Agar in deserto
spiritualità

Dalla data della prima ingiustizia subìta

La data della prima ingiustizia subìta

Esiste un primo giorno, spartiacque, una data ben precisa nella storia di ciascuno: la data in cui hai subìto la prima ingiustizia, il male che colpisce il bene; resterà scolpita, come avanti Cristo e dopo Cristo.

Da questa data inizia una lotta interna (con te stesso) ed esterna con tuoi nemici, ma c’è una terza, una lotta invisibile, una lotta tra il bene e il male, tra le tenebre e la luce, tra la verità e la menzogna, un vortice continuo collegato al tuo destino. Avrai un po’ di tregua per riprenderti, poi sarai sempre ad intervalli in mezzo a tante battaglie.

Non vanno denunciate, scoperte tutte le ingiustizie, a volte passano anni, decenni, a volte restano sepolte per sempre, poiché a volte per sola carità – perdonando, si risparmiano altre tragedie. Davanti a Dio c’è solo il presente, le ingiustizie TUTTE sono davanti a Lui, poiché ogni male fatto ai suoi piccoli, è fatto a Lui, come ogni bene. Il mondo ha “sfrattato Dio” dalla storia dei popoli, dei singoli cerca ma, c’è il libero arbitrio di ciascuno …

Appena inizierai a stare dalla parte della giustizia, legalità e verità, sarai urtato come un veicolo che guida in contromano. Non ci sono vie di mezzo, stati di neutralità tra la verità e la menzogna, non esistono mezze verità e mezze bugie, come non puoi avere una madre a metà. Sei oppure non sei il figlio di tua madre, tutto qui, lavori per il male oppure per il bene? Non c’è part-time da parte a parte.

Lotterai con te stesso per non cascarci nelle trappole del demonio, maestro della zizzania, del raggiro e della menzogna di ogni tipo. Ai cristiani non bisogna ricordare l’esistenza del demonio è superfluo.

Lotterai per non rispondere con la stessa moneta, al falso col falso, alla menzogna con menzogna e sarai tanto burlato che ti sentirai “caduto dalle nuvole” in una società da altri tempi. Non lascerai che la menzogna sia pronunciata dalla tua bocca – perché come il veleno entra nel sangue – sarai in pericolo di vita, l’antidoto è la verità.

Lotterai contro te stesso per non lasciar alloggiare nel tuo cuore, l’odio e la vendetta contro chi ti ha fatto del male, perché la tua causa è nelle mani del giusto giudice.

Non vanno in Tribunale volentieri i cristiani, non dopo averci provato tutte le variante di trattativa tra esseri umani, tra gente che usa il linguaggio, cioè, LA PAROLA DATA. Per certi casi, lasciano pure perdere, ma alcune gridano al cielo l’ingiustizia, come la mancata paga ai lavoratori e tutta la serie di raggiri collegati al campo del lavoro, non si scherza più.

Si lotta per non odiare, per non maledire chi paga il male per il bene ricevuto – poiché anche queste parole amare, Dio conosce che vengono dal cuore sanguinato.

Non oso pensare con che forza possono rialzarsi coloro calpestati che non credono in NULLA. Il cristiano prega, lascia la sua causa nelle mani di Dio, non tocca il fondo. Gli altri, coloro che non hanno una porta dove bussare, non hanno famiglia, non salute, non soldi – come potranno mai alzarsi senza aiuto di nessuno?

Se il cristiano lotta con se stesso, per poter perdonare, perdonare e dimenticare – per questioni di lavoro, non basta, deve riprendere il male con le sue mani, la burocrazia e lottare perché il male cessi per tutti. Come un tumore nelle ossa sono le ingiustizie sociali nel corpo dei lavoratori calpestati.

Esiste un primo giorno e sicuramente ci sarà anche l’ultimo, è l’ultimo giorno della nostra vita.

          Mi sono sempre domandata, avendo già l’intuito che qualcuno lassù c’era, avevo ricevuto tante conferme, ma pensavo – veramente non c’è nulla di scritto al riguardo, una testimonianza più accreditata del semplice credente? Ho cercato e ho sempre trovato risposte a questo problema, giustamente – la nostra coscienza, il nostro libero arbitrio, la divina provvidenza …  ho scelto tre testi – che trattano il cambiamento della mentalità dopo la venuta di Cristo, dopo la venuta di Cristo nel nostro cuore, nella storia dell’umanità. Il senso delle parole divine CAMBIA IL CUORE. Onestamente, giudicate da soli, decantate e scegliete: <<Tu da che parte stai?>>.

Dai  lavori  del  cardinale  Anastasio  Ballestrero,

Vivi  nel  Dio  Vivo Meditazioni

  • C’è  il  rischio  di  farci  un’idea  di  Chiesa  nella  quale  Gesù  non  c’è  più, perché  la  Chiesa  siamo   solo noi, sono  le  nostre  iniziative, i  nostri  programmi, le nostre  conquiste  e  le  nostre  battaglie, le  cose  che  facciamo  e  le  realtà  che  portiamo  avanti.

        <<Il  regno  di  Dio  è  già  in  mezzo  a  voi>> (Lc 17,21): ha  detto  Gesù. Il  regno  di  Dio, di  cui  la  Chiesa  è  annuncio  e  sacramento, lo  portiamo  dentro, nel  cuore, dove  vive  lo  Spirito, dove  Cristo  parla  al  Padre, dove  il  Padre  a  sua  volta  si  compiace <<e  trova  le  sue  delizie  nell’essere  con  i  figli  dell’uomo>> (cfr. Pro 8,31).

Questa  è  la  Chiesa. . . .

  • i  carismi  delle  fondazioni  sono  doni  nuziali  di  Cristo  alla  sua  Chiesa, perché  la Chiesa  sia  feconda, porti  frutti, anticipi  in  pienezza  sempre  maggiore  la  santità  del Regno.
  • È  vero  piuttosto  che, nelle  condizioni  umane  prevalenti  di  un  determinato tempo, il  Signore  ha  fatto  un  dono  alla  sua  Chiesa, aiutandola  ad  essere presente  nelle  situazioni  concrete  della  società  umana.

Nell’esercizio  dei  carismi  ecclesiali, ci  troviamo  di  fronte  a  delle  caratterizzazioni  storico-culturali  che  tendono  ad  emarginare  l’azione  dello  Spirito  e  a  premiare  l’azione  dell’uomo. Lo  prova  la  diffusa  persuasione  che  per  esercitare  il  nostro  carisma  basti  perdere  metà  della  vita  a  studiare, come  se  il  carisma  fosse  frutto  del  nostro  studio, della  nostra  cultura, del  nostro  saper  fare.

  • Abituati  a  guardare  alla  Chiesa  come  a  un’istituzione  umana, abituati  a  considerarla  secondo  i  dati  delle  statistiche, rischiamo  di  lasciar  diminuire  la  nostra  fede  nell’incarnazione.  La  Chiesa  è  più  istituzione  che  mistero  per  troppi  uomini, per  tanti  cristiani  e –  lo  dico  perché  è  vero – per  tanti  preti  e  tante  anime  consacrate. Così  il  discorso  sulla  Chiesa  viene  impoverito  dai  diagrammi  delle  nostre  statistiche  o  illustrato  trionfalisticamente  con  le  nostre  opere, mediante  le  quali  ci  sforziamo  di  gareggiare  con  Dio!

          Quando  professiamo  la  nostra  fede  non  diciamo: <<Credo  nella  Chiesa>>, ma  diciamo <<Credo  la  Chiesa>>, cioè  credo  il  suo  mistero, per  il  quale  la  Chiesa  si  sottrae  a  tutte  le  valutazioni  umane: è  impresa  divina, rivelata  agli  uomini  attraverso  Cristo, è  realtà  superna, trascendente.

  • Fare  l’esperienza  della  differenza  che  c’è  tra  il  dono  di  Dio  e  le  nostre  competenze  o  la  nostra  preparazione  è  una  delle  grazie  più  grandi  che  il  Signore  ci  possa  fare. La  mobilità  d’ufficio  delle  religiose  e  dei  religiosi  una  volta  non  si  discuteva: per  un  po’  si  faceva  il  cuoco, poi  si  insegnava  all’università; bastava  che  la  Chiesa  lo  dicesse. Oggigiorno  siamo  diventati  immobili, inamovibili, necessari: ma  allora  non  sono  mandato, sono  uno  che  fa  quel  che  vuole, sono  io  che  programmo, che  elaboro, che  progetto.

          La  natura  carismatica  delle  nostre  vocazioni  apostoliche  credo  che  vada  ribadita, perché  venga  distrutta  ogni  tentazione  di  autocompiacimento. Se  penso  alla  mia  vita, alle  cose  che  il  Signore  mi  ha  mandato  a  fare, ai  compiti  che  il  Signore  ha  voluto  affidarmi, non  posso  dirmi: Che  bravo! Un  bravo  c’è, ma  è  il  Signore; io, invece, ho  sciupato  il  dono  di  Dio  perché  lui  mi  ha  garantito  di  mettermi  sulle  labbra  le  parole  degli  uomini; lui  mi  ha  mandato  a  risuscitare  i  morti  e  io  non  ho  preso  sul  serio  quel  vangelo.

