissimo abbonato, che rinuncia a favore di sig. Sorisio Luigi, sorteggiato di riserva."
Alla pagina 20, anche Davide Dusio ha preparato due "sculture" per CARNEVALE, i dolci della Befana - SEMPRE REGALATI DALLA FAMIGLIA LAVAZZA ... 




Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate, Murisengo Un popolo in cammino

Messaggi Floreali di GJINI MIRELA – Via UMBERTO I, 60 – MURISENGO




Ai caduti senza croce, Murisengo
Ai caduti senza croce, Murisengo
Mons. Felice Moscone



















MURISENGO
Monferrato paesaggi, Murisengo












La pianta selvaggia che penetra, spezza, rompe, stringe e “soffoca” il muro, per quanto decorativa sia – non giova alla sua “salute” – è il paragone della corruzione, sembra che ti faccia un favore, tu oggi a me, io domani a te. Ma il cerchio è chiuso, meschino, non lascia passare l’ossigeno, gli altri.

Primo Levi

Ognuno coltiva il suo piccolo orticello di relazioni, non apre, non vuole sentire, vedere anche bisogni altrui, nemmeno a 200 m da casa sua. Oggigiorno, viviamo in una società dove, puoi vivere per 10 anni accanto e non sapere come si chiama il tuo vicino di casa. Non solo non si conosce, ma nemmeno si vuole sapere ed ecco che Don Tonino Bello, il profeta dei nostri tempi – ha ragione quando dice:





https://www.carmenwebdesign.it/don-tonino-bello-apostolo-dei-nostri-tempi/








Il Piccolo Gesù del Presepe
















28 Febbraio 2022 – 100 anni dalla nascita, mancata nel 2021
















https://www.granaidellamemoria.it/index.php/it/archivi/memorie-di-piemonte/enrica-morbello-core









https://www.vitacasalese.it/la-voce-della-resistenza













Venerabile Mons. Adolfo Barberis, fondatore dell’Opera del Famulato Cristiano a Torino




Chi ha creato questo blog, arriva da quella cristianità che nemmeno i comunisti sono riusciti ad abbatere, dalla Romania si presume che non può arrivare che gente di servizio, mai studiosi, intellettuali. Dio ha scelto di mandare anche studiosi ed intellettuali in veste di servi, Lui ha bisogno di questa NUOVA TIPOLOGIA DI SERVI, FEDELI A LUI E AI FRATELLI MALATI, BISOGNOSI, DISABILI, devoti alla Sua Madre. Lui tiene molto che i devoti della Madre siano curati con amore e dignità. Io fui mandata da Torino proprio dalle Suore del Famulato Cristiano, un ordine religioso che difende tutti i lavoratori domestici, di ogni nazionalità, fondato dal Venerabile Monsignor Adolfo Barberis a Torino (1884-1967). "Don BARBERIS ha felicemente intuito che l'autentico potere non sta nel dominio ma nel servizio. E questa è una lezione teologica, etica, religiosa e politica di grande rilevanza per noi, che siamo sprovvisti di figure valide per elaborare un qualche futuro. Il SERVIZIO è carico di futuro. Il limite simbolico del nostro tempo è frutto della distorta convinzione che il potere si configuri soltanto come dominio sull'altro. La storia dimostra che ogni rapporto di schiavitù è distruttivo e che i carnefici finiscono sempre per insegnare alle loro vittime come si fa il capestro. Il mondo nel quale viviamo rappresenta emblematicamente gli effetti di questa delirante concezione: oggi i paesi poveri hanno incaprettato i paesi ricchi con un debito pubblico che ne inchioda lo sviluppo. La solidarietà è diventata una necessità politica prima che una necessità etica".




https://www.carmenwebdesign.it/la-pelle-di-dio-dimmi-papa-la-pelle-di-dio-che-colore-ha/





https://www.carmenwebdesign.it/radon-un-male-che-non-va-mai-via-da-se-edilizia-malata-pericolo-per-la-salute-pubblica/





https://www.carmenwebdesign.it/sportello-dignita-ideato-da-carmen/













Ho dovuto ridare il volto a Gesù e Madonna come pensavo io – dopo due tentativi …





























