Diventare possibile
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Fratelli tutti, il buon samaritano, il nostro prossimo

Dal libro: Martin Luther King – LA FORZA DI AMARE

Edizione italiana a cura di P. Ernesto Balducci, 1967 SEI – TORINO,

 Titolo originale STRENGHT TO LOVE, Harper & Row, Publisher

DELL’ESSERE UN BUON PROSSIMO

E chi è il mio prossimo? (Luca, 10, 29)

               Vorrei parlarvi di un uomo buono, la cui vita esemplare sarà sempre una luce sfolgorante capace di tormentare la sonnacchiosa coscienza dell’umanità. La sua bontà non consisteva in un passivo abbandono ad un particolare credo, ma nell’attiva partecipazione ad azioni di salvezza; non in un pellegrinaggio morale che raggiungeva il suo punto di destinazione, ma nella morale dell’amore con la quale egli compiva il suo viaggio attraverso la strada maestra della vita: era buono perché era un buon prossimo.

               L’interesse morale di quest’uomo è espresso in una meravigliosa storia breve, che comincia con una discussione teologica sul significato della vita eterna, e si conclude con una concreta manifestazione di compassione su di una strada pericolosa. A Gesù viene posta una domanda da un uomo che si era formato nelle sottigliezze della legge giudaica: <<Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna?>>. La risposta è pronta: <<Che cosa è scritto nella legge? Tu che cosa ci leggi? >>. Dopo un momento, il dottore della legge recita distintamente: <<Amerai il Signore Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente; e il prossimo tuo come te stesso>>. Allora viene da Gesù la parola decisiva: <<Hai risposto bene: fa questo, e vivrai>>.

               Il dottore della legge rimase male. <<Perché>>, avrebbe potuto domandare la gente, <<un esperto della legge avrebbe dovuto fare una domanda a cui anche un novizio poteva rispondere?>>. Volendo giustificare se stesso e mostrare che la risposta di Gesù era tutt’altro che conclusiva, il dottore della legge domanda: <<E chi è il mio prossimo?>>. Egli si stava ora impegnando in un dibattito vigoroso che avrebbe potuto trasformare la conversazione in un’astratta disputa teologica. Ma Gesù, deciso a non lasciarsi prendere nella ‘paralisi dell’analisi’, strappa la domanda da mezz’aria dov’era sospesa e la colloca in una pericolosa curva tra Gerusalemme e Gerico.

Egli narrò la storia di ‘un uomo’, che scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei ladroni, che lo spogliarono, lo bastonarono e, andandosene, lo lasciarono mezzo morto. Per caso, passò di là un sacerdote, ma tirò dritto, dall’altra parte della strada, e più tardi anche un levita passò oltre. Finalmente, passò un samaritano, uno di razza inferiore, di un popolo con cui i giudei non avevano relazioni. Quando vide l’uomo ferito, fu mosso a compassione, gli somministrò i soccorsi, lo mise sul suo asino, <<lo portò in una locanda, e si prese cura di lui>>.

               Chi è il mio prossimo? <<Non conosco il suo nome>>, dice Gesù in sostanza. <<E’ chiunque verso cui voi agite da buon vicino. È chiunque giace nel bisogno all’angolo della strada della vita. Non è giudeo né gentile, né russo né americano, né negro né bianco. È ‘un uomo’ – ogni uomo in bisogno – in una delle numerose strade di Gerico della vita>>. Così Gesù definisce il prossimo, non con una definizione teologica, ma con una situazione vitale.

In che cosa consisteva la bontà del buon samaritano? Perché egli sarà sempre un paragone ispiratore della virtù dell’amicizia? Mi sembra che la bontà di quest’uomo possa essere descritta con una sola parola: altruismo. Il buon samaritano era altruista nell’intimo. Che cos’è l’altruismo? Il dizionario definisce altruismo come <<considerazione per, dedizione all’interesse degli altri>>. Il samaritano era buono perché faceva della premura per gli altri la prima legge della sua vita.

I

Il samaritano aveva la capacità di un altruismo universale. Aveva uno sguardo che penetrava fino a ciò che sta oltre gli esterni accidenti della razza, religione e nazionalità. Una delle più grandi tragedie del lungo viaggio dell’uomo sulle vie della storia è stata la limitazione del prossimo alla tribù, alla razza, alla classe o alla nazione. Il Dio dei templi primitivi dell’Antico Testamento era un dio tribale, ed anche la morale era un’etica tribale. <<Non uccidere>> significava <<Non uccidere un tuo confratello israelita, ma, per amor di Dio, uccidi un filisteo>>. La democrazia greca comprendeva una certa aristocrazia, ma non le orde di schiavi greci le cui fatiche costruirono le città-stato. L’universalismo che è al centro della Dichiarazione di Indipendenza è stato vergognosamente rinnegato dalla spaventosa tendenza dell’America a sostituire ‘alcuni’ a ‘tutti’. Molti, nel Nord e nel Sud, credono ancora che l’affermazione <<Tutti gli uomini sono creati uguali>> significhi <<Tutti gli uomini bianchi sono creati uguali>>. La nostra incrollabile devozione al capitalismo monopolistico ci rende più premurosi della sicurezza economica dei capitali d’industria che di lavoratori il cui sudore e la cui capacità fanno funzionare l’industria.

