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IL LAMENTO DELLA PACE, Erasmo da Rotterdam

IL LAMENTO DELLA PACE

Erasmo da Rotterdam

Il lamento della pace a cura di L. Firpo, Utet, Torino – 1968

Nel Lamento della pace, di cui il brano che segue riproduce l’inizio, il grande umanista olandese fa parlare direttamente la pace, con lo stesso procedimento retorico utilizzato nell’ Elogio della follia.

Nelle sue parole è l’irragionevolezza stessa della guerra e la sua innaturalità, confrontata con la spontanea simpatia che si riscontra in piante e animali, a costituire il più forte argomento a favore della PACE.

PARLA LA PACE

Se i mortali mi osteggiassero, scacciassero e respingessero, benché innocente, ma almeno con loro vantaggio, dovrei deplorare soltanto l’ingiustizia fatta a me e la loro iniquità, ma poiché nello sbandirmi cacciano lontano da sé la fonte di tutte le umane felicità e si attirano un oceano di sciagure d’ogni sorta, mi tocca compiangere piuttosto la sventura loro che l’oltraggio recato a me: mentre avrei preferito sdegnarmi soltanto, mi vedo costretta a dolermi della loro sorte e ad averne pietà. In effetti, è pur sempre disumano respingere chi ci ama, è da ingrato osteggiare chi ci ha fatto del bene, è da empio tormentare la madre e la salvatrice comune.

D’ altronde, non sembra forse negli uomini una sorta di pazzia furiosa questo privarsi con le loro stesse mani di tutti i benefici insigni che porto con me e procacciarsi in cambio una così cupa sentina d’ogni male?

Sdegnarsi contro gli scellerati è giusto, ma che altro si può fare, se non compiangere questi invasati dalle Furie? Non v’è infatti, per commiserarli, ragione più forte del fatto che essi non hanno pietà di sé medesimi e la loro infelicità suprema sta nella loro incapacità di rendersi conto dell’infelicità che li affligge, visto che è già un primo passo verso la guarigione aver contezza della gravità del proprio male.

In effetti, se io sono quella Pace vantata in coro dagli dèi e dagli uomini, fonte, genitrice, nutrice, propagatrice e conservatrice d’ogni cosa buona posseduta dal Cielo e dalla terra: se nulla mai senza di me fiorisce, nulla v’è di sicuro, nulla di puro o santo, nulla di piacevole per gli uomini o di grato agli déi: se, in contrasto con tutto ciò, la guerra è una specie d’oceano in cui si mescolano tutti i mali del mondo: se col suo flagello d’un subito fa imputridire ciò che fiorisce, dissipa ciò ch’era cresciuto, rovina ogni cosa salda, annienta ogni buon fondamento, tramuta il dolce in amaro: se, infine, è cosa tanto profana da riuscire come una peste subitanea per ogni forma di pietà e di religione, se, per questo solo, nulla è più funesto agli uomini né più odioso agli dèi, in nome di Dio immortale, io mi domando chi crederà mai che siano davvero esseri umani e che abbiano conservato un briciolo di discernimento coloro che si adoprano con tanta spesa, impegno, ingegnosità, artifici, cure e pericoli a cacciar via me, che son quella che sono, per acquistare a così caro prezzo tante sventure.

Se fossero le fiere a disprezzarmi in questo mondo, lo sopporterei con maggior rassegnazione e dell’ingiustizia arrecatami incolperei la natura, che ha inflitto ad esse un istinto feroce: se fossi invisa agli ottusi armenti, indulgerei all’ ignoranza, sapendo che fu negato loro quell’ acume, senza il quale non è possibile rendersi conto dei miei pregi. Ma è vergognoso e inaudito il fatto che, pur avendo la natura generato un solo animale dotato di ragione e capace di intelletto divino, uno solo destinato al reciproco amore e alla concordia, mi sia più facile trovare asilo tra le più belluine delle belve, fra gli animali più bruti, piuttosto che in mezzo agli uomini.

