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Palio di ASTI, vincitori, IL DRAPPO e suoi maestri, San Secondo Patrono della Città, dal 1606, la vera scarpa della Madonna reliquario

9 aprile 1852 Asti - il Sindaco Giovanell
Bozzetto 1929 Palio Ottavio Baussano
Palio di Asti 1931
Incontro tra Guelfi e Ghibellini
Asti Ex voto 1677
Giovanni Migliara (1785 - 1837)  Veduta del lato sud Cattedrale di Asti
Pittore Giovanni Migliara
Giovanni Migliara (1785 - 1837) particolari dal quadro Veduta del lato sud Cattedrale di Asti
Giovanni Migliara (1785 - 1837) particolari dal quadro Veduta del lato sud Cattedrale di Asti
Giovanni Migliara (1785 - 1837) particolari dal quadro Veduta del lato sud Cattedrale di Asti
Giovanni Migliara (1785 - 1837) particolari dal quadro Veduta del lato sud Cattedrale di Asti
Giovanni Migliara (1785 - 1837) particolari dal quadro Veduta del lato sud Cattedrale di Asti

Cultura e Beni culturali

Leggenda di San Secondo Patrono della città

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Gli atti del martirio di San Secondo furono pubblicati, per la prima volta, dai bollandisti e a questi si ispirarono gli storici locali che trattarono della vita del Santo. A partire dal Savio (1896), tuttavia, si cominciò a dubitare della esattezza della fonte, che, dal punto di vista storico, presentava numerose contraddizioni. Anche negli ultimi anni sono state avanzate tesi diverse sull’origine del culto: P. Dacquino, ad esempio, riteneva che Secondo non fosse un martire della milizia romana, bensì un vescovo vissuto in epoca longobarda. Successivamente G.P.Silicani riconosceva in lui il protovescovo storico (o ideale) della città vissuto in epoca tardo-romana (V secolo). Comunque sia, la storia del Santo da tempo immemorabile suggestiona l’immaginario degli astigiani e alla sua storia leggendaria, s’ispirarono gli artisti barocchi che nella chiesa a lui dedicata ne rappresentarono i fatti più significativi della vita. La leggenda ci tramanda che Secondo, di nobili origini romane, forse appartenente alla famiglia dei “Vettii” o della “Gens Licinia”, era un idolatra fervente e grande amico di Saprizio, prefetto delle Alpi Cozie.

Iniziato al Cristianesimo da Calogero (che era detenuto nelle carceri astigiane), partì poi con Saprizio per un viaggio verso Tortona e proprio durante il tragitto accaddero prodigi eccezionali. Accolto a Tortona da Marziano, vescovo della città, venne da questi esortato a persistere sulla via della conversione e della carità, e ad andare a Milano presso i confessori Faustino e Giovita. Secondo, giunto a Milano, ebbe la benedizione di Giovita che lo invitò a portare il sacramento dell’eucarestia a Calogero e Marziano. Ritornato a Tortona, Secondo riuscì ad entrare nelle prigioni in cui Marziano era stato nel frattempo rinchiuso da Saprizio che lo aveva anche già condannato a morte; qui Secondo gli rimase accanto per tutta la notte e il giorno seguente, dopo il supplizio, ne seppellì il corpo. Saprizio, resosi conto della conversione di Secondo al Cristianesimo, cercò di convincerlo a rinunciarvi, dapprima con le lusinghe e poi con la forza: Secondo, nonostante le torture subite, rimase irremovibile nella sua scelta.