               Quali sono le disastrose conseguenze di questo angusto atteggiamento gruppocentrico? Esso significa che uno non si cura realmente di ciò che accade alla gente al di fuori del proprio gruppo. SE un americano si preoccupa solo dei propri connazionali, egli non si interesserà dei popoli dell’Asia, dell’Africa e del Sud-America. Non è forse questa la ragione per cui le nazioni si impegnano nella follia della guerra senza il minimo segno di pentimento? Non è forse questa la ragione per cui l’uccisione di un cittadino della vostra nazione è un delitto e l’uccisione dei cittadini di un’altra nazione in guerra è un atto di virtù eroica? Se gli industriali si preoccupano solo del loro personale interesse, essi tireranno diritto dall’altra parte mentre migliaia di lavoratori sono privati del loro lavoro e buttati su qualche strada di Gerico come risultano dell’automazione, e giudicheranno socialista ogni passo verso una migliore distribuzione della ricchezza ed una vita migliore per il lavoratore. Se un bianco si preoccupa solo della propria razza, egli, se capita, passerà oltre dinanzi al negro che è stato derubato della sua personalità, privato del suo senso di dignità, e lasciato morente a qualche angolo della strada.

[…] Troppo raramente vediamo le persone nella loro reale essenza umana. Una miopia spirituale limita la nostra visione agli accidenti esterni: vediamo gli uomini come giudei o gentili, cattolici o protestanti, cinesi o americani, negri o bianchi, non pensiamo a loro come a esseri umani simili a noi, fatti della nostra stessa sostanza fondamentale, modellati sulla stessa immagine divina. Il sacerdote e il levita videro solo un corpo sanguinante, non un essere umano simile a loro. Ma il buon samaritano ci ammonirà sempre a rimuovere le cataratte del provincialismo dai nostri occhi spirituali ed a vedere gli uomini come uomini. Se il samaritano avesse considerato l’uomo ferito innanzi tutto come un giudeo, egli non si sarebbe fermato, perché i giudei e i samaritani non avevano relazioni tra loro: egli lo vide innanzitutto come un essere umano, che era giudeo solo per accidente. Il buon prossimo guarda oltre gli accidenti esterni e scorge quelle qualità interiori che rendono tutti gli uomini umani e, perciò, fratelli.

II

Il samaritano possedeva la capacità di un altruismo pericoloso. Egli rischiò la vita per salvare un fratello.

[…] Quando mia moglie ed io visitammo la Terra Santa, noleggiammo un’automobile e ci recammo da Gerusalemme a Gerico. Mentre scendevamo lentamente giù per la tortuosa strada di montagna, io dissi a mia moglie. <<Ora capisco perché Gesù scelse questa strada come scenario per la sua parabola>>. Gerusalemme è a circa duemila piedi al di sopra, e Gerico mille piedi al di sotto del livello del mare, la discesa si compie in meno di venti miglia; numerose curve offrono punti adatti all’agguato ed espongono il viaggiatore ad attacchi improvvisi. Anticamente, la strada era conosciuta come il Passo di Sangue. È dunque possibile che il sacerdote e il levita temessero, qualora si fossero fermati, di essere assaliti essi pure. Forse i briganti erano ancora nelle vicinanze; o forse l’uomo ferito al suolo era un simulatore, che voleva attirare dalla sua parte i viaggiatori di passaggio, per una rapida e facile rapina. Io immagino che la prima domanda che il sacerdote e il levita si posero fu: <<Se mi fermo per aiutare quest’uomo, che cosa mi succederà?>>. Ma, per la natura stessa del suo interessamento, il buon samaritano rovesciò la domanda. <<Se io non mi fermo per aiutare quest’uomo, che cosa ne sarà di lui?>>. Il buon samaritano si impegnò in un altruismo pericoloso.

Noi ci domandiamo spesso: <<Che ne sarà del mio lavoro, del mio prestigio o della mia situazione, se io prendo posizione in questa situazione? La mia casa sarà bombardata, Che ne sarà della mia vita minacciata, o verrò messo in prigione?>>. L’uomo buono rovescia sempre la domanda.

Albert Schweitzer non si domandò: <<Che ne sarà del mio prestigio e della mia sicurezza come professore universitario e della mia situazione come organista, esecutore di Bach, se io lavoro con la gente dell’Africa?>>, ma si domandò invece: <<Che ne sarà di questi milioni di uomini colpiti dalle forze dell’ingiustizia, se io non vado a loro?>>.

Abramo Lincoln non si domandò: <<Che ne sarà di me, se io pubblico la Proclamazione di emancipazione e metto fine alla schiavitù?>>, ma si domandò: <<Che ne sarà dell’Unione e di milioni di negri, se io non lo faccio?>>.

Il professionista negro non si domanda: “Che ne sarà della mia posizione sicura, della mia situazione nella classe media, o della mia sicurezza personale, se io partecipo al movimento per metter fine al sistema di segregazione?>>, ma: <<Che ne sarà della causa della giustizia e delle masse di negri che non hanno mai sperimentato il calore della sicurezza economica, se io non partecipo attivamente e coraggiosamente al movimento?>>.