Il prezzo della libertà, della pace, della democrazia, di ogni conquista dei diritti umani che non siamo in grado di mantenere. La pace è una alleanza tra popoli, tu sei onesto con me ed io con te, tu stai male ed io ti aiuto, io sto male e tu mi aiuti, LA PAROLA DATA E MANTENUTA – SEMPRE. TUTTO QUI. Tutto il resto viene dal nemico del bene, del bene comune.









Sapete voi dove sta già scritto il più bel trattato di pace di ogni tempo? Nella Bibbia: tra ebrei e romani. Ed è un trattato vero e proprio.

Gesù e Maria, Maestri della Psicologia Cristiana - Carmen Webdesign








Nel mio libro, ho fatto questa precisazione

Chi è Dio per gli italiani

e chi è il popolo italiano per Dio

Nella Sacra Bibbia; L’Antico Testamento, in nessuna parte sono descritti con più grande precisione, come popolo, come in 1 Maccabei,

<<Entrano in scena i Romani>>

8. (11-32): << Gli altri regni e le isole e quanti per avventura si erano opposti a loro, li distrussero e soggiogarono; con i loro amici invece e con quanti si appoggiavano ad essi avevano mantenuto amicizia. Avevano assoggettato i re vicini e quelli lontani e quanti sentivano il loro nome ne avevano timore. Quelli che essi vogliono aiutare e far regnare, regnano; quelli che essi vogliono, li depongono, tanto si sono innalzati in potenza. Con tutti questi successi nessuno di loro si è imposto il diadema e non vestono di porpora per fregiarsene. Essi hanno costituito un consiglio e ogni giorno trecentoventi consiglieri discutono pienamente riguardo al popolo perché tutto vada bene. Affidano il comando e il governo di tutti loro domini a uno di loro per un anno e tutti obbediscono a quel solo e non c’è in loro invidia né gelosia.

Giuda pertanto scelse Eupolemo, figlio di Giovanni, figlio di Accos, e Giasone, figlio di Eleazaro, e li inviò a Roma a stringere amicizia e alleanza per liberarsi dal giogo, perché vedevano che il regno dei Greci riduceva Israele in schiavitù. Andarono fino a Roma con viaggio lunghissimo, entrarono nel senato e incominciarono a dire: <<Giuda, chiamato anche Maccabeo, e i suoi fratelli e il popolo dei Giudei, ci hanno inviati a voi, per concludere con voi alleanza e amicizia e per essere iscritti tra i vostri alleati e amici>>. Piacque loro la proposta. Questa è la copia della lettera che trascrissero su tavolette di bronzo e inviarono a Gerusalemme, perché vi rimanesse come documento di amicizia e alleanza per i Giudei.

            <<Salute ai Romani e al popolo dei Giudei per mare e per terra sempre; lungi da loro la spada nemica. Se verrà mossa guerra prima contro Roma o contro uno qualsiasi dei suoi alleati in tutto il suo dominio, il popolo Giudeo combatterà al loro fianco con piena lealtà come suggerirà loro l’occasione; ai nemici non forniranno né procureranno granaglie, armi, denaro, navi, secondo la decisione di Roma, ma manterranno i loro impegni senza compenso. Allo stesso modo se capiterà prima una guerra al popolo dei Giudei, combatteranno con loro i Romani con tutto l’animo, come permetteranno le circostanze; ai nemici non forniranno granaglie, armi, denaro, navi, secondo le decisioni di Roma; osserveranno questi impegni senza frode. Secondo queste formule i Romani hanno stabilito un’alleanza con il popolo dei Giudei. Se dopo queste decisioni vorranno gli uni o gli altri aggiungere o togliere qualche cosa, lo faranno di comune accordo e quello che avranno aggiunto o tolto sarà obbligatorio. Riguardo poi ai mali che il re Demetrio compie ai loro danni, gli abbiamo scritto: Perché aggravi il giogo sui Giudei nostri amici e alleati? Se dunque si appelleranno contro di te, difenderemo i loro diritti e ti faremo guerra per mare e per terra>>.