Saprizio allora lo condannò a morte ma, durante la notte precedente il supplizio, Secondo fu liberato da un angelo mandato dal cielo e trasportato ad Asti, nel carcere dove già si trovava Calogero. Saprizio, scoperta la fuga, tornò ad Asti, mandò Calogero ad Albenga, dove venne martirizzato, mentre Secondo, il 30 marzo del 119 d.C., venne portato all’esterno delle mura astigiane e decapitato. La leggenda narra ancora che il Santo fu sepolto sul luogo in cui fu ucciso e che qui sorse in seguito la chiesa a lui dedicata. A prova della benevolenza del Santo si deve ricordare la liberazione della città dall’assedio minacciato nel 1526 dal condottiero Fabrizio Maramaldo, al servizio dell’imperatore Carlo V, al tempo comandante del presidio di Alessandria. Quest’ultimo infatti, avendo tentato di entrare tra porta San Pietro e borgo San Lazzaro, presso il rio Valmanera, fu respinto e allontanato dalla popolazione che aveva invocato con fervore la protezione della Vergine e di San Secondo. Questa vittoria fu attribuita proprio all’intercessione divina e in particolare all’aiuto del Santo patrono Secondo. L’importante vicenda fu raffigurata nell’affresco tuttora visibile nella parete destra del coro della collegiata a lui dedicata.


ASTI
Vita di San Secondo Martire

San Secondo d’Asti e la critica storica

Esiste, nel culto cattolico, un certo numero di santi di nome Secondo (nome latino molto diffuso). Un altro san Secondo molto venerato in Piemonte e soprattutto verso il Biellese è quello di Torino (gli è dedicata una chiesa nel capoluogo regionale vicino a Porta Nuova). Alla luce di recenti studi (Dacquino, Silicani) il san Secondo d’Asti è certamente una figura storicamente individuabile in un vescovo di Asti. Questi probabilmente si guadagnò fama e riconoscenza battendosi per la pacifica convivenza tra il nucleo originario di abitanti della città gallo-romana di Hasta e gli occupanti longobardi : l’occupazione longobarda avvenne altrove con modalità molto violente, mentre ad Asti si realizzò senza danni ; al contrario, Asti fu scelta come capoluogo del vastissimo ducato assegnato a Gundoaldo, fratello della regina Teodolinda, e tale posizione di preminenza politico-amministrativa spiega il suo successivo sviluppo economico e mercantile. In tal caso san Secondo d’Asti non fu un martire in senso stretto ma un testimone della fede, facilmente individuato come vero protettore (patrono) della città.

Le numerose e più antiche rappresentazioni non lo raffigurano mai con la palma del martirio né come un ecclesiastico (salvo una problematica effigie su una moneta del XIII secolo) e nemmeno come soldato, ma piuttosto come un magistrato o come un giovane borghese. La figura del giovane soldato martire (molto appropriata al san Secondo di Torino) si sarebbe sovrapposta a quella del vescovo astigiano al momento del trapasso dei poteri dai longobardi ai franchi (IX secolo), che avrebbero cercato di cancellare in tal modo dalla memoria del popolo un personaggio gradito al precedente regime. Il tradizionale “panegirico” del santo è tratto dalla redazione pubblicata dai “Bollandisti” (sec. XVII). Un problema a parte sono le reliquie del santo, dal momento che anche a Venezia (chiesa dei Gesuati alle Zattere) si afferma di conservare lo scheletro completo e che un vescovo di Asti nel sec. XIII si affrettò a smentire le voci di un trafugamento delle reliquie del martire da parte dei veneziani, attribuendo loro, invece, il furto delle spoglie mortali dell’omonimo vescovo.

Ufficio San Secondo

https://www.comune.asti.it/pagina697_cultura-e-beni-culturali.html

Museo Sant'Anastasio Asti
Museo Sant'Anastasio Asti
La scarpa della Madonna Asti
https://www.libraccio.it/libri-usati

IL LIBRACCIO AD ASTI - trovi tutto Sciascia - Rodari - Fiabe

https://www.lavocediasti.it/2022/07/07/leggi-notizia/argomenti/economia-11/articolo/libraccio-arriva-ad-asti-apre-in-corso-alfieri-il-58esimo-punto-vendita.html

