Eucaristia Giovanni Paolo II

GIOVANNI PAOLO II: un premio Nobel per la PACE “mancato”, secondo me, il Santo oltrepassa ogni premio umano, ha già vinto l’eternità

Andai da Cracovia a Gdów in autobus, da lì un contadino mi diede un passaggio con il carretto verso la campagna di Marszowice, dopo di che mi consigliò di prendere a piedi una scorciatoia attraverso i campi. Scorgevo già in lontananza la chiesa di Niegowić. Era il tempo della mietitura. Camminavo tra campi di grano con le messi in parte già mietute, in parte ancora ondeggianti al vento. Quando giunsi finalmente nel territorio della parrocchia di Niegowić, mi inginocchiai e baciai la terra. Avevo imparato questo gesto da San Giovanni Maria Vianney.

Pe strazile lumii

Nella città dell’UTOPIA: dove regna il rispetto, la dignità della persona

Nella città dell’utopia – dove tutti rispettano tutti, dove non bisogna diventare prevaricatori per poter percorrere la propria strada accanto a tanti altri compagni di avventura, la collettività individua chi fa per lei. Le persone hanno bisogno di essere aiutate ad aiutarsi, a creare meccanismi che facciano scivolare i problemi. C’è sempre qualcuno in grado di farlo.

indagini

La verità: patrimonio dell’umanità, una vita da protagonisti, AUGURI DI PACE. Dice Gesù, a Maria Valtorta: i Suoi riconosceranno la Sua Parola

Le rivelazioni di Santa Brigida, Il calendario gregoriano, zodiaco e la scienza, con prof. Antonino Zichichi, Sacra di San Michele in PIemonte e la Porta dello Zodiaco del 1100 d. C. Sesta stazione – Mons. Alessandro Pronzato – VERONICA – l’ABUSIVA
C’è chi vorrebbe epurare dalla Via Crucis questa donna. Il suo gesto non è registrato dal Vangelo. Quindi – così dicono – si abbia, una buona volta, il coraggio di scacciare dal racconto della Passione questa intrusa della misericordia, questa “abusiva” che non è in grado di esibire il biglietto con il timbro della storia.
Eppure, guai se saltasse questa stazione. Sarebbe la squalifica di un mondo popolato da animali equipaggiati di ragione e di un robusto … cuore di pietra.
Se Cristo, lungo la Sua via dolorosa, non avesse incontrato una sola persona capace di compiere il gesto di Veronica – un fazzoletto passato furtivamente su un volto sfatto dalla stanchezza e ingrommato di sudore sangue e sputi – allora, veramente, mi vergognerei del nome di uomo.
Allora si dovrebbe affrontare geografi e astronomi e dirgli chiaro e tondo: Cari e illustri signori, avete preso un colossale abbaglio nel presentarci la terra secondo la forma che vediamo nei mappamondi. Correggete il vostro errore. In realtà, la terra ha la forma di una gabbia e dentro ci sono due specie di belve: quelle che si buttano, avide, sulla preda, e quelle che assistono, impassibili, allo scempio.
No. Per fortuna, c’è questa donna col suo fazzoletto. Tutti abbiamo bisogno di lei. Perché ci venga riconosciuto almeno un briciolo di dignità.
Ma la verità storica? Le prove dell’autenticità dell’episodio?
Qui è il caso di dire che la verità la facciamo noi.
Le prove vanno ricercate, non nel passato, ma nel presente. Io posso fornire queste prove. Io sono in grado di dimostare l’esistenza storica di Veronica.
Se almeno una volta mi sono fermato di fronte a una disgrazia altrui.
Se ho il coraggio di rompere il cerchio dell’indifferenza generale.
Se mi ritengo responsabile della sofferenza di un fratello.
Se non mi vergogno di avere un cuore in grado di commuoversi.
Se conservo la capacità di piangere sui casi di un poveraccio.
Se me la sento di sfidare l’impopolarità e il ridicolo e tutte le argomentazioni del buonsenso e della prudenza e della logica per precipitarmi a tendere la mano verso chi – anche con uno sguardo – implora aiuto.
Se non compio indagini per accertare “a chi tocca”.
Se non faccio calcolo sui rischi, su che cosa mi può succedere, sui guai che posso avere …
Allora Veronica è veramente esistita, è una creatura in carne e ossa. Allora il suo gesto è provato storicamente. Allora l’episodio che la riguarda è autentico. Allora è garantita la sopravvivenza della sesta stazione.
Mi pare, però, di intuire le ragioni dell’antipatia di tanti maestri per questa donna, del loro torcere il naso dinanzi al suo gesto pietoso che non risolve nulla. Loro avrebbero preferito rifare il processo a Gesù
Accertare le responsabilità degli altri
Denunciare le efferatezze delle torture
Sensibilizzare l’opinione pubblica
Analizzare le cause del dolore
Programmare un piano articolato di interventi
magari scrivere un manuale sul modo più corretto di esercitare la carità.
E, intanto, il Condannato si sarebbe dovuto accontentare di una astratta testimonianza di solidarietà, di un interessamento verbale. L’Uomo avrebbe consumato fino in fondo, nella propria carne, la fase del sacrificio, mentre quegli altri si attardavano nella fase di studio.
Un gesto concreto, modesto, insufficiente fin che si vuole, ma pure sempre un segno di amore. E l’amore, per essere tale, deve uscire dalle pagine dei libri, dalle chiacchiere, dalle discussioni, per ritrovare la spontaneità e l’efficacia dei gesti più ordinari, più semplici, più ingenui se vogliamo.