“Nel libro <<I quattro cardini della felicità>> secondo S. TOMMASO D’AQUINO, di Mons. Pio Alberto del Corona, vescovo di S. Miniato

alla pagina 11: “ Possa la patria nostra in sì fausta ricorrenza imparare a stimar debitamente l’altissima eccellenza del sapere che si disposta alla fede, e la gioventù massimamente risovvenirsi, che se l’Italia già tempo patì l’onta d’essere maestra d’errore, il Figliuolo di Dio la tolse da quell’obbrobrio, quando Pietro apostolo rizzò in trofeo della Croce sulla rocca del romano imperio, e col Vangelo soggiogò a Roma più popoli che non ne aveva soggiogati la spada. A Roma, dice il Pontefice S. Leone, furono conculcate le opinioni della umana filosofia, disciolte le vanità della terrena sapienza, spenti i culti satanici, profligate l’empietà parricide dei sacrilegi, annullato tutto che la superstizione aveva trovato di sozzo e la mente dei filosofi aveva pensato di strano. Per cotanta opera che fece Roma tomba del paganesimo e culla di una fede che ha vinto il mondo, l’Italia è grande, è solo grande per questo. Alla rocca del romano impero, segue a dir S. Leone, fu destinato Pietro, principe dell’apostolico ordine, acciocché la luce della verità che si rivela a salute dei popoli, da quella cima si spandesse più agevolmente e più largamente nell’universo. E da cotale cima veramente viene la luce intellettuale piena di amore, che fa i poeti, i filosofi, i geni. A sì divina luce attinse il santo Dottore d’Aquino; a questa si ritempri la gioventù, e si riamicherà coll’idioma, colla filosofia, colle arti, coi geni dell’Italia cattolica, e con tutte le glorie legittime delle quali ci fu largo Iddio sotto il cielo italico, rabbellito dal suo sorriso immortale. Apprenda la gioventù, e lo insegni ad altrui, che è indarno il travagliarsi di procacciare all’Italia nostra una grandezza puramente terrena, dappoiché la grandezza terrena più sterminata Dio l’abbassò e spense per farne il piedistallo a una gloria nuova, che è la sovranità del pensiero; sovranità ambita sempre dallo straniero, né mai potuta torre all’Italia; sovranità che le vieta di farsi mancipia alla parola dell’uomo, e la fa suddita al solo Verbo di Dio.”

Firenze, 7 marzo 1874. Sesto centenario di S. Tommaso d’Aquino.

Da:  <<Ciò che disse Cristo a Santa Brigida>> : “Le rivelazioni”

LIBRO TERZO

CAPITOLO  27

La moltitudine innumerevole dei martiri cristiani sepolti a Roma e i tre gradi di perfezione dei cristiani. Una certa visione della stessa sposa e come Cristo, apparsole, gliene abbia data la spiegazione e interpretazione.

<<O Maria, anche se indegna, chiedo il tuo soccorso. Io ti chiedo di pregare per la nobilissima e santissima città di Roma. Vedo infatti che alcune chiese, ove riposano le ossa dei santi, sono desolate. Alcune no, ma i cuori e i costumi di quelli che le reggono sono da Dio lontani. Ottieni loro la carità, perché ho appreso da Scritti che a Roma ogni giorno dell’anno contiene settemila martiri. E anche se anime non hanno minore onore in cielo, benché le loro ossa siano contenute in terra, tuttavia ti prego che ai tuoi santi e alle loro reliquie sia reso più grande onore in terra e sia risvegliata la devozione del popolo>>.