 . . . non  mi  meraviglia  la  sordità  del  Signore  alla  nostra  richiesta  di  vocazioni, perché  non  gliele  chiediamo  secondo  il  carisma  della  Chiesa, ma  secondo  le  ubbie  che  abbiamo  nella  testa  e  i  trionfalismi  che  coltiviamo  sia  personalmente  sia  comunitariamente. È  un  discorso  che  potrebbe  continuare  e  diventare  anche  più  esplosivo…

  • ”Noi  scriviamo  libri  di  storia  dove  Dio  non  è  mai  nominato, mentre  non  leggiamo  la  Scrittura, dove  non  c’è  una  sola  pagina  in  cui  Dio  non  manifesti  la  sua  presenza  e  il  suo  intervento”.

          Nella  nostra  vita  personale, nella  nostra  psicologia, nella  nostra  sensibilità  di  creature  che  si  dicono  credenti, come  è  percepita  questa  presenza  del  Creatore? Non  è  un  interrogativo  banale  e  peregrino, anzi  è  fondamentale, perché  se  non  riesco  a  realizzarmi  come  creatura  di  Dio  e  non  riesco  a  vedere  nella  mia  storia  un  progetto  che  non  è  mio  ma  di  colui  che  mi  ha  creato  per  la   comunione  con  lui, che  credente  sono?

          Che  posto  ha  nella  nostra  vita  questa  consapevolezza? Che  rilevanza  ha, che  influenza  esercita, che luce  e  che  grazia  porta  dentro  di  noi? Siamo  troppo  distratti  e  consumiamo  l’orrendo  sacrilegio  di  dimenticare  che  Dio  è  creatore. Quando  l’uomo  dimentica  questo, perde  il  senso  della  vita. L’angoscia  che  oggigiorno  caratterizza  tanta  cultura  è  il  frutto  di  questa  dimenticanza  e  di  questa  trascuratezza.”

S. Caterina da Siena

 <<Dialogo  della  divina  Provvidenza>>

(25 marzo 1347 – † 29 aprile 1380).

Nel 1939 è stata proclamata Santa, con S. Francesco d’Assisi, Patrona d’Italia; nel 1970 il suo nome è stato inserito nell’albo dei Dottori della Chiesa Universale; il 18 ottobre 1999 Giovanni Paolo II la proclama compatrona d’Europa con Brigida di Svezia e Teresa Benedetta della Croce.

CAPITOLO 23

Come noi tutti siamo dei lavoratori, messi da Dio a lavorare nella vigna della santa Chiesa. Ciascuno ha la propria vigna in sé stesso; noi, che siamo tralci, dobbiamo essere uniti alla vera vite, che è il Figlio di Dio.

A questo punto la Verità eterna mostrava che ci aveva creato senza di noi, ma non ci salverà senza di noi. Essa vuole che noi, adoperiamo la nostra libera volontà, usando del tempo nell’esercizio delle vere virtù. Perciò andava dicendo via via:

A voi tutti conviene prendere per questo ponte, cercando la gloria e la lode del mio nome nella salvezza delle anime, sostenendo con pena molte fatiche, seguendo le vestigia di questo dolce ed amoroso Verbo; in altro modo non potrete venire a me.

Voi siete i miei lavoratori, che io ho messo a lavorare nella vigna della santa Chiesa. Voi lavorate nel corpo universale della religione cristiana, essendo messi da me a questo lavoro per grazia, poiché io vi ho dato il lume del santo battesimo, che voi riceveste nel corpo mistico della santa Chiesa per mano dei miei ministri, posti da me a lavorare con voi.

Voi siete nel corpo universale1 ed essi sono nel corpo mistico per pascere le anime vostre, somministrandovi nei Sacramenti il Sangue che ricevete dalla Chiesa, mentre essi traggono via le spine dei peccati mortali, e vi piantano la grazia. Essi sono i miei lavoratori nella vigna delle anime vostre, miei legati nella vigna della santa Chiesa.

Ogni creatura che è dotata di ragione, ha la vigna in se stessa, cioè la vigna dell’anima sua, della quale il lavoratore è la volontà, mediante il libero arbitrio, durante il tempo di questa vita. Passato questo tempo, non può più fare lavoro alcuno, né buono né cattivo; invece, finché vive, può lavorare la sua vigna, nella quale io l’ho messa. Ed ha ricevuto tanta fortezza questo lavoratore dell’anima, che né demonio né altra creatura gliela può togliere, se egli non vuole; poiché, ricevendo il santo Battesimo, si fortificò, e gli fu dato il coltello dell’amore alla virtù, e dell’odio al peccato. Questo amore e quest’odio li trova nel Sangue di Cristo, perché per amore di voi e odio del peccato l’Unigenito mio Figlio morì, Dandovi il Sangue; per questo Sangue aveste vita nel santo Battesimo.

E così avete il coltello, che dovete usare col libero arbitrio, finché ne avete il tempo, per svellere le spine dei peccati mortali e piantare le virtù. In nessun’altra maniera voi ricevereste il frutto del Sangue da essi lavoratori, che io ho messi nella santa Chiesa, i quali già ti dissi che tolgono il peccato mortale dalla vigna dell’anima, e vi danno la grazia, somministrandovi il Sangue nei Sacramenti, che sono disposti nella santa Chiesa.

Conviene dunque che prima vi leviate su con la contrizione del cuore, col dolore del peccato e coll’amore della virtù; allora riceverete il frutto del Sangue. Altrimenti non potreste riceverlo, se voi da parte vostra non siete disposti quali tralci uniti alla vite dell’Unigenito mio Figliuolo, il quale disse: <<Io sono la vite vera, il Padre mio è il lavoratore e voi siete i tralci>>( Cfr. Gv 14,6.

La verità è questa: io sono il lavoratore; ogni cosa, che ha l’essere, è uscita ed esce da me. La mia potenza è inestimabile, e con la mia potenza e virtù governo tutto il mondo; nessuna cosa è fatta o governata senza di me. Cosicché io sono il lavoratore, che piantai la vera vite, l’unigenito mio Figliuolo, nella terra della vostra umanità, acciocché voi, tralci uniti con la vite, faceste frutto.

Perciò chi non farà frutto di sante e buone opere, sarà tagliato da questa vite e si seccherà. Infatti, se è separato dalla vite, perde la vita della grazia, ed è messo nel fuoco eterno, come il tralcio che non fa frutto viene tagliato subito dalla vite, e gettato nel fuoco, non essendo buono ad altro.

Lo stesso succede a questi tali; tagliati da me per le loro offese, e morendo nella colpa del peccato mortale, la mia divina giustizia li mette nel fuoco che dura eternamente, poiché non sono buoni ad altro. Essi non hanno lavorato la loro vigna; hanno disfatta la loro e l’altrui. Non solo non vi hanno messo alcuna buona pianta di virtù, ma ne hanno pure tolto il seme della grazia, che avevano ricevuto alla luce del santo Battesimo, partecipando del Sangue del mio Figliuolo, che fu come un vino a voi porto da questa vera vite. Essi hanno tratto via questo seme, e l’hanno dato a mangiare agli animali, cioè a diversi e molti peccati, e l’hanno messo sotto i piedi dell’affetto disordinato, col quale hanno offeso me, facendo danno a se stessi e al prossimo.

Ma i miei servi non fanno così, e così dovete fare anche voi: cioè essere uniti e innestati in questa vite; allora riporterete molto frutto, perché parteciperete dell’umore della vite. Stando nel Verbo mio Figliuolo, voi state in me, poiché io sono una cosa sola con lui, ed egli con me; stando in lui, seguirete la sua dottrina; seguendo la sua dottrina, partecipate della sostanza di questo Verbo, cioè partecipate della Deità eterna, unita all’umanità, traendone voi un amore divino, in cui l’anima s’inebria. Per questo ti dissi che partecipate della sostanza della vite.

1 Si è già trovato che Caterina intende per corpo universale la società dei fedeli, mentre riserva la parola corpo mistico a indicare la sacra gerarchia.

CAPITOLO  24

In quale modo Dio pota i tralci uniti con la suddetta vite, cioè, i suoi servi, e come la vigna di ciascuno è tanto unita con quella del prossimo, che nessuno può lavorare o guastare la sua, senza lavorare o guastare quella del prossimo.