DOVE: Libraccio, corso Vittorio Alfieri, 188 – Asti

https://www.linkedin.com/posts/carmenwebdesigndirittiumani_fede-religion-asti-activity-7072920629032697856-byIA?utm_source=share&utm_medium=member_desktop
Nella città d'Asti in Piemonte - Arte e cultura in epoca moderna 2017

In questo libro, alla pagina 194 e 195 si può leggere

Reliquiario della Vera Scarpa della Madonna

Argento a fusione, sbalzato, inciso, cesellato, dorato; gemme

Altezza cm 22, larghezza cm 9,5

Iscrizioni: intorno alla teca: EX CALCEO, SEMPER. VIRS. MARIAE

Sotto la suola: MENSURA PEDIS. S. MA VIRG. S. MARIAE

Asti, Istituto Opera Pia Isnardi

Il reliquario astigiano conserva un frammento di cuoio della sacra scarpa di Maria, proveniente dal Santuario del Carmine di Valencia (Spagna) dove è attestato un culto pubblico. La preziosa reliquia fu consegnata da Juan Sanz Provinciale dei Carmelitani di Aragon al Padre Generale dei Carmelitani Henrico Silvio Henrici a Saragozza il 24 agosto 1606. Il convento spagnolo considerava la reliquia <<un zapato de la Virgen>>, uno dei suoi pezzi più importanti proveniente, secondo un’antica tradizione, dal Convento Carmelitano di Onda. La reliquia era famosa anche a Roma dove circolava un’incisione a stampa e si diceva che una scarpa identica fosse conservata al Santuario di Nostra Signora di Puy in Francia. Una guida della città di Valenza del 1876 (Marchese de Cruilles 1876, pp. 179-180) informa che negli anni 1473-79, <<don Luis Munoz, signore di Ayodar, infatuato di Luisa Diez, dama della regina, si risolse a rapirla dal Palazzo (reale) dietro promessa di matrimonio, e che, al momento del rapimento, la dama portò via con sé dall’anticamera reale i sandali o scarpe della Vergine richiedendo che fossero poste in una chiesa: al che don Luis indicò quella di due conventi di Onda, cittadina principale del regno vicina ai suoi possedimenti baronali, e così fu. Però il rapimento lo fece cadere in disgrazia presso il re e dovette partire subito per la guerra contro i Mori di Granada alla quale portò con sé un tal valore che il Re Cattolico volle sapere cosa fosse. Don Luis rispose che lo avrebbe svelato in cambio del perdono e il re acconsentì, restituendolo alla sua reale grazia. Delle due scarpe, don Luis ne diede una al convento della Speranza di Onda, che era dei carmelitani, il Padre provinciale la fece traslare a questo (di Valenza) convento del Carmine. Si conserva qui da allora e fu specialmente venerata da Filippo II quando arrivò in occasione delle sue nozze. Fu però rubata nel giorno dell’Assunzione del 1602, quando fu derubata la chiesa stessa, però il ladro la restituì per mezzo di un vicario di Santa Cruz. La fece montare in argento la contessa di Aversa devota di Nostra Signora per il felice esito di uno dei suoi travagliati parti. La forma è a punta secondo l’uso antico. Suola e tomaia di un solo pezzo di cuoio, del tipo di Cordoba nero, e una rosa sulla punta come si vede nella stampa>>.

Padre Enrico Silvio Priore Generale dei carmelitani (Merzoggo, 1556 – Roma, 1612), colui che collega la reliquia spagnola al Carmine astense, è una figura che attraversa due momenti critici nella storia della Chiesa in Italia ed in Spagna. La riforma del Carmelo Scalzo che toccò il suo apice tra il 1562 e il 1581 e la polemica seguita alla pubblicazione del volume Della concordia della grazia e del libero arbitrio pubblicato nel 1588 a Lisbona per mano del padre gesuita Luis de Molina (Antonini 1996, pp. 65-80). Quest’ultima fu l’origine di una delle più clamorose controversie che l’epoca moderna ricordi e per questo motivo papa Clemente VIII istituì nel 1597 la Sacra Congregazione de Auxiliis Divinae Gratiae, composta da otto teologi tra cui Padre Enrico Silvio (poi soppressa da Paolo V il 24 agosto del 1606).