Rispose la Madre: <<Se tu misurassi un pezzo di terra di cento piedi in lunghezza, e altrettanti in larghezza, e lo seminassi di puro grano di frumento, così fittamente che non ci fosse spazio se non d’un sol dito tra grano e grano, a Roma vi sarebbero ancora più martiri e confessori, da quando vi arrivò umilmente Pietro, fino a che Celestino abdicò dal trono della superbia e tornò al suo eremo. Parlo di quei martiri e confessori che predicavano la vera fede e l’umiltà contro la superbia e che morirono per la fede o erano nella volontà pronti a farlo. Infatti Pietro e molti altri erano così accesi e ferventi nell’annunzio della parola di Dio che, se avessero potuto dar la vita per ciascun uomo, l’avrebbero data volentieri. E tuttavia temettero per la presenza di coloro che da loro favoriti con le parole di consolazione e della predicazione, non li rapissero, perché desideravano più la loro salvezza che la propria vita e il proprio onore. Ce ne furono anche tanti che agirono per la conquista e la salvezza di molte anime, e perciò si visse segretamente durante la persecuzione. Tra i due perciò, cioè tra Pietro e Celestino, non tutti furono buoni, come neppure tutti furono cattivi.

            Ecco, ipotizziamo tre gradi, come da te composti oggi: positivo, comparativo, superlativo, cioè buoni, migliori, ottimi.

Nel primo grado vi furono quelli che pensavano così: <<Noi crediamo tutto ciò che comanda la santa Chiesa. Non vogliamo defraudare alcuno, ma anzi vogliamo restituire e servire Dio con tutto il cuore>>. Tali persone vi furono anche al tempo di Romolo, fondatore di Roma. Secondo la loro fede, essi pensavano così: <<Noi comprendiamo e sappiamo che Dio è il creatore di tutti>>. Molti altri la pensavano così: <<Noi abbiamo saputo dagli ebrei che il vero Dio si manifestò loro con chiari prodigi, sicché se noi sapessimo su che cosa fondarci di più, volentieri lo faremmo>>. Costoro appartennero quasi tutti al primo grado. Quando a Dio piacque, venne a Roma Pietro, che elevò altri al primo grado positivo, altri al comparativo, altri al grado superlativo. Quelli infatti che accolsero la vera fede e furono coniugati o in altro stato onorevole furono nel grado positivo. Quelli invece che lasciarono le cose proprie, per la divina carità, quelli che dettero buon esempio agli altri, con le parole e gli esempi e le opere, e quelli che niente anteposero a Cristo furono nel grado comparativo. Quelli poi che offrirono la vita per l’amore di Dio furono nel grado superlativo.

Ma, domandiamoci, in quale di questi gradi suddetti si trova più fervente carità di Dio. Vediamo quale grado si trova nei soldati, nei dottori; fra i religiosi e in quelli che son dediti al disprezzo del mondo, che sembrerebbe debbano appartenere al grado comparativo o al superlativo; e sicuramente ne troveremo ben pochi. Non c’è infatti vita più austera di quella militare, se è inquadrata nella sua istituzione. Se infatti è comandato al monaco di portare la cocolla, al soldato è comandato qualcosa di più pesante: la corazza. Se è grande per il monaco combattere contro i piaceri della carne, di più è per soldato andare incontro al nemico armato. Se poi è concesso al monaco un duro giaciglio, più duro è per il soldato l’essere in armi. E se il monaco è afflitto e turbato dall’astinenza, più duro è per il soldato il continuo timore per la vita. Non s’è infatti la milizia della cristianità per l’acquisto del mondo e per la cupidigia, ma a sostegno della verità e a diffusione della vera fede. Perciò il grado militare e quello dei religiosi dovrebbe appartenere al grado superlativo o, almeno, a quello comparativo. Ma tutti i gradi decaddero dalla loro lodevole disposizione, perché l’amore di Dio s’è cambiato in desiderio del mondo. Se infatti fosse dato un sol fiorino di tre, molti tacerebbero la verità piuttosto che perderlo>>.

