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A cosa serve studiare, inventare, creare … se non

Siamo all’altezza di GARANTIRE LA PACE, cioè LA VITA? Trattati di pace tra nazioni?

Si stanno contando i giorni dall’inizio della guerra (invasione) in Ucraina

Oggi mi sento di dire questo, rivolto al mondo intero

A cosa serve studiare, inventare, creare … se non siamo all’altezza di GARANTIRE LA PACE, cioè LA VITA?

C’è chi grida più armi, io non sono un esperto di armi, certo che non si sta con le mani in mano quando si è attaccati in casa propria, voglio però ragionare da ucraino colpito nel modo che tutti vediamo, perché se non ragiono così, non troverò mai alcuna soluzione. Credo anche in Dio e avevo letto il primo trattato di pace tra Cina e Russia, sapete come recita? E’ semplicissimo: “Se qualcuno avesse mai il pensiero segreto di riaccendere il fuoco della guerra, noi preghiamo il Signore sovrano di tutte le cose, che conosce i cuori, di punire questi traditori con una morte improvvisa”.

Il primo trattato di pace tra Russia e Cina

Questi giorni ho letto un fiume di notizie, libri, studi, sulla guerra, prima, seconda, trattati … Hitler che vuole Danzica, fosse un paio di scarpe ad uso personale … L’oro di Dongo … poi guardo un video dei nostri giorni, della più grande baraccopoli dell’Africa, documentato da un ragazzo italiano, poi salvataggi … con una ONG.

Ho davanti alcune cifre, il bilancio della guerra – la storia mondiale e le superpotenze

Il censimento della strage, il nazismo e la sua distruzione, necessaria per la sopravvivenza dell’umanità, costarono un prezzo di dolore e di sangue senza precedenti. Dei 6 milioni di Ebrei che vivevano in Germania e nei paesi occupati dal Reich, 5 furono sterminati.

  • L’Unione Sovietica perdette 20 milioni di uomini, dei quali più di 6 fra i civili
  • La Polonia   6 milioni, cioè quasi un quarto della sua popolazione complessiva
  • La Germania   5 milioni
  • La Jugoslavia   1.700.000
  • La Francia   800.000
  • Il Commonwealth  500.000
  • L’Italia e gli Stati Uniti circa  300.000
  • Se si considera anche la guerra in Estremo Oriente, a questa ecatombe vanno aggiunti i quasi 2 milioni di morti del Giappone e i ben 15  milioni di morti della Cina, attaccata dal Giappone fin dal 1931

Il dato di sopra è da un “semplice” libro di storia.

Da un altro libro … Nel decennio tra 1990 e il 2000 ci sono stati 5 milioni di morti e 6 milioni di feriti proprio per le guerre … un po’ ovunque al mondo. Nel capitolo <<Inerzia e passioni>> un dialogo su tutto, tra Vincenzo Paglia e Francesco Scaglia ne <<In cerca dell’anima; Dialogo su un’Italia che ha smarrito se stessa>>.

In quel libro di storia, fu inserito anche il dialogo  Freud ad Einstein, sulla guerra (in S. Freud, Il disagio della civiltà e altri saggi, Ed. Sagittario, Torino, 1971).

Non c’è nulla da filosofare sulla guerra, nulla che possa ridare la dignità ad un corpo fatto brandelli.

Un bambino che assiste alla esplosione di un corpo, del corpo, dei corpi dei suoi genitori. Bum – non esistono più, non ci sarà mai l’abbraccio e il bacio di buonanotte, il regalo per il tuo compleanno … Ciascuno immagini la vita normalissima, quotidianità ordinaria, dal dormire nel tuo letto, lavarti, vestirti, cibarti … Andrai ad elemosinare la pietà degli altri perché la tua colpa qual è?

Siamo vulnerabili davanti ad un virus invisibile, possiamo pur sperare di combatterlo, usando la scienza. C’è chi può permetterselo e chi no, bisogna sapere che nonostante non hai alcuna colpa, se non sei fortunato, cioè, nato in una famiglia ricca, nazione ricca, può capitare di non essere curato, guarire. Il calcolo delle probabilità sono infinite.