Papa Paolo V nel 1605 concede a Padre Enrico Silvio indulgenze e brevi papali per intraprendere una visita in Spagna e Portogallo. Il 7 ottobre 1605 il padre carmelitano è a Genova dove si imbarca sulle galere del Duca di Savoia per la Spagna e giunge a Barcellona, dove incontra il re e dona alla regina una reliquia di Sant’Alberto. Ritornerà a Roma il 28 gennaio 1607 dove sarà rieletto Generale del Generale del Capitolo della Traspontina di Roma (1609). Il Duca di Savoia lo nominò Vescovo d’Ivrea il 29 luglio 1612, ma Padre Enrico muore il 14 settembre dello stesso anno. Nel 1665 frate Gerolamo Arri di Asti fa apporre una lapide commemorativa nella chiesa di Santa Maria Trasportina de’ Carmelitani in Roma (Boatteri 1807 ca.). Dalle vicende occorse al Padre Enrico Generale dei Carmelitani risulta chiaro che a Saragozza il 24 agosto 1606 egli riceve da Padre Juan Sanz <<un piccolo pezzetto>> della sacra e vera scarpa di Maria Vergine venerato nel convento carmelitano di Valencia. Il 23 dicembre dello stesso anno (1606) Padre Enrico Silvio invia in dono al Carmelo astense il reliquiario <<avendo fatto in una scarpa d’argento indorata e gioiellata incassare il suddetto medesimo Pezzetto>>, con la richiesta di approvazione al pubblico culto che è subito accolta dal vescovo (dal documento di autentica conservato con il reliquiario). Il reliquiario caratterizzato dall’insolita forma a scarpa è quindi opera di bottega spagnola o, presumibilmente, di Barcellona dove Enrico aveva acquistato <<diamanti falsi per abbellire argenterie>> come scrive Padre Francesco Voersio che aveva accompagnato l’Enrico nella sua visita. (Voersio Asti 1614, p. 102). Se si analizzano la forma e i caratteri stilistici del reliquiario si nota come non abbia eguali nell’oreficeria sacra coeva. Il manufatto poggia su tre eleganti piedi a doppia voluta, finemente decorato con elementi vegetali. La raffinata esecuzione e la perizia con cui sono assemblate le diverse parti ornamentali sono riferibili ad un argentiere di elevata maestria.

Il reliquiario a forma di scarpa ha la stessa misura dell’impronta che appare sul foglio a stampa conservato con il reliquiario, della <<vera e giusta misura del piede della B. V. Maria cavata da una scarpa della medesima quale si conserva in un Monastero di Siracusa in Spagna>>, incisione conservata nell’archivio storico dell’Istituto Isnardi.

La reliquia spagnola è descritta anche da Padre Vorsio nella biografia di Padre Enrico ricordando che era una delle tre reliquie più importanti (le altre reliquie erano riferite ad un’immagine della Regina degli Angeli e l’altra ad una campana) e venerata <<per le continue gratie, che ricevono le donne, che non possono partorire, poiché ponendosi sopra esse detta Scarpa, con vera devotione, subito partoriscono, con infinita consolazione de’fedeli>> (Voesio, Asti 1614, p. 302). Il prezioso oggetto non è citato da nessuna fonte (le visite pastorali non comprendevano il convento del Carmine) tranne che dal Tessiero (1751-1754, f. 187).

Il reliquiario oggi è conservato nella cappella nell’Istituto Opera Pia Isnardi fondato nel 1744 dal canonico Urbano Isnardi dove arrivò a seguito della soppressione (1802) del Carmelo astense dei Calzati, sede di un prestigioso centro di studi teologici.

Ivana Bologna

Dal libro <<Nella città d’Asti in Piemonte – Arte e cultura in epoca moderna>> SAGEP.