La misura definitiva di un uomo non la si trova là dove egli sta nei momenti di tranquillità e di convenienza, ma là dove egli sta nei momenti di difficoltà e di controversia. Il vero prossimo rischierà la posizione, il prestigio e anche la vita per il benessere degli altri. Attraverso vallate pericolose e su rischiosi sentieri, egli solleverà qualche fratello oppresso e schiacciato ad una vita più alta e più nobile.

III

Il samaritano possedeva anche un altruismo eccessivo. Con le sue stesse mani egli fasciò le ferite dell’uomo e poi lo collocò sul suo asino. Sarebbe stato facile pagare un’ambulanza per portare l’infelice all’ospedale, piuttosto che rischiare di macchiarsi di sangue l’abito bene assettato.

Il vero altruismo è più della capacità di essere pietosi: è la capacità di simpatizzare. La pietà può rappresentare poco più della premura che spinge ad inviare un assegno, ma la vera simpatia è l’interessamento personale che esige il dono della propria anima. La pietà può nascere dall’interesse per un’astrazione chiamata umanità, ma la simpatia nasce dalla premura per un particolare essere umano bisognoso che giace all’angolo della strada della vita. Simpatia è un sentimento di amicizia per la persona in bisogno: per la sua pena, per la sua angoscia, per i suoi fardelli. I nostri sforzi missionari falliscono quando sono fondati sulla pietà, piuttosto che sulla vera compassione. Invece di cercare di fare qualcosa con le popolazioni africane e asiatiche, troppo spesso noi abbiamo cercato soltanto di fare qualcosa per loro. Una manifestazione di pietà priva di genuina simpatia porta ad una nuova forma di paternalismo, che nessuna persona che si rispetti può accettare. I dollari possiedono potenzialmente la capacità di aiutare i figli di Dio feriti sulla strada di Gerico della vita, ma se quei dollari non sono distribuiti da dita compassionevoli, essi non arricchiranno né chi li dà né chi li riceve. Milioni di dollari sono andati all’Africa attraverso le mani di gente di chiesa, che morirebbe milioni di volte piuttosto che concedere ad un solo africano il privilegio di partecipare al culto nella loro congregazione. Milioni di dollari del Corpo della Pace vengono investiti in Africa in forza del voto di uomini che lottano inflessibilmente per impedire che ambasciatori africani ottengano di essere membri del loro clubs diplomatici o stabiliscano la residenza nelle loro vicinanze. Il Corpo della Pace fallirà, se cerca di fare qualcosa per i popoli non privilegiati del mondo; avrà successo, se cerca costruttivamente di fare qualcosa con loro, fallirà come movimento negativo per sconfiggere il comunismo; avrà successo solo come sforzo positivo per eliminare dalla terra la povertà, l’ignoranza e la malattia. Il danaro senza amore è come il sale senza sapore, buono solo per essere calpestato sotto i piedi degli uomini. Il vero amor di prossimo esige interessamento personale. Il samaritano usò le proprie mani per fasciare le ferite del corpo dell’uomo derubato, e dispensò anche un amore traboccante per curare le ferite del suo spirito affranto.

Il dottor Harry Emerson Fosdick ha fatto una calzante distinzione tra obblighi coercitivi e obblighi non coercitivi.

I primi sono regolati dai codici della società e dalla vigorosa attrezzatura delle forze dell’ordine: l’infrazione di tali obblighi, esposta in migliaia di pagine nei libri di legge, ha riempito numerose prigioni. Ma gli obblighi non coercitivi sono fuori dalla portata delle leggi della società: essi riguardano gli atteggiamenti interiori, le relazioni genuine di persona a persona, e le espressioni di compassione che i libri di legge non possono regolare e le prigioni non possono correggere: tali obblighi si onorano affidandosi ad una legge interiore, scritta nel cuore. Le leggi umane assicurano la giustizia, ma una legge più alta produce l’amore. Nessun codice di condotta ha mai indotto un padre ad amare i suoi figli o un marito a mostrare affetto alla moglie. Il tribunale può forzarlo a provvedere gli alimenti per la famiglia, ma non può costringerlo a provvedere l’alimento dell’amore; un buon padre obbedisce ad un comandamento non coercitivo. Il buon samaritano rappresenta la coscienza dell’umanità, perché egli pure obbediva a un comandamento non coercitivo. Nessuna legge al mondo poteva produrre una così pura compassione, un così genuino amore, un così completo altruismo.

Il senso morale non può venire regolato dalla legge, ma il comportamento, sì, i decreti giudiziari non possono mutare i cuori, ma possono tenere a freno i senza-cuore. La legge non può far sì che un datore di lavoro ami i suoi dipendenti, ma può impedirgli di rifiutarsi di assumere me a causa del colore della mia pelle. I costumi, se non i cuori, degli uomini sono stati e sono ogni giorno modificati da atti legislativi, da decisioni giudiziarie e da ordini esecutivi. Non lasciamoci fuorviare da quelli che sostengono che alla segregazione non si può porre fine con la forza della legge.