Sai che modo io tengo, appena i miei servi si uniscono nel seguire la dottrina del dolce ed amoroso Verbo? Io li poto, affinché facciano molto frutto, ed il loro frutto sia provato e non inselvatichisca. Lo stesso si fa del tralcio, che sta nella vite; il lavoratore lo pota, perché faccia maggior vino e in maggior coppia; ma taglia e mette al fuoco quello che non fa frutto. Così fo io, vero lavoratore: poto con molte tribolazioni i miei servi che stanno uniti a me, affinché facciano frutto più copioso e migliore, e sia provata la loro virtù; quelli invece che non fanno frutto, sono tagliati e messi nel fuoco (Cfr. Gv 15, 2, 6), come ti ho detto.

          Quei tali sono dei veri operai che lavorano la loro anima, traendone fuori tutto l’amor proprio, rivoltando la terra del loro affetto per me. Così nutrono e accrescono il seme della grazia, avuto nel santo Battesimo. Lavorando la loro, lavorano anche l’anima del prossimo, non potendo lavorare l’una senza l’altra; poiché più volte ti ho detto che tanto il male come il bene si fanno col mezzo del prossimo. Voi dunque siete i miei lavoratori, usciti da me, sommo ed eterno lavoratore, che vi ho uniti e innestati nella vite, per l’unione che io ho fatta con voi nell’Incarnazione.

          Tieni a mente che tutte le creature che hanno in sé ragione, hanno una vigna propria, la quale è unita senza tramezzo alcuno con quella del loro prossimo. Ed è sì grande questa unione, che nessuno può fare bene o male a sé, che non lo faccia pure al prossimo. Voi, tutti quanti, fate come una grande vigna, formata di tutti i popoli cristiani, poiché siete uniti nella vigna del corpo mistico della santa Chiesa, da cui traete la vita. In questa vigna è piantata la vite del mio Unigenito Figliuolo, in cui dovete essere innestati. Se non siete innestati in lui, divenite subito ribelli alla santa Chiesa, e siete come membri tagliati dal corpo, che subito imputridiscono.

          È vero però che finché avete il tempo di questa vita, potete levarvi la puzza del peccato col vero dolore e col ricorre ai miei ministri; essi sono lavoratori che tengono le chiavi del vino, cioè del Sangue uscito da questa vite. Questo Sangue è così fatto, ed è di tanta perfezione, che non può essere privato del suo frutto, per nessun difetto del ministro.

          Il legame della carità è quello che unisce i miei ministri, insieme a vera umiltà, acquistata nel vero conoscimento di se stessi e di me. Sicché vedi come io vi ho messi tutti a lavorare. Ed ora di nuovo v’invito, perché il mondo viene già meno, e le spine si sono tanto moltiplicate, che hanno affogato il seme, e non lasciano fare più nessun frutto di grazia.

          Voglio dunque che siate veri lavoratori, e che con molta sollecitudine aiutiate a lavorare le anime, nel corpo mistico della santa Chiesa. A questo vi eleggo, perché io voglio fare misericordia al mondo, per il quale tu tanto mi preghi.

CAPITOLO 45

In questa vita gustano i giusti la caparra della vita eterna, gustando quel medesimo bene, dal quale ti ho detto che sono saziati. Come hanno questa caparra in vita? Nel riscontrare la mia bontà, in se stessi, e nel conoscere la mia verità.

 L’intelletto, che è l’occhio dell’anima, ha una tale cognizione quando è illuminato da me. Quest’occhio ha la pupilla della santissima fede, illuminata da una luce, che fa discernere, conoscere e seguire la via e la dottrina della mia Verità, il Verbo incarnato. Senza questa pupilla della fede non vedrebbe che alla maniera di un uomo, che pur avendo l’organo dell’occhio, avesse la pupilla ricoperta di un panno. Pupilla dell’occhio dell’intelletto è la fede; se le viene posto dinanzi il panno della infedeltà, cavato dall’amor proprio, non vede; ha l’organo dell’occhio, ma non il lume, perché esso se l’è tolto.

          Comprendi adunque come essi, nel vedere, conoscono; conoscendo, amano; e amando, annegano e perdono la loro volontà. Perduta questa, si vestono della mia, che non vuole altro che la vostra santificazione.

Capitolo  85

<<I  testimoni>>

“ Con  questo  lume, che  è  posto  nell’occhio  dell’intelletto, mi  vide  Tommaso, e  ne  acquistò  luce  di  grande  scienza, Agostino, Gerolamo  e  gli  altri  miei  santi  dottori, illuminati  dalla  mia  Verità, riuscivano  a  intendere  e  a  conoscere  nelle  tenebre  la  mia  verità: infatti  la  Santa  Scrittura  pareva  oscura  perché  non  era  capita ma  non  per  difetto  della  Scrittura, bensì  del  soggetto  che  intende  solo imperfettamente – onde  Io  mandai  queste  lucerne  ad  illuminare  le  menti  accecate  e  più  grossolane; perciò  essi  levavano  l’occhio  dell’intelletto  per  scrutare  la  verità  nelle  tenebre, come  ho  detto; ed  Io, che  sono  fuoco, accettandone  il  sacrificio, li  traevo  a  me  dando  loro  il  lume, non  naturale  ma  soprannaturale, illuminati  dal  quale  essi, pur  vivendo  in  mezzo  alle  tenebre  del  mondo, conoscevano  la  verità.

Il  lume  soprannaturale   che  si  rispecchia  nel  vecchio  e  nel  nuovo  Testamento – nel  vecchio: voglio  dire  nelle  profezie  dei  santi  profeti – fu  visto  e  conosciuto  dall’occhio  dell’intelletto  grazie  al  lume  infuso  per  grazia  da  me  sopra  il  lume  della  ragione, come  già  ti  ho  detto. E  come  credi  che  sia  comunicata  la  nuova  legge  della  vita  evangelica  ai  fedeli di  Cristo  nel  nuovo  Testamento? Sempre  grazie  allo  stesso  lume  soprannaturale. E  proprio  perché  la  nuova  legge  procedeva  dalla  stessa  fonte  di  luce, essa  non  spezzò  la  legge  antica  ma  le  si  unì, integrandola; in  questo  modo  le  tolse  l’imperfezione  dovuta  al  fatto  che  quella  si  basava  soltanto  sul  timore  di  Dio.

Il  Verbo  del  Figlio  mio  unigenito, venuto  con  la  sua  legge  d’amore, portò  a  compimento  e  a  perfezione  la  legge  antica  proprio  donandole  l’amore, togliendo  il  timore  concepito  soltanto  come  paura  della  pena  e  conservandolo  come  santo  timor  di  Dio. Perciò  la  mia  Verità, per  insegnare  ai  discepoli  che  non  era  venuta  per  distruggere  la  legge, disse: “Io  non  sono  venuto  a  distruggere  la  legge, ma  a  compierla”(Matteo 5,17). E  fu  come  se  dicesse: sino  ad  ora  la  legge  è  imperfetta, donandole  quel  che  le  manca, ossia  liberandola  dal  timore  della  pena  e  fondandola  nell’amore  e  nel  santo  timor  di  Dio.

Chi  mostrò  che  questa  è  la  verità? Il  lume  soprannaturale, il  quale  fu  donato  per  grazia  e  viene  dato  a  chi  lo  vuole  ricevere  a  perfezionamento  del  lume  naturale, come  è  detto. Ogni  luce  che  viene  dalla  santa  Scrittura  è  uscita  ed  esce  da  questo  lume  soprannaturale. Perciò  coloro  che  sono  gonfi  di  superbia  per  la  loro  scienza  s’accecano  in  questo  lume, proprio  perché  la  superbia  e  la  nube  dell’amor  proprio  offusca  questa  luce  sino  a  toglierla; perciò  costoro  intendono  solo  il  significato  letterale  della  Scrittura  e  non  riescono  veramente  a  penetrarla; così  essi  gustano  la  Scrittura  letteralmente, affaticandosi  su  molti  libri, ma  non  possono  apprezzare   il  midollo, dal  momento  che  si  sono  privati  del  lume  grazie  al  quale  la  Scrittura  è  formata  e  comunicata.

Così  avviene  che  costoro, superbi  uomini  di  scienza, si  stupiscono  e  finiscono  col  cadere  nella  mormorazione, quando  vedono   molte  persone  di  mente  non  eccelsa, ed  anzi  ignoranti  tanto  da  non  poter  leggere  la Scrittura, e  tuttavia  tanto  illuminate  nella  conoscenza  della  Verità  come  se  per  lungo  tempo  l’avessero  studiata. Invece  proprio  questo  fatto  non  deve  far  stupire, perché  questi  umili  posseggono  la  sorgente  prima  del  lume  da  cui  proviene  la  conoscenza  della  verità. Sono  i  superbi, piuttosto, ad  aver  perduto  il  lume  soprannaturale, così  che  più  non  vedono  né  riconoscono  la  mia  bontà  e  neppure  il  lume  di  grazia  infuso  nella  mente  dei  miei  servi.