23 dicembre 1606 Padre Enrico Silvio invia in dono al Carmelo astense il reliquiario
Reliquario della Vera Scarpa della Madonna 1606 Asti, Istituto Opera Pia Isnardi
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Reliquario della Vera Scarpa della Madonna 1606 Asti, Istituto Opera Pia Isnardi
Reliquario della Vera Scarpa della Madonna 1606 Asti, Istituto Opera Pia Isnardi
Reliquario della Vera Scarpa della Madonna 1606 Asti, Istituto Opera Pia Isnardi
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Eugenio Guglielminetti 
Opera realizzata per la ripresa del Palio nel 1967
Eugenio Guglielminetti 
Opera realizzata per la ripresa del Palio nel 1967
Museo del Palio Asti
Museo del Palio Asti
Museo del Palio Asti
Museo del Palio Asti
Museo del Palio Asti  2021 Drappo per il Palio dell'anno 2021 Dipinto dal Maestro Filippo Pinsoglio, non è stato assegnato a seguito della sospensione della corsa per la pandemia da COVID 19
Drappo per il Palio dell'anno 2021 Dipinto dal Maestro Filippo Pinsoglio, non è stato assegnato a seguito della sospensione della corsa per la pandemia da COVID 19
Museo del Palio Asti San Secondo
Museo del Palio Asti San Secondo
Museo del Palio Asti San Secondo
Museo del Palio Asti  Montiscalvis Civitatis - Moncalvo
Museo del Palio Asti La città di Moncalvo con 5 vittorie - gavardina realizzata dal pittore Ottavio Baussano
Museo del Palio Asti San Secondo
Museo del Palio Asti
https://www.comune.asti.it/pagina796_san-pietro-in-consavia.html

https://www.comune.asti.it/pagina936_museo-del-palio.html

https://www.comune.asti.it/pagina793_cripta-e-museo-di-santanastasio.html

Dalla pagina 334 alla pagina 411 tutta STORIA DI ASTI, antiche famiglie, personaggi illustri, donne di grande valore e sante donne

Bozzetto di Ottavio Baussano 1929
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Michelangelo Pittatore

(Asti, 1825 – 1903)

“Appena undicenne, Pittatore frequentò la bottega del pittore braidese Agostino Cottolengo, fratello del canonico Benedetto, e successivamente studiò a Roma presso l’Accademia di San Luca dove fu allievo di Tommaso Minardi. Nel 1845 dipinse quattro tele per la serie di ritratti dei cavalieri dell’Ordine della Santissima Annunziata voluti dalla regina Maria Cristina per la Chiesa del Castello di Agliè. Nel 1848 gli avvenimenti politici lo spinsero a ritornare ad Asti. Una significativa testimonianza della sua partecipazione al fervore patriottico è, in quell’anno, la tavola dipinta con l’angelo in volo sopra l’Italia, recante una spada fiammeggiante e il drappo tricolore. (Allegoria). Tra il 1852 e il 1858 fu nuovamente a Roma, dove conobbe il pittore tedesco Rudolph Lehmann e dipinse soggetti religiosi su commissione di don Giuseppe Serratrice, parroco di Costigliole d’Asti. I ritratti a matita dei taccuini romani documentano inoltre i contatti con l’ambiente artistico cosmopolita del Caffè Greco. In seguito la sua pittura fu orientata verso il ritratto e il quadro di genere di ispirazione nordica. Dal 1859 Pittatore fu impegnato ad Asti come ritrattista della borghesia cittadina e le collezioni civiche di Palazzo Mazzetti documentano le richieste di quadri religiosi per le chiese della città e della provincia. Tra le commissioni pubbliche va ricordata quella del Municipio per il ritratto di Vittorio Emanuele II, datato 1861. L’amicizia con Rudolph Lehmann lo portò a risiedere a Londra dal 1868 al 1872, dove, giunto con la lettera di presentazione di Giuseppe Mazzini, ebbe contatti con l’ambiente dei fuoriusciti italiani e con esponenti in vista della comunità ebraica.”