Ma io mi auguro e spero col cuore che qualcosa potrà cambiare. Chi compra un quadro pagando 100 milioni, avrà l’occasione di fare cose molto più utili, diventare azionista alla banca di Gesù. Trasformare il suo capitale da moneta che non offre calore umano, in occasione di moltiplicare il bene verso i meno fortunati. Si faccia coraggio e tocchi con mano la vita vera, si sporchi le mani della miseria che circonda il mondo. Riceva sorrisi e benedizioni da chi fasciato solo dalla disperazione non ci spera più in nulla. Lotti con tutte le sue forze per un mondo migliore e non sprechi i soldi per oggetti rinchiusi, ma lavori con le anime, con le persone che non hanno né colpa, né possibilità di diventare  qualcuno, finanzi gli studi dei poveri, lanci campagne per la costruzione di case per i poveri, perché la miseria, la delinquenza minorile sta crescendo a dismisura …

E che tutte queste superpotenze, comprendano una buona volta che la guerra è la loro fine. Guerra vuol dire lutto, vuol dire sporcarsi le mani di sangue, distruzione e un mare infinito di tristezza.

Aveva ragione, Santo Padre – Giovanni Paolo II, quando diceva che la parola guerra, dovrebbe essere cancellata dal vocabolario, eppure, eccoci qui … Guardaci in che stato siamo arrivati, sappiamo che il male non cessa col male, mai. Solo l’amore vince, solo l’amore ha forza, solo l’amore riesce a piegare, solo chi ama può osare.

Non è la sicurezza che crea la pace, è solo il reciproco rispetto, rispetto

  • Della vita altrui
  • Della sofferenza altrui
  • Della cultura altrui
  • Della religione altrui
  • Dell’essere umano nella sua completa ampiezza: mente, anima e corpo
  • Della parola data, perché se è vera ci dà il sacerdozio sul creato

Possiamo scrivere i più “furbi” trattati che la mente umana ha mai ideato, ma se dietro questo non c’è la consapevolezza che lassù c’è Qualcuno che ci guarda e sigilla la nostra promessa, sia per condanna che per assoluzione, allora non sarà mai una vera pace, ma solo una provvisoria , e compromessa finta pace.

Devo dire che ho trovato altre due esempi molto convincenti, sul discorso della vera pace, secondo me vale la pena essere alla conoscenza.

, forse ci stiamo occupando delle cose sbagliate, poiché sembra che la ricchezza e la capacità di conquiste distruggano tante gioie quante ne portano e che i nuovi programmi siano inadeguati, persino contrastanti, rispetto agli obiettivi che si prefiggono.

In un mondo così incredibile e pericoloso noi non troveremo le risposte necessarie nei vecchi dogmi, ripetendo slogans ormai consunti o combattendo su antichi campi di battaglia contro nemici evanescenti, e quando ormai le vere lotte si sono concluse. Dobbiamo cambiare per non lasciarci travolgere dai cambiamenti. Dobbiamo riconsiderare tutte le nostre vecchie idee e convinzioni prima di essere vinti e distrutti.

Ogni generazione eredita un mondo che essa non ha costruito, e nello stesso tempo diventa automaticamente l’amministratrice fiduciaria di questo mondo per coloro che verranno poi.

I giovani di tutto il mondo non aspettano che noi ci occupiamo di loro. Vanno avanti con la loro rivoluzione, senza di noi. Vanno avanti alla loro maniera, nel tempo loro. In molti paesi oggi, sono in aperta rivolta contro l’oppressione e la miseria, contro i soffocanti sistemi che non hanno consentito il progresso. La storia è dalla loro parte e in un modo o nell’altro avranno successo, costi quel che costi. In molti casi, la rivoluzione rappresenta una soluzione facile per loro perché non hanno niente da perdere. Quello che pensano e fanno si ripercuote direttamente su tutti noi. In tutti i paesi rappresentano una forza che ha le proporzioni di un uragano; e il mondo di domani recherà l’impronta dei loro ideali e dei loro propositi. Ecco perché dobbiamo occuparci di loro.