            Ora parla la sposa e dice: <<Vidi ancora molti giardini sulla terra e nei giardini rose e gigli. Poi in un luogo spazioso della terra, vidi un appezzamento di cento piedi di lunghezza e altrettanti di larghezza. A ogni piede vi erano seminati sette grani di frumento, che ogni giorno producevano il centuplo>>.

            Dopo queste tre cose udii una voce che diceva: <<O Roma, Roma, le tue mura sono crollate! Perciò le tue porte non hanno sentinelle, i tuoi altari sono profanati, il sacrificio vivo e l’incenso mattutino sono bruciati nell’atrio, e non vien fuori santo odore soavissimo dal “Sancta Sanctorum”>>.

            E subito, apparendo, il Figlio di Dio disse alla sposa: <<Ti spiego quello che hai visto. La terra vista significa ogni luogo, dov’è la fede cristiana. I giardini invece son quei luoghi dove i santi di Dio ricevettero le loro corone. Tuttavia nel paganesimo, e cioè in Gerusalemme e in altri luoghi, furono molti fra gli eletti di Dio, dei quali per ora non ti sono stati mostrati i luoghi. Il campo poi dei cento piedi di lunghezza e cento di larghezza indica Roma. Se infatti tutti i giardini del mondo fossero uniti a Roma, certamente Roma sarebbe ugualmente grande di martiri (dico nella carne), perché quel luogo fu scelto per l’amore di Dio. Il grano poi, che vedesti fra piede e piede, indica quelli che, per la macerazione della carne, il pentimento e l’innocenza di vita, entrarono in cielo. Le poche rose poi sono i martiri, arrossati dal proprio sangue versato in diversi luoghi. I gigli poi sono i confessori, che predicarono e confermarono la fede con le parole e con le opere.

            Ora poi posso parlare di Roma, come il profeta parlava di Gerusalemme. Una volta abitò in essa la giustizia e i suoi prìncipi erano i prìncipi della pace. Ora s’è tramutata in rifiuto, e i suoi prìncipi in omicidi. Oh sapessi i tuoi giorni, o Roma, piangeresti di certo e non saresti allegra! Perché Roma antica era come una tela dipinta d’ogni più bel colore e tessuta di nobilissimo filo. La sua stessa terra era colorata di rosso, cioè del sangue dei martiri e intessuta delle ossa dei santi. Ma ora le sue porte sono abbandonate, perché i difensori e le sentinelle sono dediti alla cupidigia. Le sue mura sono abbattute e senza sentinelle, perché non pensano al danno delle anime, ma il clero e il popolo, muri di Dio, si spartiscono gli utili materiali. I vasi sacri sono spregevolmente venduti, perché i sacramenti di Dio son distribuiti per soldi e favori del mondo. Gli altari sono diroccati, perché chi celebra con i vasi ha le mani vuote di carità e gli occhi alle offerte e, sebbene abbiano il vero Dio fra le mani, tuttavia il loro cuore è vuoto di Dio ed è pieno di vanità mondane.

            Il “Santo dei santi”, ove si consumava un tempo il supremo sacrificio, significa il desiderio della visione e fruizione di Dio, dal quale dovrebbe salire la carità verso Dio e il prossimo e anche tutto l’ardore della continenza e della virtù. Ma adesso si offre il sacrificio nell’atrio, cioè nel mondo, poiché tutta la divina carità s’è degradata in corruttela e vanità mondana.

            Questa da te vista è Roma materiale: difatti molti altri son desolati, le cose offerte sono scialacquate nelle cantine. E gli oblatori (i sacerdoti) attendono piuttosto al mondo che a Dio.

            Sappi però che dal tempo dell’umile Pietro fino a che salì sul trono della superbia Bonifacio, innumerevoli anime andarono al Cielo. Tuttavia Roma è ancora vuota d’amici di Dio, i quali se fossero aiutati, griderebbero a Dio ed egli avrebbe pietà di loro>>.