Perciò  ti  dico  che, per  avere   un  consiglio  sulla  salvezza  dell’anima, è  molto  meglio  rivolgersi  ad  un  ignorante  che   sia  umile  e  dotato  di  coscienza  santa  e  retta, piuttosto  che  ad  un   superbo  letterato  immerso  nel  suo  mucchio  di  scienza; costui  infatti  potrà  dare  soltanto  quel  che  ha  in  sé  e  spesso, a  causa  della  sua  vita  di  tenebre, volgerà  in  tenebra  l’illuminata  verità  della  santa  Scrittura. Proprio  l’opposto  si  troverà  nei  miei  servi  i  quali, invece, alla  creatura  affamata  e  desiderosa  di  salvezza  potranno  donare  il  lume  che  hanno  in  sé.”

Importante

nota 74: Il  contrasto  fra  l’incolto, umile  e  illuminato, e  il  superbo  uomo  di  scienza  non   deve  far  pensare  ad  un  disprezzo   di  Caterina  per  la  scienza  in  quanto  tale; poco  prima  infatti  sono  state  esplicitamente  lodate  le  opere  dei  santi  dottori  anche  al  fine  della  interpretazione  della  Scrittura. Il  significato  del  contrasto  non  sta  nemmeno  tanto  nella  contrapposizione  fra  superbia  e  umiltà, poiché  la  superbia  è  piuttosto  conseguenza  che  causa, in  questo  caso. La  ragione  del   diverso  comportamento  sottolineato  tanto  decisamente  da  Caterina  risiede  in  ciò: che  gli  uni  si  tolgono  da  sé, in  quanto  lo  respingono, lo  strumento  luminoso  della  fede, che  potenzia  anziché  diminuire  l’intelletto  naturale. Per  questo  credono  di  poter  spiegare  col  solo  lume  naturale  la  verità  rivelata; ma  il  loro  occhio, reso  offuscato  dall’amor  proprio, finisce  col  restare  alla  superficie  della  verità  rivelata; legge  “alla  lettera” e  non  “secondo  lo  spirito”. L’uomo  colto  e  di  grande  sapere  tanto  più  invece  potenzierà  le  sue  doti  e  i  suoi  strumenti  di  naturale  raziocinio  se  non  rifiuterà  di  vedere  con  l’aiuto  della  luce  della  fede. Alla  luce  della  fede  molte  cose  che  pur  si  sanno, si  capiscono  più  profondamente”.

 nota  75: ”La  volontà  che  si  affida  a  quella  di  Dio  si  nega  come  volontà  sensibile, radice  di  ogni  voluntas  sui, e  si  potenzia  come  capacità  di  volere  quel  che  l’intelletto  non  accecato  dalla  voluntas  sui  gli  lascia  vedere.  È  in  gioco  il  problema  della  libertà: l’uomo, finché  usa  del  potere  di  scelta  fra  il  bene  e  il  male, tra  il  vero  e  falso, può  sbagliare  affidandosi  a  criteri  soggettivi. In  tal  caso  la  sua  volontà  segue  ciò  che  vede  il  suo  occhio  accecato; cammina  nelle  tenebre. Ma  quando  la  volontà  umana  si  annulla  affidandosi  a  quella  di  Dio, il  suo  libero  arbitrio  si  potenzia  in  libertà  dal  male, e  la  sua  volontà  si  fa  tutta  volontà  di  bene”.

Capitolo 107

Come Dio appaga i santi desideri dei suoi servi, e come molto gli piace chi domanda e bussa alla porta della sua verità con perseveranza.

Ora, o carissima figliola, ti ho in tutto rischiarato e illuminato l’occhio dell’intelletto sugli inganni che il demonio ti potrebbe fare; e ho soddisfatto al tuo desiderio in quello che mi domandasti; perché io non sono sprezzatore del desiderio dei servi miei; anzi do a chi domanda. Io stesso vi invito a domandare, e molto mi dispiace colui che in verità non bussa alla porta della sapienza dell’Unigenito mio Figlio, seguendo la sua dottrina. Il seguire questa dottrina è come bussare a me, Padre eterno, chiamandomi con la voce del santo desiderio, con umili e continue orazioni.

          Io sono quel Padre, che vi do il pane della grazia col mezzo di questa porta, che è la dolce mia Verità. Qualche volta, per provare i vostri desideri e la vostra perseveranza, fo vista di non intendervi; ma vi intendo, e vi do nel frattempo quello che bisogna, perché vi do la fame e la voce, con la quale mi chiamate; e, Io, vedendo la vostra costanza, adempio i vostri desideri, se sono bene ordinati e indirizzati a me.

          A questo chiamare v’invitò la mia Verità quando disse: <<Chiamate e vi sarà risposto; bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato>>.(Mt 7,7; Lc 11,9).

        Così io voglio che tu faccia: non rallentare mai il desiderio di chiedere il mio aiuto; non abbassare mai la voce nel chiedermi che io faccia misericordia al mondo; non restare dal bussare alla porta della mia Verità, seguendo le sue vestigia; dilettati in croce con lui, mangiando il cibo delle anime per gloria e lode del mio nome. E poi, con ansietà di cuore, muggirai sopra quel morto che è il genere umano, che tu vedi condotto a tanta miseria, che la lingua non sarebbe sufficiente a narrarlo.  con questo grido che io voglio fare misericordia al mondo. Ciò è quanto richiedo dai miei servi, e questo mi sarà di segno che in verità mi amano. Né io sarò dispregiatore dei loro desideri, come ti ho detto.

IL   CORPO   MISTICO   DELLA   SANTA   CHIESA

Capitolo   108

        “Io  ero  morta, e  tu  m’hai  risuscitata; io ero inferma, e  tu  m’hai  data  la  medicina; e  non  solo  la  medicina  del  Sangue, che  tu  desti  a  quell’infermo  che  è  il  genere  umano, per  mezzo  del  tuo  Figlio, ma  mi  hai  dato  una  medicina  contro  un’infermità  occulta, che  io  non  conoscevo. Mi  hai  insegnato  di  non  dovere  in  nessun  modo  giudicare  creatura  alcuna, che  sia  dotata  di  ragione, e  particolarmente  i  tuoi  servi, sui  quali  spesse  volte  io, come  cieca  e  inferma  di  questa  infermità, davo  giudizi, sotto  specie  e  colore  del  tuo  onore  e  della  salute  delle  anime.

          Perciò  ti  ringrazio, o  somma  ed  eterna  bontà, che  nel  manifestarmi  la  tua  verità, l’inganno  del  demonio  e  la  nostra  passione, mi  hai  fatto  conoscere  la  mia  infermità . . .

  • Padre  eterno, mi  ricordo  di  una  parola  che  dicesti  quando  mi  narravi  alcune  cose  intorno  ai  ministri  della  santa  Chiesa; mi  promettesti  che  me  ne  avresti  parlato  più  distintamente  in  altro  luogo, voglio  dire  dei  mali, che  al  dì  d’oggi  essi  commettono. Dunque, se  piace  alla  tua  bontà  di  dirmene  qualcosa, affinché  io  abbia  materia  di  accrescere  il  dolore, la  compassione  e  il  desiderio  ansioso  della  loro  salute, io  te  lo  domando; poiché, a  quanto  ricordo, tu  già  mi  dicesti  che  con  le  lacrime, con  i  dolori, sudori  e  orazioni  dei  tuoi  servi  ci  avresti  dato  refrigerio, riformando  la  Chiesa  con  santi  e  buoni  pastori.

Capitolo  109

          “Allora  Dio  eterno, volgeva  a  lei  l’occhio  della  sua  misericordia; e  non  disprezzando  il  suo  desiderio, ma  accettando  le  sue  domande, volendo  anzi  soddisfare  all’ultima  domanda  che  ella  gli  aveva  fatto  intorno  a  quella  promessa, diceva:

O  dilettissima  e  carissima  figliuola, io  adempirò  il  tuo  desiderio  in  quello  che  mi  hai  domandato, purché  per  parte  tua  non  commetta  ignoranza  o  negligenza, altrimenti  la  tua  colpa  sarebbe  più  grave  e  degna  di  maggiore  riprensione  ora  che  prima, avendo  avuto  una  maggiore  conoscenza  della  mia  Verità. Sii  dunque  sollecita  a  fare  orazioni  per  tutte  le  creature  ragionevoli, per  il  corpo  mistico  della  santa  Chiesa, e  per  quelli  che  io  ti  ho  dati, e  che  tu  ami  di  particolare  amore. E   non  commettere  negligenza  nel  fare  le  orazioni, o  nel  dare  l’esempio  della  vita  e  la  dottrina  della  parola, riprendendo  il  vizio  e  raccomandando  la  virtù, secondo  il  tuo  potere.