ANDREA ROCCO (Pittatore, 1983; Prunotto, 2003, pp. 10-83)

dal libro Il Risorgimento nell’Astigiano, nel Monferrato e nelle Langhe – Fondazione Cassa di Risparmio di Asti e Banca C. R. Asti

Ritratto di Michelangelo Pittatore
La Via Crucis pittore Michelangelo Pittatore

Guglielmo Massaja

(Poivà d’Asti, 8 giugno 1809 – San Giorgio Cremano, 6 agosto 1889)

Nato da una famiglia di origini contadine, Guglielmo Massaja – al secolo Lorenzo Antonio – giunse ad Asti nel gennaio 1824, per compiere gli studi seminariali presso il Collegio Reale. Vestito il 6 settembre 1826 il saio dei fratti cappuccini, sei anni dopo, il 16 giugno 1832, fu ordinato sacerdote a Vercelli. Sostanzialmente estraneo ai grandi dibattiti politici del suo tempo, desideroso di un ritorno della Chiesa a forme genuine e popolari di devozione, egli riconobbe sin dall’inizio nell’apostolato missionario una strada per porre le basi di un modello cristiano nuovo, capace di assicurare al cattolicesimo una ritrovata forza di attrazione. Nel 1834 fu nominato cappellano dell’Ospedale Mauriziano di Torino. Due anni dopo ottenne una cattedra di filosofia e teologia. Durante la sua esperienza di <<lettore>> dei novizi cappuccini, fu anche un frequentatore piuttosto assiduo del Castello reale di Moncalieri, dove strinse legami con vari personaggi di corte, rivestendo un ceto ruolo anche nell’educazione dei due principi Ferdinando e Vittorio Emanuele.

Una vera svolta nella sua vita si ebbe tuttavia solo il 12 maggio 1846, quando Gregori XVI lo nominò vescovo di Cassia e vicario apostolico dei popoli oromo dell’Alta Etiopia. La notizia giunse a Massaja abbastanza inaspettata, anche per il fatto che di lui si parlava da tempo come di un serio candidato a una sede vescovile in patria. Forse anche per il timore di vedersi coinvolto nei fermenti politico-religiosi che animavano in quegli anni il Piemonte sabaudo, egli decise tuttavia di accogliere la prospettiva missionaria e di partire per l’Africa.

La sua missione ebbe ufficialmente inizio il 4 giugno 1846, anche se quella realmente vissuta nelle terre degli oromo fu limitata agli anni dal 1852 al 1863. Essa fu infatti preceduta da una parentesi di oltre sei anni in cui si consumarono vani tentativi di aprirsi una strada per raggiungere il suo vicariato.

Un particolare peso nella sua missione assunse sin dall’inizio il rapporto con l’islam, che in quegli anni stava conoscendo una fase di forte espansione in Africa orientale. Massaja si convinse immediatamente dell’esigenza di garantire all’Etiopia cristiana l’appoggio europeo, per creare uno sbarramento contro la sua avanzata. Tra il 1850 e il 1851 ebbe rapporti con i vertic

i della politica francese, inglese e vaticana (Luigi Bonaparte, il ministro La Hitte, lord Palmerston, Pio IX). Ma i suoi sforzi diplomatici per coinvolgere qualche potenza europea nel suo piano sortirono esiti deludenti. Sconfitto e amareggiato, rientrò allora in Africa, gettandosi con determinazione nella sua azione missionaria, contrassegnata da notevoli successi, soprattutto nel campo dell’istruzione dei giovani e dell’assistenza agli infermi, ma anche da grandi delusioni sul piano del rapporto con le gerarchie vaticane, le quali a suo parere non lo sostenevano a sufficienza. In lui si fece inoltre molto viva la nostalgia per lo spirito della Chiesa delle origini, vicina ai poveri, agli esclusi, estranea al potere e alla ricchezza.