Dalla <<Vita della B. V. Maria>>  secondo le meditazioni della Beata A. C. Emmerick; descritta da Clemente Brentano – Napoli, 1855, Tipografia Ruggiero.

Alla pagina 264, abbiamo:

La nascita di Cristo è annunciata in ROMA

<<Questa notte vidi succedere molti avvenimenti in Roma, ma appunto per ciò ho dimenticati vari altri fatti relativi ad altri simboli, e può essere anzi facilissima cosa che qua e là abbia a scambiare alcune circostanze. Io li racconterò come me li ricordo.

            Quando nacque Gesù vidi scaturire in Roma come una fonte d’olio, e tutti grandemente meravigliavano. Ciò avvenne in un quartiere in cui abitavano Giudei – (Qui descrisse assai oscuramente un luogo come di una collina, la quale circondata da un fiume formava una specie di penisola).

Un idolo magnifico di Giove, che era collocato in un tempio romano, si spezzò; anzi essendo precipitato l’intero tetto del tempio istesso, i sacerdoti spaventati, offersero molte vittime; poi interrogando un altro idolo (credo fosse la statua di Venere), perché fosse avvenuto tanto prodigio, ritengo fosse il diavolo che così rispondesse: <<Questo avvenne perché una vergine ha generato in questo momento un figlio concepito senza opera d’uomo>>. A questo simbolo accennava anche la fonte d’olio. Dove dessa scaturì, ora s’innalza una chiesa dedicata alla Madre di Dio.

            Gli atterriti sacerdoti consultavano nei loro libri, settant’anni prima, quando quell’idolo con ogni pompa e magnificenza, adorno d’oro e di pietre preziose era stato posto nel tempio e gli si offrivano vittime con grande solennità, viveva in Roma una donna assai pia, che non so precisamente se fosse o no Giudea e che si chiamava Sirena o Cyrena. Viveva delle proprie sostanze, aveva delle visioni ed era forzata a predire il futuro. Spiegava il motivo della sterilità di questa o di quella, ma adesso ho dimenticato tutto. Quella donna aveva una volta detto pubblicamente che non dovevansi tributare all’idolo onori così dispendiosi, poiché un giorno sarebbe caduto in mille pezzi. I sacerdoti, udite queste parole, le intimarono dovesse dire quando sarebbe avvenuta la cosa, e siccome ella non poteva rispondere perché ancor non lo sapeva, la fecero rinchiudere in una prigione, dove la tormentarono tanto finché avendo essa pregato Iddio che le suggerisse la risposta, seppe che l’idolo si sarebbe spaccato quando una vergine immacolata avesse generato un foglio. Allora ella venne derisa e licenziata qual pazza. Ora che il tempio precipitando aveva realmente spezzato l’idolo, riconobbero che aveva detto il vero, e solo si meravigliarono circa al tempo dell’avvenimento, poiché essi certamente nulla sapevano della nascita di Cristo per opera della Santa Vergine.

I due consoli di Roma, di cui uno era Lentulo, antenato di Mosè sacerdote e martire, e di quel Lentulo con cui Pietro annodò di Roma stretta amicizia, si fecero dare precisa relazione tanto della caduta del tempio, quanto della fonte d’olio che era scaturita.

Vidi eziandio qualche cosa in cui figurava anche Augusto imperatore, ma ora non me ricordo con precisione. L’imperatore, circondato da altre persone, stava sulla cima di un monte in Roma; da un lato aveva il tempio caduto in rovina. Alcune scale conducevano alla vetta del monte, dove trovavasi una porta d’oro. Era quello il luogo di riunione, dove si decidevano gli affari importanti. Mentre l’imperatore scendeva dal monte, vide alla destra al di sopra del monte apparire una figura in cielo(1). Era dessa il simbolo d’una vergine sedente su di un arcobaleno; un bambinello aleggiava sortendo da lei. Credo che il simbolo fosse veduto dal solo Augusto. Fatto interrogare un oracolo qual fosse il significato di simile apparizione, questo rimase muto; poi disse che era nato un fanciullo, dinanzi al quale tutti dovevano cedere.