Il primo compito delle persone responsabili, non è quello di condannare, punire, deplorare, ma è quello di ricercare le cause del disinganno e dell’alienazione, della logica che guida la protesta e il dissenso: è forse quello di saper trarre un insegnamento da tutto questo. E magari ci accorgeremo che abbiamo da apprendere di più proprio da coloro il cui dissenso dalle nostre posizioni politiche e sociali è veramente radicale, perché tra i giovani, come tra gli adulti, la critica più tagliente si accompagna spesso al più profondo idealismo e al più sincero amor di patria.

I giovani hanno intuito che la criminalità organizzata, questo impero della corruzione, della venalità ingorda e dell’estorsione continua a prosperare, non soltanto tollerata ma spesso alleata a importanti personalità dei sindacati, del mondo degli affari e del governo. Per queste ragioni forse nel loro disprezzo per gli eccessi del materialismo fanno eco agli insegnamenti di un altro giovane ribelle: <<Ed egli mandò ricchi a mani vuote>>.

Il vuoto tra le generazioni non si colmerà mai del tutto. Ma occorre gettare un ponte. Un ponte tra le generazioni è oggi essenziale al paese perché, in realtà, è anche un ponte verso il nostro futuro, e quindi, nel senso più vero, verso il significato ultimo della nostra vita. Quali che siano le divergenze, per quanto profondo sia il loro dissenso, è indispensabile per noi, come per loro, che i giovani sentano che un mutamento è possibile e che saranno ascoltati; che le follie e le crudeltà del mondo si arrenderanno sia pure con difficoltà ai sacrifici che essi sono disposti a compiere. Ciò che veramente cercheremo è un senso di apertura. L’apertura deve cominciare dal dialogo, qualcosa di più della libertà di parola. E’ la disposizione ad ascoltare e ada agire.

Nella misura in cui i giovani non si limitano più a riflettere semplicemente le insoddisfazioni che hanno in comune con gli adulti, essi sollevano questioni che, in ogni caso, dovrebbero preoccuparci. Nella misura in cui esigono il rispetto degli ideali ripetutamente proclamati, svolgono per noi l’autentica funzione dei profeti. E quando cercano l’occasione di contribuire al bene dell’umanità e di farsi il proprio destino, sottolineano l’urgenza crescente di un problema che ci riguarda tutti: che le nostre vite abbiano un senso per noi e per il nostro prossimo.

Povertà e ricchezza

Robert Kennedy è stato sepolto nel cimitero nazionale di Arlington; su una collinetta, a pochi passi dal recinto di pietra che delimita il luogo di sepoltura di suo fratello John. Il mondo intero si è commosso alla notizia della loro morte. Che essi appartenessero ad una delle venti famiglie più ricche d’America non ha impedito ai poveri di piangere, il fatto che fossero bianchi e irlandesi non ha impedito ai venti milioni di negri di sentirsi defraudati nelle loro più vive speranze. La verità più scottante in un’America opulenta è la persistenza della miseria. Il tentativo di portare la devastante classe dei poveri ad un livello di vita decente è stata una delle battaglie più difficili di John Kennedy.

John – Se una società di uomini liberi non può aiutare i molti che sono poveri, non può salvare i pochi che sono ricchi.

La posizione assunta dal senatore Kennedy quale paladino dei diseredati, non era solo un programma elettorale, nasceva da una spinta interiore e dalla fedeltà ai principi del cristianesimo.