Le sfere celesti, benché non abbiano affatto eguali movimenti, né eguali influssi, pure da tanti secoli riconoscono e rispettano un accordo reciproco. Le forze contrapposte degli elementi serbano fra loro un equilibrio costante, una pace perpetua e, in così acceso contrasto, promuovono la concordia attraverso gli scambi e le mutue relazioni. Negli esseri animati, com’ è costante armonia fra le singole membra, com’ è organizzata la reciproca difesa! Cosa c’è di più dissimile del corpo e dell’anima? Eppure proprio la loro separazione rivela quanto sia stretto il legame con il quale la natura li ha congiunti: come la vita altro non è che l’unione del corpo con l’anima, così la salute non è che l’armonia di tutte le funzioni dell’organismo. Gli esseri irragionevoli serbano, ciascuno entro propria specie, il buon ordine e la concordia. Gli elefanti vivono in branchi, a mandrie pascolano porci e pecore, a stormi volano le gru e le cornacchie, le cicogne, che danno anche esempio di amor filiale, hanno i loro raduni, i delfini si proteggono a vicenda ed è nota la bene organizzata solidarietà delle formiche e delle api. Ma perché insisto a parlare di animali, che sono sprovvisti di ragione, ma sono però dotati di sensi?

Segni di simpatia si possono scoprire tra le piante e tra le erbe. Certune, se non le unisci al maschio, sono sterili; la vite abbraccia l’olmo; il pesco ama la vite. A tal punto gli esseri privi di senno sembrano, ciò non ostante, sentire quanto la pace sia benefica! Tuttavia questi esseri, anche se non hanno capacità sensoria, per il fatto che sono vivi hanno una certa affinità con gli animali. Ma cosa c’è di più inerte dei minerali? Eppure diresti che anch’essi abbiano disposizione alla pace e alla concordia. Così la calamita attira a sé il ferro e lo trattiene.

E non v’è forse un accordo anche tra le belve più crudeli? La ferocia dei leoni non li spinge a lottare fra loro, il cinghiale non vibra la fulminea zanna contro un altro cinghiale, la lince vive in pace con la lince, il serpente non infierisce sul serpente, la concordia dei lupi è stata addirittura esaltata dai proverbi. Aggiungo – cosa anche più stupefacente – che persino gli spiriti maligni, che per primi spezzarono l’accordo fra Dio e l’uomo e che tuttora lo insidiano sottostanno a certi loro patti e rispettano tutti d’accordo una qualche sorta di tirannico regime. SOLTANTO GLI UOMINI, ai quali più che ad ogni altro essere si addiceva l’unanime concordia e che più di tutti ne hanno bisogno, non accettano di essere conciliati dalla natura, che pure è in altre cose tanto potente ed efficace: l’educazione non li unisce, i tanti benefici che nascerebbero dalla concordia non li inducono a stringersi insieme, la vista e l’esperienza di tanti mali non li conduce infine all’amore scambievole.

Tutti hanno lo stesso aspetto e una medesima voce, e mentre le altre specie animali si differenziano fra loro soprattutto per la struttura corporea, all’ uomo soltanto è stata infusa la forza della ragione, che accomuna tutti gli uomini, mentre nessuno dagli altri animali ne ha parte. A questo solo dei viventi è stata concessa la parola, che ha funzione primaria nel promuovere le relazioni amichevoli; in tutti gli uomini sono innati i germi delle conoscenze e delle virtù, un’indole mite, pacifica e incline alla benevolenza, cosicché per natura piace a tutti l’essere amato ed è gradevole far del bene al prossimo anche senza compenso, a meno che non si tratti di qualcuno che sia degenerato, da uomo che era, in belva, corrotto da turpi bramosie come dalla pozione di Circe. Ecco perché la gente dà il nome di “umano” a tutto ciò che ha riguardo alla mutua benevolenza, di guisa che la parola “umanità” indica non già la natura dell’uomo, ma i costumi che a quella natura si addicono. In più, all’ uomo sono state date le lacrime, che possa trovare facilmente la riconciliazione, se per caso sorgesse l’inciampo di qualche offesa o una piccola nuvola oscurasse la serenità dell’amicizia.