Allora l’imperatore fece innalzare sul monte un altare nel luogo istesso dove gli era apparso il simbolo e con molta pompa di numerosi sacrifici lo dedicò al primogenito di Dio. Molte circostanze accessorie mi sono sfuggite dalla memoria>>.

UN PROGGETTO DI VITA DI COMUNITA' CHE RINASCE ALLA FEDE - VALIDO PER QUALSIASI REGIONE 

Eventi 2011









30/08/2011
Alla ricerca del tempo perduto
 
Murisengo — “Nel Monferrato alla ricerca della felicità” è la raccolta di memorie di fanciullezza e gioventù vissute nel territorio d’origine di 20 autori monferrini. Il libro ispirato all’opera letteraria “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, verrà presentato domenica 25 settembre nella corte del Castello di Murisengo e venerdì 30 settembre nel cortile della casa di campagna a Mirabello della scrittrice Rosetta Loy (presente per l’occasione). Gli autori coinvolti raccontano, attraverso la loro personale memoria sensoriale, una porzione di passato monferrino, fatto di luoghi e vicende, profumi e sapori, mestieri e persone, usi e costumi che pensavano perduti per sempre. L’opera si propone dunque di recuperare frangenti di storia vissuta nel Monferrato, attraverso i sensi spontaneamente ed imprevedibilmente sollecitati, quali efficaci e geniali “motori di ricerca”, così come fece lo scrittore francese nella sua Recherche. Le diverse testimonianze costituiscono un contributo importante per il recupero di memorie diversamente perdute, quali arricchimento del patrimonio culturale della tradizione monferrina.
 I coautori del volume, tra cui spicca la prestigiosa presenza della scrittrice Rosetta Loy, sono:
 – Paolo Ferrero (ideatore del progetto letterario e medico di professione);
– Marco Giorcelli (giornalista e direttore del bisettimanale d’informazione Il Monferrato);
 – Silvana Mossano (giornalista del quotidiano La Stampa e scrittrice);
– Idro Grignolio (scrittore, giornalista pubblicista e vignettista);
– Beppe Bargero (primario di Diabetologia dell’Ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato);
– don Luigi Calvo (parroco, insegnante e storiografo);
– Lorenzo Magrassi (poeta e direttore di corale);
– Danilo Marigo (dirigente aziendale e scrittore);
– Nina Prati (dicitrice dialettale);
 – Mario Giunipero (giornalista pubblicista, studioso d’arte, storia e leggende);
– Chiara Cane (giornalista pubblicista e imprenditrice);
– Giovanni Zavattaro (insegnante in pensione e scrittore);
– Teresa Mazzucco (insegnante in pensione); –
 Silvia Balbo (insegnante in pensione);
– Giovanni Garrone (insegnante in pensione); –
 Teresio Malpassuto (insegnante in pensione e poeta dialettale);
 – Maurizio Romanelli (scrittore e poeta);
– Luciano Coggiola (scrittore);
 – Massimo Biglia (collaboratore Anffas e scrittore).
 I commenti sull’opera letteraria “Alla ricerca del tempo perduto” e sull’autore Marcel Proust sono rispettivamente di Giuliano Nicoli e Valeria Russo, mentre l’introduzione con l’analisi di alcuni passaggi del testo di Proust sono di Paolo Ferrero.
 Il volume, arricchito da 33 illustrazioni fotografiche a colori ispirate dai testi della Recherche, che riproducono per analogia, suggestivi angoli del Monferrato, è stato realizzato con una tiratura di 1.000 copie dalla “Associazione C’era una volta” di Villamiroglio. Il ricavato dalla vendita del libro, al netto dei costi di stampa, verrà interamente devoluto all’Anffas di Casale Monferrato.
Il libro è stato realizzato con prezioso il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria per interessamento del consigliere Corrado Calvo. Chiara Cane
Copyright © 2011, Editrice Monferrato S.r.l.

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