Ma, pur riconoscendo tutto questo, dobbiamo ammettere che la soluzione definitiva del problema razziale sta nella disposizione degli uomini ad obbedire a leggi non coercitive. Gli ordini dei tribunali e le forze di polizia sono di inestimabile valore per metter fine alla segregazione, ma la fine della segregazione è solo un passo parziale, sebbene necessario, verso la meta finale che noi cerchiamo di realizzare, una forma di vita veramente intergruppale e interpersonale. La fine della segregazione abbatterà le barriere legali e avvicinerà gli uomini fisicamente, ma qualche cosa deve toccare il cuore e l’anima degli uomini così che essi vogliano stare insieme spiritualmente, perché questo è naturale e giusto. Un vigoroso rafforzamento delle leggi sui diritti civili metterà fine alla segregazione nei pubblici servizi, che è una barriera contro una società veramente desegregata, ma non può mettere fine a timori, pregiudizi, orgoglio e irrazionalità, che sbarrano l’accesso ad una società veramente integrata. Questi ostacoli oscuri e demoniaci saranno rimossi solo quando gli uomini saranno dominati dall’invisibile legge interiore che scolpisce nei loro cuori la convinzione che tutti gli uomini sono fratelli e che l’amore è lo strumento più potente dell’umanità in vista di una trasformazione personale e sociale. La vera integrazione sarà compiuta da uomini che siano veramente ‘prossimo’ e obbediscano di buon grado ad obblighi non coercitivi.

Come non mai prima d’ora, amici miei, gli uomini di tutte le razze e nazionalità sono oggi chiamati ad essere ‘prossimi’ gli uni verso gli altri. L’appello ad una politica mondiale di buon vicinato è assai più che un’effimera parola d’ordine: è l’appello ad una forma di vita capace di trasformare la nostra imminente elegia cosmica in un salmo di pienezza creativa. Non possiamo più a lungo permetterci il lusso di tirare diritto dall’altra parte: una tale follia si chiamava una volta fallimento morale, oggi porterebbe al suicidio universale. Non possiamo sopravvivere a lungo separati spiritualmente in un mondo che è unito dal punto di vista geografico. In ultima analisi, io non devo ignorare l’uomo ferito sulla strada di Gerico della vita, perché egli è parte di me ed io sono parte di lui: la sua agonia mi diminuisce, la sua salvezza mi accresce.

Nel nostro tentativo di fare dell’amore del prossimo una realtà, noi abbiamo, a guidarci, oltre all’esempio ispiratore del buon samaritano, la magnanima vita del nostro Cristo. Il suo altruismo era universale, perché egli considerava tutti gli uomini, anche i pubblicani e i peccatori, come fratelli. Il suo altruismo era rischioso, perché egli spontaneamente percorreva vie pericolose per una causa che conosceva giusta. Il suo altruismo era eccessivo, perché egli scelse di morire sul Calvario, la manifestazione più meravigliosa in tutta la storia di obbedienza a leggi non coercitive.

UN NON-CONFORMISTA TRASFORMATO

Non siate conformati a questo mondo,

ma trasformatevi rinnovando la vostra mente.

Romani, 12, 2

NON CONFORMATEVI è un consiglio difficile in una generazione in cui le pressioni della folla hanno inconsciamente condizionato la nostra mente ed i nostri piedi a muovere al ritmico rullo di tamburo dello status quo. Molte voci e molte forze ci spingono a scegliere il cammino della minor resistenza e ci esortano a non combattere mai per una causa impopolare e a non farci mai trovare in una patetica minoranza di due o tre.

Anche talune delle nostre discipline intellettuali ci persuadono della necessità di conformarsi. Alcuni sociologi filosofi suggeriscono che la moralità è un mero consenso di gruppo e che le usanze della gente sono quelle giuste. Alcuni psicologi dicono che l’adattamento mentale è la ricompensa del pensare ed agire come gli altri.

Successo, riconoscimento e conformità sono le parole d’ordine del mondo moderno, in cui ciascuno sembra aspirare all’anestetizzante sicurezza di essere identificato con la maggioranza.

I

A dispetto di questa prevalente tendenza a conformarsi, noi, in quanto cristiani, abbiamo il mandato di essere non-conformisti. L’apostolo Paolo, che conosceva le realtà interiori della fede cristiana, consigliava: <<Non siate conformati a questo mondo, ma trasformatevi mediante il rinnovamento della vostra mente>>. Noi siamo chiamati ad essere un popolo di convinzioni, non di conformità; di nobiltà morale, non di rispettabilità sociale. Ci è stato comandato di vivere diversamente e in accordo con una superiore fedeltà.

Ogni vero cristiano è cittadino di due mondi, il mondo del tempo e il mondo dell’eternità. Noi siamo paradossalmente, nel mondo, eppure non del mondo. Ai cristiani filippesi, Paolo scriveva: <<Noi siamo una colonia del cielo>>. Essi comprendevano che cosa egli intendeva, perché la loro città di Filippi era una colonia romana. Quando Roma voleva romanizzare una provincia, vi stabiliva una piccola colonia di gente che viveva secondo la legge romana e i costumi romani e che, sebbene in altro paese, si teneva stretta alla sua fedeltà a Roma. Sebbene l’analogia sia imperfetta – i coloni romani vivevano in un sistema di ingiustizia e di sfruttamento, cioè di colonialismo -, l’apostolo vuole sottolineare la responsabilità dei cristiani di infondere in un mondo non cristiano gli ideali di un ordine più elevato e più nobile. Vivendo nella colonia del tempo, noi siamo in definitiva responsabili di fronte all’impero dell’eternità.

Questo comandamento di non conformarsi non viene soltanto da Paolo, ma anche dal nostro Signore e Maestro, Gesù Cristo, il più impegnato non-conformista del mondo, il cui non-conformismo etico ancora ammonisce la coscienza dell’umanità.