          Quanto  alle  colonne (si  tratta  con  ogni  probabilità, di  Fra  Tommaso  della  Fonte  e  del  B. Raimondo  da  Capua) che  ho  dato  a  te, delle  quali  tu  mi  parlasti, fa’  di  essere  tu  un  mezzo  per  dare  a  ciascuno  quello  che  gli  bisogna, secondo  la  propria  attitudine, e  come  ti  somministrerò  io, tuo  Creatore, poiché  senza  di  me  non  potresti  fare  cosa  alcuna; io  poi  appagherò  i  tuoi  desideri. Ma  non  mancare, né  tu  né  loro, di  sperare  in  me, perché  la  mia  provvidenza  non  mancherà  in  voi, cosicché  ognuno  riceva  umilmente  quello  che  è  atto  a  ricevere, e  ognuno  somministri  quello  che  io  gli  darò  da  somministrare, ciascuno  a  suo  modo, secondo  che  ha  ricevuto  o  riceverà  dalla  mia  bontà.

Capitolo  110

Della  dignità  dei  sacerdoti; del  sacramento  del  Corpo  di  Cristo; e  di  quelli  che  si  comunicano  degnamente  o  indegnamente.

          Ora  ti  rispondo  a  quanto  mi  domandasti  sopra  i  ministri  della  santa  Chiesa. E  affinché  tu  possa  conoscere  meglio  la  verità, apri  l’occhio  dell’intelletto  e  guarda  la  loro  eccellenza  ed  in  quanta  dignità  io  li  ho  posti. E  siccome  si  conosce  meglio  un  contrario  coll’altro  contrario, ti  voglio  mostrare  la  dignità  di  coloro, che  esercitano  con  virtù  il  tesoro, che  io  ho  messo  loro  tra  le  mani: da  questo  vedrai  meglio  la  miseria  di  quelli  che  oggi  si  pascono  al  petto  di  questa  Sposa.

          Allora quell’anima, per  obbedire, si  fissava  con  la  mente  nella  verità, dove  vedeva  rilucere  le  virtù  dei  veri  gustatori  della  Divinità.

          E  l’ eterno  Dio  le  diceva: – Carissima  figliuola, ti  voglio mostrare  prima  la  dignità, nella  quale  gli  ho  posti  per  mia  bontà. Questa  dignità  va  oltre  l’amore  generale  che  io  ho  avuto  per  le  mie  creature, creandovi  a  mia  immagine  e  somiglianza, e  ricreandovi  tutti  alla  grazia, nel  sangue  dell’unigenito  mio  Figliuolo. Così  veniste  a  tanta  eccellenza, per  l’unione  che  io  feci  tra  la  mia  Deità  e  la  natura  umana, che  voi  avete  maggiore  eccellenza  e  dignità  degli  angeli, poiché  io  presi  la  vostra  natura, non  quella  dell’angelo. Perciò, come  ti  ho  già  detto, io  Dio  son  fatto  uomo, e  l’uomo  è  fatto  Dio, appunto   per  l’unione  della  mia  natura  divina  con  la  vostra  natura  umana.

          Questa  grandezza (di  avervi  dato  l’essere  e  la  grazia) è  data  in  generale  ad  ogni  creatura  ragionevole; ma  tra  tutti  ho  eletto  i  miei  ministri  per  la  vostra  salute, acciocché  per  loro  vi  sia  somministrato  il  sangue  dell’umile  e  immacolato  Agnello, Unigenito  mio  Figliuolo. A  costoro  ho  dato  da  ministrare  il  Sole, dando  loro  il  lume  della  scienza, il  caldo  della  divina  carità, ed  il  colore  unito  col  caldo  e  col  lume, che  è  il  Sangue  ed  il  Corpo  del  mio  Figliuolo. Questo  Corpo   è  un  sole, perché  è  una  cosa  con  me, vero  sole. Ed  è  tanto  unito, che  l’uno  non  si  può  separare  dall’altro né  tagliare, come  nel  sole  non  si  può  dividere  il  calore  dalla  luce,  né  la  luce  dal  suo  calore, per  la  perfezione  della  loro  unione.

          Questo  sole  non  si  parte  dalla  sua  sfera, non  si  divide  da  essa, dà  lume  a  tutto  quanto  il  mondo  e  scalda  chiunque  vuole  essere  scaldato; non  si  lorda  per  qualsiasi  immondezza, ed  il  suo  lume  gli  è  sempre  unito, come  ti  ho  detto.

          Così  questo  Verbo, mio  Figliuolo, col  suo  sangue  dolcissimo  è  un  sole; è  tutto  Dio  e  tutto  uomo, perché  è  una  sola  cosa  con  me, e  io  con  lui. La  mia  potenza  non  è  separata  dalla  sua  sapienza, né  il  calore  e  fuoco  dello  Spirito  Santo  sono  separati  da  me, Padre, o  da  lui, Figliuolo , essendo  egli  una  medesima  cosa  con  Noi, poiché  lo  Spirito  Santo  procede  da  me  Padre  e  dal  Figliuolo, e  siamo  un  medesimo  Sole.

        Io  sono  quel  Sole, Dio  eterno, da  cui  è  proceduto  il  Figliuolo  e  lo  Spirito  Santo. Allo  Spirito  Santo  è  appropriato  il  fuoco; al  Figliuolo  la  sapienza; in  questa  sapienza  i  miei  ministri  ricevono  un  lume  di  grazia, perché  somministrano  questo  lume  con  lume  e  con  gratitudine  del  benefizio  ricevuto  da  me, Padre  eterno, seguendo  la  dottrina  di  questa  sapienza, che  è  l’Unigenito  mio  Figliuolo.

          Questo  è  quel  lume, che  ha  in  sé  il  colore  della  vostra  umanità, essendo  uniti  insieme  l’uno  con  l’altro. Il  lume  della  mia  Deità  fu  unito  col  colore  della  vostra  umanità. Questo  colore  diventò  lucido, quando  restò  impassibile  in  Cristo  per  virtù  della  Deità, che  è  la  natura  divina. Voi  avete  ricevuto  il  lume  per  questo  mezzo, che  è  il  Verbo  incarnato, intriso  e  impastato  col  lume della  mia  Deità, che  è  la  natura  divina, e col  caldo  e  fuoco  della  Spirito  Santo. A  chi  l’ho  dato  a  ministrare? Ai  miei  ministri, nel  corpo  mistico  della  santa  Chiesa, affinché  abbiate  vita, dandovi  il  suo  Corpo  in  cibo  ed  il  suo  Sangue  in  bevanda.

        Ti  ho  detto  che  questo  Corpo  è  un  sole. Perciò  non  vi  può  essere  dato  il  Corpo  senza  che  vi  sia  dato  il  Sangue, né  il  Sangue  senza  l’anima  di  questo  Verbo  incarnato, né  l’anima  e  il  Corpo  senza  la  Deità  di  me, Dio  eterno, perché  l’una  non  si  può  separare  dall’altra, come  già  ti  dissi  in  altro  luogo; ché  la  natura  divina  non  si  parti  mai  dalla  natura  umana, non  potendosi  separare  né  per  morte  né  per  verun’altra  causa. Sicché  voi  ricevete  tutta  l’essenza  divina  in  quel  dolcissimo  sacramento, sotto  la  bianchezza  del  pane.

          E  come    il  sole  non  si  può  dividere, così  tutto  Dio  e  uomo  non  si  può  dividere  in  questa  bianchezza  dell’ostia. Poniamo  che  si  divida  l’ostia: anche  se  fosse  possibile  di  farne  migliaia  di  minuzzoli, in  ciascuno  è  Cristo  tutto  Dio  e  tutto  uomo. Come  si  divide  lo  specchio, ma  non  si  divide  l’immagine  che  vi  si vede, così, dividendo  questa  ostia, non  si  divide  né  Dio  né  l’uomo, ma  in  ciascuna  parte  vi  è  tutto. E  non  diminuisce  in  se  medesimo, come  succede  del  fuoco, secondo  l’esempio  seguente.

          Se  tu  avessi  un  lume, e  da  tutto  il  mondo  si  venisse  ad  accendere  da  questo, esso  non  verrebbe  a  diminuire  per  quell’accensione, e  nondimeno  ciascuno  l’avrebbe  tutto. E’  vero  che  c’è  chi  partecipa  più  e  chi  meno  di  questo  lume, poiché  ciascuno  riceve  tanto  fuoco  quanto  è  la  materia  che  porta. E  affinché  tu  intenda  meglio, ti  propongo  un  altro  esempio.

          Se  fossero  molti  a  portare  candele, e  uno  avesse  materia  di  un’oncia, l’altro  di  due  o  di  sei, chi  di  una  libbra  e  chi  di  più, e  andassero  tutti  al  lume  per  accendere  le  loro  candele, è  vero  che  in  ciascuna  candela  accesa, o  grande  o  piccola  che  sia, si  vede  tutto  il  lume, cioè  il  calore, il  colore  e  la  luce   stessa; nondimeno  tu  giudicheresti  che  ne  abbia  meno  colui  il  quale  la  porta  di  un’oncia, che  quello  il  quale  la  porta  di  una  libbra.