Robert – Credo che finché ci sarà abbondanza, la povertà sarà un male da combattere. Venti  milioni di negri americani, cinque milioni di americani di origine messicana, quasi tre milioni di portoricani e mezzo milione di indiani sono una realtà. Gli slums sono una realtà, come lo sono l’inattività forzata e la miseria, la mancanza di istruzione e le case decrepite. Le prospettive frustrate e le speranze deluse sono una realtà. E sono realtà che non si possono ignorare soprattutto la consapevolezza dell’ingiustizia e l’appassionato bisogno di eliminarla. Perciò abbiamo due alternative: o impegniamo la nostra immaginazione, la nostra dedizione, la nostra saggezza e il nostro coraggio per affrontare queste difficoltà e lottiamo per superarle, oppure voltiamo loro le spalle, provocando repressioni, sofferenze sempre maggiori, guerra civile e trasmettendo ai nostri figli un problema assai più terribile e minaccioso.

In un discorso al Congresso Mondiale dell’alimentazione John Kennedy aveva proposto cinque principi fondamentali da tener presenti sul problema della fame.

Primo, la persistenza della fame è inaccettabile sin dal punto di vista morale che da quello sociale. Papa Giovanni, in una sua enciclica, ha parlato del concetto che <<Tutti gli uomini sono uguali per la loro dignità naturale>>. Questa stessa dignità, indubbiamente nel XX secolo, impone che vengano eliminate la fame e l’inedia su vasta scala.

Secondo, dobbiamo riconoscere il fatto che le nazioni deficitarie dal punto di vista alimentare possono, con l’aiuto di altri paesi, risolvere questo loro problema. La campagna per la libertà dalla fame si basa su questa salda premessa.

Terzo, la cooperazione internazionale, l’organizzazione internazionale e l’azione internazionale sono indispensabili. Questa interdipendenza richiede per i suoi problemi soluzioni plurinazionali, particolarmente per quelli relativi alle necessità ed alle esigenze fondamentali dell’uomo.

Quarto, nessuna tecnica isolata nel campo politico, finanziario o educativo può da sola eliminare la fame. Sarà necessario uno sforzo coordinato da parte di tutti noi per abbattere il muro che separa la metà dell’umanità affamata da quella nutrita.

Quinto e ultimo, l’opinione mondiale deve concentrarsi sullo sforzo internazionale per eliminare la fame, quale compito PRINCIPALE DI QUESTA GENERAZIONE.

 … La pace e il progresso mondiali non possono essere mantenuti in un mondo per metà nutrito e per metà affamato. Fintanto che la libertà dalla fame sarà stata raggiunta soltanto per metà, fintanto che i due terzi delle nazioni del mondo registreranno deficit alimentari, nessun cittadino, nessuna nazione potranno permettersi di sentirsi soddisfatti e sicuri. Abbiamo la possibilità, abbiamo i mezzi e abbiamo la capacità di eliminare la fame dalla faccia della terra. Abbiamo soltanto bisogno della volontà.

Robert ricordava bene che quando Cristo diceva: <<Ciò che avete fatto a ciascuno di questi, l’avete fatto a me>>, si riferiva ai piccoli e ai poveri.

Robert – La guerra alla miseria, piaccia o no, è il solo impegno importante che la nazione abbia preso in omaggio al principio che la povertà dev’essere abolita. Non è soltanto l’impegno a far sì che i padri non siano senza lavoro, e i figli senza istruzione e le madri senza assistenza medica, anche se comporta tutte queste cose. La guerra alla miseria è un impegno preso in omaggio al principio che ogni americano deve avere le stesse possibilità di costruire una vita per sé e i suoi figli, e le stesse possibilità di prendere parte al governo della sua città, dello stato e del paese, le stesse possibilità di partecipare alle grandi iniziative della vita pubblica americana.

Non basta dare a un uomo: vitto, vesti e alloggio; e neppure lavoro. Ci stiamo accorgendo che la cosa più importante è invece aiutare gli uomini ad aiutarsi.

Un’America imbottita d’oro e protetta da una corazza impenetrabile, ma circondata da nazioni povere e disperate in un mondo caotico, non potrebbe né garantire la propria sicurezza né perseguire il sogno di una civiltà dedita al perfezionamento dell’uomo.