[…] Mentre una società opulenta vorrebbe indurci a credere che la felicità consiste nella dimensione delle nostre automobili, nella imponenza delle nostre case e nella sontuosità delle nostre vesti, Gesù ci ammonisce che <<La vita di un uomo non consiste nell’abbondanza delle cose che egli possiede>>.

Quando noi stiamo per cedere alla tentazione di un mondo brulicante di promiscuità sessuale e reso feroce da una filosofia di autoaffermazione, Gesù ci dice che: <<Chiunque guarda una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore>>.

Quando noi rifiutiamo di soffrire per la giustizia, e scegliamo di seguire il sentiero della comodità piuttosto che quello della convinzione, sentiamo Gesù dire: <<Beati quelli che sono perseguitati per amore della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli>>.

Quando nel nostro orgoglio spirituale noi ci vantiamo di aver raggiunto il culmine dell’eccellenza morale, Gesù ci ammonisce: <<I pubblicani e le meretrici entreranno nel regno di Dio prima di voi>>.

Quando, con spietato distacco e arrogante individualismo, noi manchiamo di corrispondere ai bisogni dei non-privilegiati, il Maestro dice: <<Ogni volta che avete fatto questo ad uno dei minimi di questi miei fratelli, lo avete fatto a me>>.

Quando noi permettiamo che la scintilla della vendetta nella nostra anima fiammeggi in odio contro i nostri nemici, Gesù ammonisce: <<Amate i vostri nemici, benedite quelli che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano e pregate per quelli che vi disprezzano e vi perseguitano>>.

Dappertutto e in ogni tempo, l’etica d’amore di Gesù è una luce radiosa che rivela tutta la bruttura del nostro conformismo stantio.

Noi non siamo artefici della storia, siamo fatti dalla storia. Longfellow diceva: <<In questo mondo, un uomo deve essere incudine o martello>>, intendendo che o egli è un modellatore della società, o è modellato dalla società. Chi potrebbe dubitare che oggi la maggior parte degli uomini sono incudini e sono formati sui modelli della maggioranza? O, per cambiare immagine, i più, e in particolare i cristiani, sono termometri che trascrivono e registrano la temperatura dell’opinione della maggioranza, non termostati che trasformano e regolano la temperatura della società.

Molti temono sopra ogni altra cosa il prendere una pozione che si distingua nettamente e chiaramente dall’opinione prevalente. La tendenza dei più è di adottare un punto di vista così ambiguo da includere tutto e così popolare da includere tutti. È inoltre aumentato un disordinato culto della mole: viviamo in un’epoca di ‘elefantismo’, in cui gli uomini trovano sicurezza in ciò che è grande ed esteso. Grandi città, grandi edifici, grandi corporazioni. Questo culto delle dimensioni ha indotto molti a temere di essere identificati con un’idea minoritaria. Non pochi uomini, che pure coltivano elevati e nobili ideali, li nascondono sotto il moggio per timore di essere considerati diversi. Molti bianchi, nel Sud, si oppongono sinceramente, in privato, alla segregazione e alla discriminazione, ma temono di condannarle pubblicamente. Milioni di cittadini deplorano profondamente che il complesso militare industriale troppo spesso diriga la politica nazionale, ma non vogliono essere considerati antipatriottici.

Thomas Jefferson scriveva: <<Ho giurato sull’altare di Dio eterna ostilità contro ogni forma di tirannia sulla mente dell’uomo>>. Al conformismo e a quelli che modellano la mentalità conformista ciò deve suonare come la dottrina più pericolosa e radicale. Abbiamo dunque noi permesso che la luce di un pensiero indipendente e dell’individualismo si offuscasse a tal punto che, se Jefferson scrivesse ora queste parole e vivesse in conformità, noi troveremmo motivo di perseguitarlo e processarlo? Se gli Americani permettono il controllo del pensiero, il controllo degli affari e il controllo della libertà, noi siamo senza dubbio incamminati verso le ombre del fascismo.

LA LETTERA DI PAOLO AI CRISTIANI D’AMERICA

Mi piacerebbe comunicarvi una lettera immaginaria scritta dalla penna dell’apostolo Paolo. Il timbro postale la rivela proveniente dal porto della Troade. Aprendola, ho scoperto che era scritta in greco, invece che in inglese; dopo aver lavorato per parecchie settimane a tradurla, penso di averne ormai decifrato il vero significato. Se il contenuto suona stranamente ‘kingiano’, invece che paolino, attribuitelo alla mancanza di completa obbiettività da parte mia, piuttosto che a mancanza di chiarezza da parte di Paolo. Ecco la lettera, com’essa sta dianzi a me.

Paolo, chiamato dal volere di Dio ad essere apostolo di Gesù Cristo, a voi che siete in America: la grazia sia con voi, e la pace, da Dio nostro Padre, attraverso il nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo.