Madonna della corona – Santuario mariano, la Via Crucis

          Avviene  così  a  chi  riceve  questo  sacramento. L’uomo  porta  la  sua  candela, che  è  il  santo  desiderio, col  quale  si  riceve  e  si  prende  questo  sacramento; ma  tale  candela  in  sé  è  spenta, e  si  accende  nel  ricevere  questo  sacramento. <<Spenta>>, io  dico, perché  da  voi  non  siete  niente. E’  vero  che  io  vi  ho  dato  la  materia, con  la  quale  possiate  nutrire  in  voi  questo  lume  e  riceverlo. Questa  materia  è  l’amore, perché  io  vi  creai  per  amore, e  però  non  potete  vivere  senza  amore.

          L’essere, dato  a  voi  per  amore, riceve  la  disposizione buona  nel  santo  battesimo, che  ricevete  in  virtù  del  sangue  del  Verbo; poiché  in  altro  modo non  potreste  partecipare  di  questo  lume, ma  sareste  come  candela  senza  il  lucignolo, che  non  può  ardere  né  ricevere  in  sé  il  lume. Così  siete  voi, se  nell’anima  vostra  non  avete  ricevuto  il  lucignolo  che  si  accende  a  questo  lume, cioè  la  santissima  fede, insieme  con  la  grazia  che  ricevete  nel  santo  battesimo  con  l’affetto  dell’anima  vostra, creata  da  me, e  atta  ad  amare; poiché  essa  è  talmente  atta  ad  amare, che  non  può  vivere  senza  amore; anzi  il  suo  cibo  è  l’amore.

      Dove  si  accende  l’anima   che  ha  una  tale  unione? Al  fuoco  della  mia  divina  carità, amando  e  temendo  me, e  seguendo  la  dottrina  della  mia  Verità. E’  vero  però  che  si  accende  più  o  meno, secondo  che  porterà  e  darà  materia  a  questo  fuoco. Infatti, benché  tutti  abbiate  una  medesima  materia, poiché  tutti  siete  creati  a  mia  immagine  e  somiglianza, e  come  cristiani  avete  il  lume  del  santo  battesimo, nondimeno  ognuno  può  crescere  in  amore  e  virtù, secondo  che  a  voi  piace, mediante  la  mia  grazia. Non  è  che  voi  mutiate  la  vita  soprannaturale  che  io  vi  ho  data, ma  potete  crescere  ed  aumentare  nell’amore  delle  virtù, usando  il libero arbitrio, con  virtù  e  con  affetto  di  carità  finché  ne  avete  tempo; poiché, passato  il  tempo, voi  non  lo  potreste  fare. Così  potete  crescere  in  amore.

          Con  questo  amore  venite  a  ricevere  il  Sacramento, dolce  e  glorioso  lume, che  io  vi  ho  dato  per  esservi  distribuito  dai  miei  ministri, come  vostro  cibo; e  tanto  ricevete  di  questo  lume, quanto  porterete  di  amore  e  di  affocato  desiderio, posto  anche  che  lo  riceviate  tutto, come  ti  spiegai  con  l’esempio  di  quelli  che  portano  le  candele, e  che  ricevono  il  lume  secondo  la  quantità  del  peso. In  ciascuno  si  vede  Cristo  tutto  intero, e  non  diviso; perché  non  si  può  dividere, come  ti  ho  già  detto, per  veruna  imperfezione  di  voi  che  lo  ricevete, o  di  chi  lo  somministra; ma  tanto  partecipate  in   voi  di  questo  lume, cioè  della  grazia  che  ricevete  in  questo  sacramento, quanto  è  il  desiderio  santo, col  quale  vi  disponete  a  riceverlo. E  chi  andasse  a  questo  dolce  sacramento  con  colpa  di  peccato  mortale, non  ne  riceve  grazia, anche  se  riceve  attualmente  tutto  Dio  e  uomo, come  t’ho  detto.

          Ma  sai  come  sta  l’anima  che  lo  riceve  indegnamente? Sta  come  la  candela  in  cui  sia  caduta  l’acqua, che  non  fa  altro  che  stridere  quando  è  accostata  al  fuoco; ed  appena  che  il  fuoco  è  entrato  in  quella  si  spegne, e  non  vi  rimane  altro  che  il  fumo.

          Così  quest’anima  porta  se  stessa, come  quella  candela  che  ricevette  nel  santo  battesimo; vi  gettò  poi  l’acqua  della  colpa, che  innacquò  il  lucignolo  del  lume  della  grazia  ricevuta  nel  santo  battesimo. Non  essendosi  scaldata  al  fuoco  della  santa  contrizione  col  confessare  la  colpa, andò  alla  mensa  dell’altare  a  ricevere  questo  lume. Ma  non  essendo  l’anima  disposta  come  si  deve  a  tanto  mistero, il  vero  lume  non vi  rimane  con  la  grazia, ma  si  parte, e  l’anima  rimane  in  maggiore  confusione, spenta  dalle  tenebre  ed  aggravata  dalla  sua  colpa. Di  questo  sacramento  non  sente  altro  che  lo  stridore  del  rimorso  di  coscienza, non  per  difetto  del  lume, che  non  può  ricevere  alcuna  lesione, ma  per  colpa  dell’acqua  che  era  nell’anima; quest’acqua  impedì  l’affetto  dell’anima, che  non  poté  ricevere  questo  lume.

          Così  vedi  come  questo  lume, che  ha  uniti  in  sé   tra  loro  caldo  e  colore, non  si  possa  in  nessun  modo  dividere, né  per  piccolo  desiderio  che  porti  l’anima  a  ricevere  questo  sacramento, né  per  difetto  che  fosse  nell’anima  di  chi  lo  riceve, o  di  colui  che  lo  amministra, come  pure  ti  dissi  del  sole, che  stando  su  cosa  immonda, tuttavia  non  si  lorda.

        Così  questo  dolce  lume  nel  Sacramento  non  si  lorda  per  nessuna  cosa, né  si  divide, né  diminuisce  la  sua  luce, né  si  stacca  dalla  sua  sfera, posto  anche  che  tutto  il  mondo  si  comunichi  del  lume  e  del  caldo  di  questo  sole. Il  Verbo, Sole, Unigenito  mio  Figlio, non  si  stacca  da  me  Sole, Padre  eterno, benché  nel  corpo  mistico  della  santa  Chiesa  sia  dispensato  a  chiunque  lo  vuole  ricevere; ma  tutto  rimane; e  voi  l’avete  tutto  quanto, Dio  e  uomo, come  ti  diedi  l’esempio  del  lume. Ché  se  tutto  il  mondo  volesse  parteciparne, tutti  l’avrebbero, e  tuttavia  rimarrebbe  tutto  intero  in  se  stesso.

          Capitolo  119

Eccellenza, virtù  e opere  sante  dei  ministri  virtuosi  e  santi; come  essi  si  rassomiglino  al  sole. La  loro  correzione  verso  i  sudditi.

          Ora  io  voglio  che tu  sappia  che  per  nessun’altra  causa  è  venuta  tanta  tenebra  e  divisione  nel  mondo  tra  secolari  e  religiosi, tra  chierici  e  pastori  della  santa  Chiesa, se  non  perché  il  lume  della  giustizia  è  mancato  ed  è  venuta  la  tenebra  della  ingiustizia.

         Nessuno  Stato  si  può  conservare  nella  legge  civile  e  nella  legge  divina  in  grazia  senza  la  santa  giustizia; perché  colui  che  non  è  corretto  e  non  corregge  fa  come  il  membro  che  è   cominciato  a  imputridire: se  il  cattivo  medico  vi  pone  subito  l’unguento  solo, e  non  brucia  la  piaga, tutto  il  corpo  imputridisce  e  si  corrompe. Così  il  prelato, e  gli  altri  signori  che  hanno  sudditi, vedendo  il  membro  del  loro  suddito  essere  imputridito  per  la  puzza  del  peccato  mortale, se  vi  pongono  solo  l’unguento  della  lusinga  senza  la  riprensione, non  guariscono  mai, ma  guasteranno  le  altre  membra, che  gli  sono  dintorno, e  sono  legate  in  uno  stesso  corpo  ad  uno  stesso  pastore. Ma  se  il  prelato  sarà  vero  e  buon  medico  di  quelle  anime, come  erano  questi  gloriosi  pastori, non  darà  l’unguento  senza  il  fuoco  della  riprensione. E  se  il  membro  fosse  pure  ostinato  nel  suo  mal  fare, lo  toglierà  dalla  comunità, acciò  che  non  infetti  gli  altri  con  la  puzza  del  peccato  mortale.

         Ma  essi  non  fanno  oggi  così; anzi  fanno  vista  di  non  vedere. E  sai  tu  perché? Perché  in  loro  vive  la  radice  dell’amor  proprio, da  cui  traggono  il  perverso  timore  servile. Per  timore  di  perdere  lo  Stato, le  cose  temporali  o  la  prelazione, non  correggono, ma  fanno  come  accecati, e  per  questo  non  conoscono  in  che  modo  si  conservi  lo  Stato; ché  se  vedessero  come  si  conserva  con  la  santa  giustizia, la  manterrebbero. Ma  poiché  sono  privi  del  vero  lume, non  lo  conoscono; credendolo  conservare  con  la  ingiustizia, non  riprendono  i  difetti   dei  loro  sudditi, ma  sono  ingannati  dalla  loro  passione  sensitiva  e  dall’appetito  della  signoria  o  della  prelazione.