Lo sviluppo dell’America Latina non dipende tanto dai fattori economici quanto, e in misura determinante, dai fattori spirituali. Il senso della giustizia e della partecipazione alla vita del proprio paese sono requisiti essenziali di qualsiasi progresso materiale. I diseredati e i nullatenenti non lavoreranno  per migliorare una terra che non possiedono, di cui non condividono il reddito. I genitori non faranno sacrifici per assicurare l’istruzione dei figli; a loro volta i figli, se dopo la terza elementare verranno giudicati inabili all’ammissione alle classi successive, non potranno progredire negli studi. I singoli imprenditori non potranno prosperare in una società chiusa, che riserva ricchezze, potere, privilegio alle stesse classi e alle stesse famiglie che li hanno detenuti per trecento anni.

Poco importa che il reddito di un paese cresca di alcuni milioni di dollari, se questi dollari non sono usati per migliorare la sorte dei poveri affamati e nullatenenti. Nessun miglioramento materiale conferisce dignità alla vita di un uomo se egli non viene trattato dagli altri con il rispetto e il riguardo dovuti a un cittadino di uno stato giusto e democratico. Noi prepariamo il tipo di cittadini che ci meritiamo. Se buona parte dei nostri bambini cresce nella frustrazione e nella miseria, dobbiamo prevedere che un giorno la sconteremo.

” JOHN KENNEDY:  Insieme noi salveremo il nostro pianeta o insieme periremo nel suo rogo. Noi possiamo salvarlo e salvarlo dobbiamo in modo da meritarci, come uomini di pace, l’eterna gratitudine dell’umanità e l’eterna benedizione del Signore. Chiediamo a Dio di poter essere degni della nostra potenza e della nostra responsabilità, di poter esercitare la nostra forza con saggezza e disciplina, e di poter tradurre in realtà nel nostro tempo e per tutti i tempi l’antico ideale della <<pace in terra agli uomini di buona volontà>>. La nostra forza non sarà mai usata per una ambizione aggressiva, servirà a mantenere la pace. Non sarà mai uno strumento di provocazione, la useremo per rendere possibile la soluzione pacifica di ogni contrasto. Riesaminiamo il nostro atteggiamento verso la pace stessa. Troppi di noi la considerano impossibile. Troppi di noi la considerano irreale, ma questa è un’idea pericolosa e disfattista: essa porta a concludere che la guerra è inevitabile, che la sorte dell’umanità è segnata, che noi siamo stretti nella massa di forze che non possiamo controllare. Non è assolutamente necessario che noi accettiamo questa opinione. I nostri problemi sono creati dall’uomo: pertanto possono essere risolti dall’uomo. E l’uomo può essere grande purché lo voglia. Nessun problema che investa il destino degli uomini è al di là della portata degli esseri umani. La ragione e lo spirito dell’uomo hanno spesso risolto appariva insolubile e riteniamo che possano farlo ancora. Concentriamoci su una pace più pratica, più facilmente raggiungibile, basata non su una subitanea rivoluzione della natura umana bensì su una graduale rivoluzione delle istituzioni umane: su una serie di concrete azioni e di efficaci accordi che RISPONDANO ALL’INTERESSE DI TUTTI. Non esiste un’unica e semplice chiave per giungere a questa pace, non esiste alcuna grandiosa o magica formula che possa essere adottata da una o due potenze. La pace vera deve essere il prodotto di molte nazioni, la somma di molti atti. Essa deve essere dinamica, non statica, e mutevole per far fronte alla sfida posta da ciascuna generazione. Ché la pace è un processo, un modo per risolvere i problemi.

                E’ un processo che si attua di giorno in giorno, di settimana in settimana, di mese in mese, modificando gradualmente opinioni, logorando lentamente vecchie barriere, creando silenziosamente nuove strutture. E per quanto poco sensazionale sia il perseguimento della pace, tale lavoro deve continuare. Faremo la nostra parte per costruire un mondo di pace in cui i deboli siano sicuri e i forti siano giusti. Non siamo privi di risorse di fronte a questo compito, né privi di speranza circa il suo successo. Fiduciosi e senza timore, continueremo a lavorare non per una strategia di  annientamento, ma per una strategia di pace.”