Per molti anni ho desiderato di vedervi. Ho sentito tanto parlare di voi e di quello che voi state facendo. Mi sono giunte nuove degli affascinanti e stupefacenti progressi da voi fatti nel campo scientifico; ho saputo delle vostre veloci ferrovie sotterranee e dei vostri aeroplani rapidi come il lampo. Col vostro genio scientifico voi avete minimizzato le distanze e messo in catene il tempo: avete reso possibile fare la prima colazione a Parigi, in Francia, e la seconda a New York City. Ho sentito anche dei vostri edifici che toccano le nuvole con le loro prodigiose torri lanciate verso il cielo. Mi è stato detto dei vostri grandi progressi nella medicina e della guarigione di molti terribili contagi e malattie, col conseguente prolungamento della vostra vita e con l’aumento della sicurezza e del benessere fisico. Tutto ciò è meraviglioso. Ai vostri giorni, voi potete fare tante cose, che io non potevo fare nel mondo greco-romano dei miei giorni. Questo, ripeto, è meraviglioso. Che passi straordinari avete fatti nel campo della realizzazione scientifica e tecnologica!

Ma, Americani, io mi domando, se il vostro progresso morale e spirituale è stato proporzionato al vostro progresso scientifico. Mi sembra che il vostro progresso morale sia rimasto indietro a quello scientifico, che la vostra capacità intellettuale abbia distanziato la vostra moralità e che la vostra civiltà oltrepassi in splendore la vostra cultura. Quanta parte della vostra vita può essere sintetizzata nelle parole del vostro poeta Thoreau: <<Mezzi progrediti per un fine immutato>>. Col vostro genio scientifico avete fatto del mondo un vicinato, ma avete mancato di impiegare il vostro genio morale e spirituale per fare del mondo una fraternità. Così, Americani, la bomba atomica che oggi voi avete da temere non è semplicemente quell’arma mortale che può essere lasciata cadere da un aeroplano sulle teste di milioni di uomini, ma quella bomba atomica che sta nel cuore degli uomini, capace di esplodere nell’odio più violento e nel più devastante egoismo. Io vorrei dunque pregarvi di mantenere i vostri progressi morali a pari passo coi vostri progressi scientifici.

Considero necessario ammonirvi della responsabilità che pesa su di voi di rappresentare i princìpi etici del cristianesimo in un’epoca che universalmente li trascura. Questo era un compito che spettava a me. So che vi sono in America molti cristiani che ritengono di dovere la loro suprema fedeltà a sistemi e costumi di origine umana: hanno la paura di essere diversi. La loro grande preoccupazione è di essere accettati dalla società. Vivono in base a princìpi simili a questo: <<Tutti fanno così, quindi dev’essere bene così>>. Per tanti di voi la moralità rispecchia semplicemente il consenso di gruppo. Nel vostro moderno gergo sociologico, i più sono accettati come le linee giuste di condotta. Inconsciamente, siete arrivati a credere che ciò che è gusto sia determinato dalle statistiche Gallup.

Cristiani americani, devo dire a voi ciò che scrissi ai cristiani romani tanti anni fa: <<Non vi conformate a questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente>>. Voi avete una duplice cittadinanza: vivete, insieme, nel tempo e nell’eternità. La vostra suprema fedeltà è dovuta a Dio, non ai costumi o agli usi popolari, allo stato o alla nazione o a qualsiasi istituzione umana. Dovete essere disposti a sfidare ingiuste usanze, a difendere cause impopolari e a demolire lo status quo. Voi siete chiamati ad essere il sale della terra, dovete essere la luce del mondo, dovete essere il lievito vitalmente attivo nella massa della nazione.

So che voi in America avete un sistema economico conosciuto come capitalismo, per mezzo del quale avete compiuto meraviglie; siete divenuti la nazione più ricca del mondo, e avete costruito il più grande sistema di produzione che la storia abbia mai conosciuto. Ma, Americani, vi è il pericolo che voi facciate cattivo uso el vostro capitalismo. Io sostengo ancora che l’amore del danaro è la radice di molti mali e può fare di un uomo rozzo materialista. Temo che molti tra voi si preoccupino più di far danaro che di accumulate tesori spirituali.

Il cattivo uso del capitalismo può anche condurre ad un tragico sfruttamento, e questo è accaduto così spesso nella vostra nazione. Mi è stato detto che una decima parte dell’un per cento della controlla più del quaranta per cento della ricchezza: Americani, quante volte avete tolto il necessario alle masse per dar il lusso alle classi privilegiate! Se volete essere una nazione veramente cristiana, dovete risolvere questo problema. Non potete risolverlo volgendovi al comunismo, perché il comunismo è basato su un relativismo etico, su un materialismo metafisico, su un paralizzante totalitarismo e su una rinunzia alla libertà fondamentale, che nessun cristiano può accettare. Ma voi potete operare entro la struttura della democrazia per realizzare una migliore distribuzione della ricchezza. Voi dovete usare le vostre grandiose risorse economiche per eliminare la povertà dalla terra. Dio non ha mai inteso che alcuni vivessero nella ricchezza superflua e disordinata, mentre altri conoscono solo una mortale povertà. Dio vuole che tutti i suoi figli abbiano il necessario per i bisogni fondamentali della vita, e a tale scopo ha lasciato in questo universo <<il sufficiente e il superfluo>>.

Vorrei potermi incontrare con voi di persona, così da potervi dire faccia a faccia quello che sono costretto a metter giù per iscritto. Oh, come desidero stare in vostra compagnia!