Ecco con quanti argomenti la natura ci persuade alla concordia! E tuttavia, non paga di questi allettamenti della reciproca benevolenza, ha voluto che l’amicizia fosse per l’uomo non solo gradevole, ma addirittura necessaria. A tal punto essa ha distribuito le doti sia del corpo che dell’animo, da far sì che nessuno sia di tutte tanto ben fornito da non aver mai bisogno dell’aiuto anche dei più umili; e non ha assegnato le stesse doti ad ognuno, né in eguale misura, in modo che questa diseguaglianza venisse compensata attraverso mutui amichevoli servigi.

Diverse regioni offrono prodotti differenti, in modo che sia bisogno stesso a suggerire i reciproci scambi. Agli altri animali furono date armi e protezioni peculiari con cui difendersi, mentre l’uomo soltanto è stato creato inerme e debole, in modo che per stare al sicuro non possa fare a meno dell’accordo e dell’assistenza scambievole.

La società civile è nata dal bisogno e fu il bisogno a suggerire la consociazione dei vari gruppi per respingere con le forze congiunte gli assalti delle belve e dei predoni. Tali sono le condizioni della vita umana, che non v’è cosa in cui l’uomo basti a sé stesso.

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Il genere umano sarebbe subito perito sin dagli albori della sua esistenza, se dopo la creazione l’unione coniugale non lo avesse propagato: non nascerebbe infatti uomo alcuno, o morirebbe appena nato e perderebbe la vita alle soglie della vita stessa, se la mano amica della levatrice, la dedizione affettuosa della nutrice non venissero in soccorso del neonato. In questa vicenda la natura ha inserito così vivide scintille di affetto, che i genitori già amano colui che non hanno ancora veduto; vi aggiunse la devozione scambievole dei figli verso i genitori, in modo che quelli a loro volta siano di sostegno all’ indebolirsi di questi, così che si attui quella situazione per ogni aspetto lodevole, che i Greci con termine azzeccato chiamavano ————. Si aggiungono i vincoli di parentela e di affinità, si aggiunge in taluni una somiglianza d’indole, di gusti, di aspetto, che concilia con grande efficacia la simpatia, e in molti non so qual misteriosa disposizione dell’animo e un mirabile incentivo al reciproco amore, che gli antichi, non senza stupore, attribuivano a un dio o ad un genio.

Tanto numerosi sono gli argomenti con i quali la natura ci induce alla pace e alla concordia, con tanti allettamenti ci invita, con tante funi ci trascina, con tanti mezzi ci sforza! E a questo punto, quale è mai questa Erinni così efficiente nell’ operare il male, che, dopo aver spezzato, sconnesso, rovesciato tutti questi argomenti, ha insinuato nei cuori umani un insaziabile furore?

Se l’assuefazione non ci privasse dapprima della capacità di stupirci e poi della stessa coscienza del male, chi crederebbe dotati di mente umana costoro, che litigano, si azzuffano, mettono ogni cosa in sconquasso con dissidi, contese e guerre perpetue fra loro? In breve, con rapine, sangue, stragi e rovine fanno d’ogni erba fascio, e non v’è patto, per sacro che sia, che valga a separarli, quando si accapigliano come forsennati con reciproco sterminio. Anche se non fosse sopravvenuto dell’altro, avrebbe dovuto bastare la comune denominazione d’uomo per promuovere l’intesa fra gli uomini. Ma ammettiamo pure che la natura, tanto potente persino tra le fiere, non abbia avuto efficacia alcuna tra gli uomini: forse che tra i cristiani Cristo non è valso a nulla? Ammettiamo pure che sia poco persuasivo l’insegnamento della natura, che pure tanto può perfino nelle cose inanimate: ma perché mai la dottrina di Cristo, ch’ è tanto più autorevole, non riesce a render persuasi coloro che la professano del punto, che sopra ogni altro propugna, cioè la pace e la mutua benevolenza? O perché almeno non li dissuade da quella follia bellicosa tanto empia e crudele?

<<Dal libro – Storia della filosofia, a cura di Umberto Eco e Riccardo Fedriga – TESTI 11 Quattrocento e Cinquecento>>.

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