Conclude l’autore, Damiano Bianco: “Le pallottole possono uccidere gli uomini, ma non le idee. Anche se per un momento abbiamo creduto che a Dallas e a Los Angeles fosse uccisa la speranza dell’umanità, ora crediamo fermamente che il sacrificio di John e Robert Kennedy sia un seme fecondo per il nostro futuro”.

                 Dal libro: Slogans dell’anima Testimonianze di S. Weil, P. Mazzolari, A.Saint- Exupéry, G Bevilacqua, M.L. King, T. Martin, L. Bloy, T. de Cardin, M. Gandhi, C. de Foucauld, J. e R. Kenney, C. Péguy, T. Merton, T. Dooley (1977, ottava edizione), Edizioni Paoline

                “La civiltà di un popolo non progredisce con la ricchezza economica, ma con l’evoluzione del bene da condividere e il rispetto dei diritti di tutti, iniziando dai più deboli. La pace non si fonda sui trattati CHE FIRMANO I VINCITORI, MA SULLA MORALITA’ DEI COSTUMI, CHE OBBLIGA VINTI E VINCITORI. La guerra è l’espressione immorale e violenta del potere selvaggio sui più deboli”.

                “IMPERI E NAZIONI CROLLANO NON per la discutibilità delle leggi, ma per la corruzione dei costumi che le precede. Credo nell’efficacia di un progetto politico con il quale si promuova la libertà NON DI FARE ciò che ci pare e piace, ma di adempiere i doveri scritti nella coscienza naturale di tutti”.

 Santo e martire, Massimiliano Maria Kolbe

Primo trattato di pace per i confini sull’Amur

Russia e Cina, una tensione antica

In quale lingua potevano i Cinesi trattare con i Russi in mezzo ai deserti? Due gesuiti, l’uno portoghese, chiamato Pereira, l’altro francese, chiamato Gerbillon, partiti dal Pechino con gli ambasciatori cinesi, appianarono per loro tutte queste nuove difficoltà, e furono i veri mediatori. Essi trattarono in latino con un tedesco dell’ambasciata russa, che conosceva questa lingua. Il capo dell’ambasciata russa era Golovin, governatore della Siberia; egli sfoggiò una magnificenza più grande di quella dei Cinesi e dette con ciò una nobile idea del proprio impero a coloro che si erano creduti gli unici potenti sulla Terra. I due gesuiti regolarono i confini delle due potenze; essi furono posti sul fiume Kerbechi, vicino allo stesso luogo in cui si stava negoziando. Il mezzogiorno restò ai Cinesi, il settentrione ai Russi. Esso non costò a questi che una piccola fortezza, costruita al di là dei confini; venne conclusa una pace eterna, e dopo qualche contestazione, i Russi e i Cinesi la giurarono in nome dello stesso Dio in questi termini: “Se qualcuno avesse mai il pensiero segreto di riaccendere il fuoco della guerra, noi preghiamo il Signore sovrano di tutte le cose, che conosce i cuori, di punire questi traditori con una morte improvvisa”.

Questa formula, comune tanto a Cinesi quanto a cristiani, può far conoscere due cose importanti: la prima che il governo cinese non è né ateo né idolatra, come lo si è così spesso accusato di essere con due imputazioni contraddittorie; la seconda è che tutti i popoli che coltivano la loro ragione riconoscono in pratica lo stesso Dio, nonostante tutti gli smarrimenti di questa ragione male istruita. Il trattato fu redatto in latino in due esemplari. Gli ambasciatori russi firmarono per primi la copia che rimasse nelle loro mani, e i Cinesi firmarono per primi quella che rimase loro, secondo l’uso delle nazioni europee che trattano da corona a corona. Si osservò un’altra usanza delle nazioni asiatiche e delle prime epoche del mondo conosciuto; il trattato fu inciso su due grossi marmi che furono posti per servire da confine ai due imperi>>.

Scheda nr. 8 – I Grandi della Storia, Pietro il Grande, Arnaldo Mondadori Editore, 1971.

Ciascuno trovi la propria strada nella vigna del Signore

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