          Inoltre  non  correggono, perché  essi  sono  in  quei  medesimi  difetti, o  anche  maggiori. Si  sentono  presi  nella  colpa, e  perciò  perdono  l’ardire  e  la  sicurezza; legati  dal  timore  servile, fanno  vista  di  non  vedere. E  se  pure  vedono, non  correggono; anzi  si  lasciano  legare  con  le  parole  lusinghevoli, e  con  molti  doni, ed  essi  stessi  trovano  le  scuse  per  non  punirli. In  costoro  si  compie  la  parola  che  disse  la  mia  Verità: <<Costoro  sono  ciechi  e  guide  di  ciechi; se  un  cieco  guida  l’altro, ambedue  cadono  nella  fossa>>(Mt  15,14; Lc  6,39).

          Non  hanno  fatto   né  fanno  così  quelli  che  sono  stati  o  sono  miei  dolci  ministri, i  quali, come  ti  dissi, hanno  la  proprietà  e  condizione  del  sole.

          Sono  essi  un  vero  sole, poiché  in  loro  non  vi  è  tenebra  di  peccato  né  ignoranza, perché  seguono  la  dottrina  della  mia  Verità; né  sono  tiepidi, poiché  ardono  nella  fornace  della  mia  carità; sono  spregiatori  delle  grandezze, stati  e  delizie  del  mondo, e  perciò  non  temono  di  correggere. Chi  non  appetisce  la  signoria  o  la  prelazione, non  teme  di  perderla, ma  riprende  virilmente; e  chi  non  si  sente  la  coscienza  ripresa  dalla  colpa, non  teme.

Nel  <<Dialogo  della  divina  Provvidenza>>  di  Santa  Caterina  da  Siena, capitolo

 <<Come  Dio  provvede  a  chi  sa  sperare>>

 “…  Tu  vedi  che  all’anima, per  la  sua  vita, Io  ho  dato  i  sacramenti  della  santa  Chiesa, perché  sono  il   suo  cibo: non  quel  pane  che  è  grossolano  bene  temporale  e  deve  essere  dato  al  corpo, poiché  l’anima  è  incorporea, e  vive  della  mia  parola. Perciò  la  mia  Verità  disse, nel  santo  Vangelo, che  l’uomo  non  vive  di  solo  pane, ma  di  ogni  parola  che  procede  da  me (Matteo 4,4; e  Luca  4,4), e  che  voi  dovevate  seguire  con  intenzione  spirituale  la  dottrina  di  questa  mia  Parola  incarnata. La  quale  parola, in  virtù  del  sangue  e  dei  suoi  santi  sacramenti, vi  dona  la   vita.

            Perciò  all’anima  sono  dati  i  sacramenti  spirituali. Sebbene  i  sacramenti  siano  disposti  e  dati  mediante  lo  strumento  del  corpo, l’atto  corporale  da  solo  non  da  vita  di  grazia  se  l’anima  non  lo  ricevesse  con  disposizione  spirituale, con  vero  e  santo  desiderio; e  questo  desiderio  alberga  nell’anima, non  nel  corpo. Perciò  ti  ho  detto  essi  erano  spirituali, e  che  si  davano  all’anima  perché  è  ente  incorporeo, quantunque  offerti  per  mezzo  del  corpo: come  ho  detto, è  il  sentimento  dell’anima  che  deve  assumerli  e  riceverli”.

Vita  di  Cristo

Pietro  Chiminelli

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Capitolo   Nono

Le  riforme  operate  da  Gesù

            “. . .<< E   Gesù  di  rimando:

            Rendete  dunque  a  Cesare  quel  ch’è  di  Cesare  e  a  Dio  quel  ch’è  di  Dio>>.

            Per  ben  capire  il  prezioso  valore  e  la  vitale  importanza  di  questa  grande  massima  chiarificatrice  dettata  dal  divino  Maestro, bisogna  non  perdere  di  vista  che, nell’antica  civiltà – che  oggi  qualche  nazione  malauguratamente  accenna  a  voler  nuovamente  instaurare era   in  auge  il  principio  autoritario  dettato  da  Licurgo  per  la  Grecia  e  dagli  imperatori  per  Roma, secondo  il  quale  un  cittadino  apparteneva  di  diritto – non  solo  col  corpo, ma  con  l’anima – allo  Stato.

            La  risposta  di  Gesù  elimina  questa  confusione  di  poteri.

            Alla  podestà – talora  invadente  o  soverchiante  dello  Stato – Gesù  segnò  come  limite  la  lealtà  che  si  deve, prima  di  tutto, a  Dio: <<usque  ad  altare>>, diceva  Platone, oppure, come  nel  limpido  commento  dell’eroina  Giovanna  d’Arco, fino  al  <<primato  del  servizio  divino>>. (Dieu, le  premier  servi). E  da  quel  momento, ogni  qualvolta  gl’incoercibili  diritti  della  coscienza  urteranno  contro  una  ingiusta  costrizione  della  politica, quest’ultima, dal  cristiano  verrà  sempre  postposta  alla  prima. Furono  due  discepoli  di  Gesù – in  rappresentanza  della  Chiesa  apostolica – coloro  i  quali –  memori  di  questa   famosa  risposta  del  loro  Maestro – tracciarono  la  lucida  formula  affermatrice  della  superiorità  dello  spirituale, nelle  parole  rivolte  alle  Autorità  ebraiche  del  Sinedrio: <<Giudicate  voi  stessi  se  sia  più  giusto, dinanzi  a  Dio, l’ubbidire  a  voi, piuttosto  che  a  Dio>> (Atti, IV ,19). Sarà  Paolo  da  Tarso – il  cittadino  così  fiero  della  sua  romanità – il  quale, appoggiato  alle  sbarre  della  carcere  neroniana, scriverà  queste  parole  che  scoteranno  dalle  fondamenta  l’impero  dei  Cesari: <<Io  sono  incatenato  come  un  malfattore, ma  la  parola  di  Dio  non  s’incatena>>. (Tim, II, 9). Sarà  Tertulliano  che  dirà, sulla  tracce  del  vangelo  del  Maestro: <<A  Cesare  si  potrà  dare  il  proprio  denaro, ma  la  coscienza  solamente  a  Dio>> (Ut  Caesari  quidem  pecuniam  reddas. Deo  temetipsum; De  idol., XV). Saranno  infine  i  martiri  cristiani  che  col  sangue  loro  suggelleranno  l’assoluta   verità  delle  parole  del  Cristo  e, morendo, grideranno  in  faccia  agli  oppressori  degl’inviolabili  diritti  dello  spirito, parole  di  questa  fierezza: <<Onorare  il  re, ma  adorare  solo  il  Dio  immortale!>>, oppure: <<L’onore  a  Cesare   come  a  Cesare, ma  il  timore  a  Dio!>>, oppure: <<Dio  è  il  più  grande, non  gli  imperatori>>.

            La  riforma  dello  Stato  promulgata  da  Gesù, sollevò  la  Chiesa  cristiana  in  un’alta  sfera  di  libertà  interiore  e  d’indipendenza  che  il  paganesimo  non  avrebbe  neppur  potuto  immaginare.

            E  fu  precisamente  questa  libertà  ecclesiastica  assicurata da  Gesù  quella  che  gradatamente  fece  sentire  il  bisogno  di  ogni  altra legittima  libertà  civile  o  politica  all’individuo.

            Anche  sotto  questo  rispetto, il  nome  di  Gesù  merita  di  venire  inciso  nelle  bronzee  tavole  della  storia.

            Da  ultimo, un  cenno  sulla  riforma  sociale  operata  da  Gesù.

 . . .  E’  vero  che  Gesù  non  tracciò  in  tema  economico  una  regola  permanente? Forse  è  vero, e  ciò  è  stato  un  vantaggio  nel  senso  che, s’Egli  l’avesse  tracciata , quella  regola  avrebbe  tutt’al  più  potuto  rispondere  ai  bisogni  d’un  tempo – del  suo, forse – e  alle  esigenze  d’uno  speciale  ambiente – dell’orientale  forse – giacché  le  necessità  della  vita  sociale  si  sviluppano  e  si  modificano  in  modi  infinitamente  svariati. L’importante  è  che  Gesù  abbia  previsto  la  soluzione, oggi  in  laboriosa  gestazione, della  questione  sociale, e  l’abbia  chiusa  nell’ambito  del  <<Regno  di  Dio>>, accanto  ad  altre  realtà  sociali, morali  e  spirituali. Questo  fece  il  Cristo.