Con l’approdo nei territori del principe Menelik II prese il via la seconda fase della missione africana di Massaja, quella vissuta nelle terre del Regno di Scioa, formalmente al di fuori dei confini del suo vicariato. Egli giunse in quelle terre nel marzo 1868, di rientro da un nuovo viaggio in Europa e mentre stava tentando di raggiungere per una diversa via i territori degli oromo. Il principe africano – di cui Massaja diventò una sorta di consigliere politico – lo persuase a trattenersi nel suo regno, nella convinzione che il suo aiuto potesse affrigli buone prospettive per istaurare rapporti di amicizia con le potenze occidentali, fondamentali per rafforzare le sue mire di diventare imperatore d’Etiopia.

Nel 1872 Massaja accolse – seppure a malincuore – l’invito a collaborare a un’ambasciata scioana, da inviare al re d’Italia; una iniziativa che in patria, a poca distanza da Porta Pia, gli valse le immediate critiche dei clericali. Nel 1876, dopo un periodo interlocutorio nei rapporti tra i regni d’Italia e dello Scioa, Menelik promosse una seconda missione presso Vittorio Emanuele II, riuscendo nuovamente a coinvolgere il vescovo cappuccino. Memore delle polemiche sollevate dalla sua precedente iniziativa e timoroso di accrescere i sospetti dell’imperatore d’Etiopia Johannes IV, Massaja si mosse questa volta con notevole cautela. Ma ancora una volta i suoi sforzi risultarono vani. Dopo l’aggravarsi del conflitto tra Johannes IV e Menelik e dopo l’umiliante sottomissione a cui quest’ultimo fu costretto, il 24 giugno 1879 il vescovo cappuccino dovette subire l’espulsione dai territori dell’Impero.

Si concluse in questo modo una delle esperienze di maggiore interesse e rilievo di un missionario cattolico in Africa. I numeri del suo apostolato appaiono stupefacenti.

  • Svariate traversate del mar Mediterraneo e del mar Rosso (spesso compiute su imbarcazioni di fortuna)
  • Oltre 7.000 chilometri percorsi a piedi o sul dorso di animali
  • Decine di migliaia di persone curate o vaccinate contro il vaiolo

Divenuto una figura quasi leggendaria del mondo missionario, dopo il suo rientro in Europa, Massaja fu promosso prima arcivescovo e po, il 12 novembre 1884, cardinale. Tra il 1880 e il 1886 scrisse una monumentale storia della sua missione: un affresco esemplare dell’Etiopia ottocentesca, destinata a una straordinaria fortuna in Italia e in Europa.

Nel maggio 1889 raggiunse Frascati e, nel giugno successivo, San Giorgio Cremano, dove si spense il 6 agosto. Nel 1914 fu avviata la sua causa di beatificazione, poi sospesa da Benedetto XV il 19 gennaio 1916 e riaperta quasi ottanta anni dopo, il 22 maggio 1993.

MAURO FORNO (Massaja, 1978; Massaja, 1984; Durante, 1998; Forno, 2009).

dal libro Il Risorgimento nell’Astigiano, nel Monferrato e nelle Langhe – Fondazione Cassa di Risparmio di Asti e Banca C. R. Asti

Per chi non è alla conoscenza 

Madomma del Portone Asti
Ecce Homo Madonna del Portone Asi
La pietra rimasta murata Madona del Portone Asti
Gesù Paziente immagine miracolosa Asti
La via crucis Madonna del Portone Asti
Gesù condannato a morte
Gesù consola le donne
Gesù spogliato delle vesti
Gesù premia Veronica
Gesù cade la seconda volta
Gesù Caricato della croce
Gesù premia la Veronica
Gesù deposto dalla croce
Porta dei celi Maria Asti
Gesù inchiodato sulla croce
Gesù muore per noi in croce
Madonna del Portone ASti

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