Permettete che io dica qualcosa intorno alla Chiesa. Americani, devo ricordarvi, come ho detto a tanti altri, che la Chiesa è il Corpo di Cristo. Quando la Chiesa è fedele alla sua natura, essa non conosce divisine né disunione. Mi è stato detto che all’interno del protestantesimo americano vi sono più di duecentocinquanta suddivisioni. E la tragedia non è solo che voi abbiate una tale molteplicità di denominazioni, ma che molti gruppi proclamino di possedere la verità assoluta: tale angusto settarismo distrugge l’unità del Corpo di Cristo. Dio non è né battista né metodista, né presbiteriano né episcopaliano: Dio trascende le vostre denominazioni. Se volete essere veri servitori di Cristo, o Americani, dovete rendervi conto di questo.

Sono felice di sentire che vi è in America un crescente interesse per l’unità e l’ecumenicità della Chiesa. Mi è giunta notizia che avete organizzato un Consiglio Nazionale delle Chiese e che la maggior parte delle vostre denominazioni più importanti sono affiliate al Consiglio Mondiale delle Chiese. Tutto ciò è meraviglioso. Continuate a seguire questa via costruttiva: tenete in vita questi consigli delle Chiese e continuate a dare loro il vostro appoggio incondizionato. Ho avuto l’incoraggiante notizia che vi è stato recentemente un dialogo tra i cattolici romani e i protestanti; mi è stato detto che parecchi ecclesiastici protestanti della vostra nazione hanno accettato l’invito del papa Giovanni a partecipare come osservatori ad un recente Concilio Ecumenico a Roma: questo è un segno significativo e salutare a un tempo. Spero che questo sia l’inizio di un’evoluzione che porterà i cristiani sempre più vicini gli uni agli altri.

Una cosa che mi preoccupa riguardo alla chiesa americana è che voi avete una chiesa bianca ed una chiesa nera. Come può esistere la segregazione nel corpo stesso di Cristo? Mi è stato detto che vi è maggiore integrazione nella società mondana e in altre istituzioni secolari di quanta ve ne sia nella chiesa cristiana: tutto questo è sconvolgente.

Sono informato che vi sono fra voi dei cristiani che cercano di trovare fondamenti biblici per giustificare la segregazione e sostengono che il negro è inferiore per natura. Oh, amici miei, questa è una bestemmia, ed è contrario a tutto ciò per cui la religione cristiana prende posizione.

Se lottate per la giustizia, fate che il vostro oppressore sappia che voi non avete né il desiderio di sconfiggerlo né quello di rendergli la pariglia per ingiustizie che egli ha accumulato su di voi; fate che egli sappia che la piaga suppurata della segregazione debilita il bianco non meno del negro. Con un tale atteggiamento, voi manterrete la vostra battaglia ad alti livelli cristiani.

Nel libro di Mario Lodi <<Il paese sbagliato>> 07/09/1974 Giulio Einaudi Editore s.p.a.

Alla pagina 137 –

Un testo di PRIMO MAZZOLARI, Il Samaritano:

<< – Non è dei miei.

  • Non l’ho mai visto alla Sinagoga.
  • È uno straniero. <<Come mai tu che sei giudeo chiedi da bere da me che sono Samaritana?>>
  • Non è del mio partito: non è tesserato.
  • Non è della mia terra: non parla la mia lingua.
  • Non è della mia razza.
  • Non è della mia classe: è un borghese.
  • È un uomo, – vi rispondo.

<< … Ho pietà dell’uomo perché uomo, non perché è della mia religione, della mia razza, della mia patria, della mia casta, del mio partito>>.

<<Il mondo cristiano non è immune da siffatta tentazione, che lo porta a confondersi col regno di Dio come se fosse ormai attuato quaggiù ed a credersi, farisaicamente, l’unica accolta di brava gente. Preso da questa orgogliosa sicurezza, il cristiano, invece di sentirsi spinto verso un’ardente inquietudine di conquista, tende a separarsi maggiormente dal resto del mondo, a staccarsi dalla storia degli uomini come il puro si stacca dall’impuro …

       Confinato nel proprio mondo, tratterà l’incredulo come un avversario e cercherà alleati anche sospetti pur di tenergli fronte, aumentando le divisioni, con quello spirito di parte, che nega impudicamente il suo carattere di mediatore e di pacificatore>>.

Alla pagina 236 – Classe terza – I coscritti

Maestro: – Mi pare che le vostre proposte siano interessanti. Ma, cosa direte a quegli illustri personaggi?

Tiberio: – Di comunicare agli altri popoli di fare anche loro la legge dell’articolo 11 come noi, così nessuno rovina più niente, se ci ascoltano. Con questa legge si scopre chi vuole la pace e chi vuole la guerra.

Testi delle lettere a U Thant e al papa, redatte da un gruppo di ragazzi e messe a punto collettivamente.

<<Vho di Piàdena (Cremona), 20 maggio 1967.

Signor U Thant, abbiamo imparato oggi a scuola che la nostra patria, l’Italia, “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”. Abbiamo discusso e alla fine ci è venuta un’idea: potrebbe Lei, signor U Thant, proporre a tutti i rappresentanti delle Nazioni Unite di scrivere nella loro legge nazionale l’articolo 11 della Costituzione Italiana? Così nessuno attaccherà più e la guerra morirà. La guerra la vedremo morta e la pace sarà viva.

Grazie, cordiali saluti e auguri per il suo popolo di salvare la pace nel mondo.