            Di  più  alla  nuova  organizzazione  economica  che  la  nostra  epoca  va  faticosamente  elaborando, il  Signore  fin  dal  suo  tempo  aveva  tracciato  basi  ideali  e  le  aveva  vivificate  di quel  suo  spirito  animatore  il  quale  non  può  costringersi  entro  i  ristretti  paragrafi  d’una  costruzione  sistematica, né  dentro  il  quadro  d’un  piano  mutevole.

            Gesù, più  che  redigere  un  <<appello  ai  lavoratori>>, oppure  un  <<manifesto>>, o  una <<magna  charta>>  o  dei  desiderata  economici, costruì  una  morale  sociale  la  quale  getterà sempre  luce  su  ogni  rinascente  problema  intessuto  di  realtà  e  materiato  di  giustizia. Egli  pensò  che  ricchezza  e  povertà, in  fin  dei  conti, sono  cose  indifferenti  in  loro  stesse  e  che  la  vera  regola  che  le  disciplina  deve  essere  nell’anima  dell’individuo  formalmente  buono,  giacché  sarà  sempre  vero  che,  finché  l’individuo  non  sarà  morale, neppure  la  società  lo  sarà  mai.

            Pertanto  da  questo  punto  di  vista, il  Maestro  pose  la  questione  sociale  come  un  corollario  della  conversione  morale  e  religiosa  di  quell’individuo  al  quale  Egli  tracciò  una  regola  che  penetra  e  investe  tutta  la  vita  nei   suoi  molteplici  rapporti: quella<< regola  d’oro>> che  insegna  di  fare  agli  altri  tutte  le  cose  che  l’individuo   vuole  che  gli  uomini  facciano  a  lui (Matt, VII, 12). Questa  è  la  regola  sociale  di  quel <<Regno  di  Dio>> inaugurato  da  Gesù  il  quale  è, anzi  tutto, giustizia  secondo  il  bell’aforisma: <<Cercate  prima  il  Regno  di  Dio  e  la  sua  giustizia  e  tutte  queste  cose [mangiare, bere, vestire] vi  saranno  date  per  sovrappiù>>.

Gesù  ingrandì  il  cuore  dell’uomo, le  visioni  dell’uomo, le  aspirazioni  dell’uomo  e  il  senso  di  giustizia  dell’uomo  verso <<il  prossimo>>; in  ciò  sta  la  vera  grandezza  e  l’originalità  di  quel  suo  piano  riformatore  che  non  può  mai  esaurirsi  perché  attinge  alle  sorgenti  eterne  della  vita  e  della  sua  perfettibilità. Nulla  di  consimile  potrà  dirsi  delle  regole  economiche  tracciate  da   . . .  destinate  a  venir  ben  presto  sostituire  da  altre, nate  da  diversità  di  situazioni  storiche, e  tutte  ad  un  modo  avviate  a  prorompere  in  una  satanica  ridda  di  esperimenti  rivoluzionari, foschi  d’incognite, gravidi  di  terrori, forieri   di  barbarie  e  rossi  di  sangue.

            Data  l’epoca, l’ambiente  e  la  famiglia  in  cui  Gesù  era  nato, quasi  per  forza  di  cose  Egli  doveva  prendere  a  cuore  la  cosiddetta  questione  sociale. Si  aggiunga  che – oltre  a  essere  nato  in  mezzo  al  popolo – Gesù  si  legò  volutamente  alla  sua  condizione  sociale, giacché, come    rileva  di  leggieri, Egli, se  l’avesse  desiderato, avrebbe  potuto  essere  ricco  e  alto  nel  grado  sociale. Le  ingiustizie  sociali  da  Lui  denunziate  l’ebbe  dapprima  a  verificare  in  sé  e  nell’ambiente  circostante  per  modo  che, avendole  guardate  in  faccia  nella  loro  tragica  realtà  durante  i  penosi  anni  della  sua  preparazione  al  ministero, fu  poi  in  grado  di  parlarne  con  competenza  fin  dal  primo  presentarsi  come  pubblico  insegnante.

            Infatti  nel  suo  discorso – programma  nella  sinagoga  di  Nazareth, Egli  si  presentò  in  veste  di  <<evangelista  dei  poveri>>  e  di <<liberatore  dei  prigionieri  e  degli  oppressi>>. Così pure, nel  celebre <<discorso  della  montagna>>, Egli  s’introdusse  portando  una  nuova  versione  di  queste, che  la  paganità  aveva  chiamato  le  <<beatitudini>>  della  vita:

            <<Beati  voi, ricchi  della  carne, perché  vostro  è  il  regno  della  terra!>>

            <<Beati  voi, o  orgogliosi , perché  voi  erediterete  la  terra!>>

            <<Beati  voi  che  non  sentite  compassione, perché  voi  accumulerete  denaro!>> (Questa<versione> pagana  delle  <<beatitudini>>  è  del  noto  esteta  e  sociologo  Ruskin).

            Alle <<beatitudini  pagane>> Gesù  contrappose  queste <<sue>> beatitudini:

            <<Beati  i  poveri  di  spirito, perché  il  Regno  dei Cieli  è  loro!>>

            <<Beati  i  mansueti, perché  possederanno  la  terra!>>

            <<Beati  i  misericordiosi, perché  misericordia  sarà  loro  fatta!>> (Matt, V, 3 ,5, 7).

            Freme  qui  uno  spirito  nuovo  che  spiega  il  segreto  dell’immenso  successo  della  predicazione  di  Gesù.

            I  poveri  e  gli  oppressi  lo  amarono  tanto  e  si  sentirono  irresistibilmente  da  Lui  attratti, perché  Egli  predicò  in  loro  favore  contro  i  ricchi  e  contro  gli  oppressori.

            Nella  storia  precedente  al  Cristo  nessuno  aveva  mai  impersonato  in  sé  la  causa  dei poveri  e  dei  reietti  della  vita  fino  a  farsene, come  Gesù, loro  portavoce.

            E  tutto  lo  conduceva  a  ciò: la  sua  missione, il  suo  amore, la  sua  natura  e  anche  la  sua  conoscenza  sperimentale  e  vissuta  della  vita. Le  recenti  esplorazioni  fatte  nel  paese  di  Gesù  ci  pongono  bene  in  grado  di  rintracciarvi  i  due  estremi  di  povertà  e  di  ricchezza  che  stridentemente  si  toccavano  da  vicino. Gesù  visse  in  una  età  ricca, resa  quasi  febbrile  dal più intenso  traffico  commerciale, Egli  e  i  suoi  discepoli  furono  estremamente  poveri. Intorno  a  Lui, sulle  spiagge  ridenti  del  mare  galilaico, i  nobili  romani  fissavano  la  loro  preferita  residenza  estiva . . .

            Ridurremo  a  tre  le  principalissime  conseguenze  derivate  da  questo  aspetto  sociale  della  predicazione  del  Maestro  divino.

            Prima  fu  la  creazione  d’una  coscienza  sociale, fino  a  quel  momento  inesistente.

            Gesù  instillò  nei  suoi  seguaci  il  principio  della  responsabilità  individuale  verso  gli  altri. Questo  principio è, si  può  dire, la  chiave  di  svolta  del  suo  sistema  saldamente  imperniato, sulla  nozione  del  Padre  celeste, da  Gesù  rivelato  al  mondo. Il  Padre  del  cielo  è  anche  il  vincolo  della  nuova  solidarietà  umana, e  siccome  Egli  non  salva  gli  uomini  nel  fascio, né  dietro  un  sistema  di  rappresentanza  collettiva, così  li  tiene  individualmente  responsabili  ogni  qualvolta  un  anello  della  catena  della  solidarietà  umana  si  spezzi. Con  simile  insegnamento  Gesù  mirò  a  creare  una  coscienza  sociale  nell’individuo, e  si  spinse  tanto  innanzi  nella  emancipazione  di  questo  principio, da  giungere  al  punto  di  parlare  di  salvezza  per  quelli  che  sentissero  il  sublime  affanno  di  questa  loro  responsabilità  sociale, non  certo  disgiunta  dalle  altre  condizioni  di  salvezza  da  Lui  altrove  poste.

            Applicazioni  pratiche  di  questo  principio  non  potevano  mancare  nell’insegnamento  del  Cristo  e  in  realtà  non  mancano. Così  Gesù, nello  spirito  di  questa  coscienza  sociale  da  Lui  inculcata, rivendicò  il  diritto  dell’operaio  a  una  giusta  paga: <<L’operaio  è  degno  della  sua  mercede>> (Matt, XX,4; Luca,  X, 7). . . Al  commerciante, in  genere, inculcò  di  usare  un  giusto  peso, e  di  dare  una  giusta  misura (Matt, VII, 2; Marco, IV,24; Luca, VI, 38). . . .”

San  Leopoldo Mandic  prega per l’unità della CHIESA

Safet Zec pittore nato 1943 - Exodus

Autore, SAFET ZEC nato 1943 – EXODUS pittore appartenente al <<Realismo poetico>>

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