                                                                                                                      Tutti

PS. Uniamo le pagine del nostro giornalino con la conversazione>>.

<<Vho di Piàdena (Cremona), 22 maggio 1967.

Caro Padre dei cristiani, noi abbiamo scoperto che l’Italia ha una legge che proibisce di aggredire gli altri popoli. Sappiamo che Voi amate la pace e Vi preghiamo di dire ai cristiani e a tutti quelli che comandano gli altri popoli di mettere l’articolo 11 nella loro legge se non ce l’hanno, e di rispettarlo. Se nessuno attaccherà, la guerra morirà. Vedremo la guerra morta e la pace viva.

Un caro saluto dagli alunni della classe III.

PS. Uniamo due pagine del nostro giornalino>>.

Sono trascorsi pochi giorni da quando Carolina scrisse il suo testo. Sulle strade girano ancora i carri infiorai, dai quali arrivano voci roche e stonate.

Dice Cosetta: – Ieri sono andata al cimitero e mi sono fermata davanti alle piccole lapidi dell’ossario. Quelle lapidi le vedevo sempre ma non ci badavo, invece ora che abbiamo parlato di coscritti e di soldati e di guerra ho pensato e ho immaginato quei soldati. Ce n’è uno, poverino, che è morto quando mancava poco alla fine della guerra. E ora le sue ossa sono lì, in una cassettina. Non è più tornato a casa a vedere i suoi amici. E mentre lo pensavo ho fatto questa poesia.

Ai compagni: – Mi aiutate a metterla a posto?

Soldato MANFREDI PIETRO Di anni 24 Morto il 23 – 10 – 1918

<<Soldatino del cimitero

Eri un giovane bello e felice

Forse amavi la musica

E ti piaceva ballare

Con l’amorosa

Che non è diventata tua sposa

Però ti pensa ancora

Giovane bello e felice

Come allora.

La guerra ha distrutto

La tua giovane vita>>.

alla pagina 387, classe quinta – Paura della morte, trattando del prossimo – alcuni ragazzi ragionano:

<<Ma come aiutare il prossimo? Si potrebbe con l’elemosina. Qualcuno dà qualche soldo ma questo non può risolvere il caso dell’uomo povero. Oggi anche i cristiani hanno capito questo e cercano di fare qualche cosa di più. Per esempio potrebbero in Parlamento fare leggi nuove. Leggi che aiutano l’uomo, he difendono i poveri, quei poveri che Gesù Cristo ha tanto amato>> (Fiorella).

<<Io penso a questa domanda: come si può aiutare il prossimo? Se si vede un poverello per una via si dà una monetina e chi offre può pensare di star tranquillo perché è a posto con la coscienza. Ma facendo l’elemosina una persona aiuta solo un’altra persona. Si può invece meglio aiutare il prossimo facendo leggi giuste, così quel popolo che soffriva ha risolto i suoi problemi.

Anche con la violenza delle armi si potrebbe aiutare il prossimo ma è una cosa da escludere a men che un popolo sia oppresso al punto tale che deve risolvere quel problema con la violenza. Camilo Torres, il prete che ha preso in mano il fucile per fare il guerrigliero e liberare la Colombia, la sua patria comandata da leggi ingiuste, ha scelto quella via per fare del bene al suo prossimo, cioè al suo popolo, e i soldati l’hanno ucciso.

I Kennedy, due fratelli che si sono fatti uccidere per dare la libertà ai negri, e Martin Luther King, l’apostolo e il martire della non violenza, hanno fatto del bene, solo la morte li ha quasi fermati.

Io dico che ci sarà sempre un Kennedy, un Luther King finché ci saranno ingiustizie. Concludendo: uno che “non crede” può essere più vicino al cristianesimo di uno “che crede” ma non fa nulla per gli altri>> (Tiberio).

Alla pagina 148 si può leggere nel capitolo –

L’uomo <<mezzo>>

<<Lo scopo dell’educazione intellettuale non è quello di saper ripetere o conservare verità bell’e fatte, perché una verità che viene ripetuta non è che una mezza verità: ma è piuttosto quello di apprendere a conquistare da se stessi il vero, a rischio di metterci molto tempo e di passare per tutte le traverse che una attività reale richiede>> […].

<<Non è possibile formare delle personalità autonome nel campo morale se l’individuo è d’altra parte sottoposto a una costrizione intellettuale tale ch’egli debba limitarsi ad apprendere a comando senza scoprire da se stesso la verità: se è passivo intellettualmente non saprà essere libero moralmente. Ma reciprocamente, se la sua morale consiste esclusivamente in una sottomissione all’autorità degli adulti, e se i soli rapporti sociali che costituiscono la vita della classe sono quelli che legano ogni singolo allievo a un insegnante che detiene tutti i poteri, egli non potrà essere attivo neppure intellettualmente>> […].

<<L’attività dell’intelligenza suppone non solo continue stimolazioni reciproche, ma anche e soprattutto il mutuo controllo e l’esercizio dello spirito critico, che soli conducono l’individuo all’obiettività e al bisogno di dimostrazione. Le operazioni della logica sono, infatti, sempre delle cooperazioni ed implicano un insieme di rapporti di reciprocità intellettuale e di cooperazione sia morale che razionale>>.  

(Jean Piaget, Il diritto all’educazione nel mondo attuale, Comunità, Milano 1951).

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