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Dall’AFRICA 3 DONNE NOBEL nel 2011 e scomode verità, Monica Lewinky pagò il prezzo della vergogna mediatica

Il vecchio Simeone e La fuga in Egitto

Macario L’Egiziano (300/301 – †390 a Scete)

Di Scete … Secondo una leggenda popolare, ripresa dal sinassario arabo, in quei pressi avrebbe soggiornato la Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto; la Vergine o, secondo altre fonti, il Bambino, avrebbe benedetto quel luogo e profetizzato la <vita angelica> [Chi è purificato dalle lacrime, dalla mortificazione, dall’obbedienza, dalla preghiera continua, diventa simile agli angeli. È un aspetto del dominio sulla creazione, del superamento delle sue barriere, di cui si è a lungo trattato nello stesso libro. La tradizione monastica, soprattutto orientale, ha sviluppato con ampiezza la dottrina della <vita angelica>] che vi sarebbe fiorita. Un’etimologia copta del nome, incerta, ma anch’essa popolare, fa risalire la denominazione <Scete> a un aneddoto su Macario: un cherubino avrebbe posto una mano sul suo cuore pesandolo come su una bilancia, perciò quel luogo sarebbe stato chiamato con un termine che significherebbe: il luogo dove si pesano il cuore e i pensieri. Anche la tradizione araba riprende quest’etimologia popolare e dice che Scete significherebbe <bilancia del cuore>.

2. Il padre Macario visse in una solitudine assoluta, in un deserto dove era l’unico anacoreta. Più sotto vi era un altro deserto, abitato da parecchi fratelli. L’anziano osservava la strada: ed ecco un giorno passare di lì Satana in forma di uomo; sembrava che indossasse una tunica di lino piena di buchi, e dai buchi sporgevano delle fiale. <Dove vai?>, gli dice il grande anziano. Ed egli: <Vado a insinuare i pensieri nei fratelli>. E l’anziano: <E perché hai queste fiale?>. Disse: <Porto ai fratelli delle golosità>. <Così tante?>, dice l’anziano. <Sì, rispose, se a uno una non piace, gliene presento un’altra; se non gli piace nemmeno quella, un’altra ancora. Alla fine ve n’è sempre una che gli piace>. E così dicendo si allontanò. L’anziano rimase a osservare la strada finché quello ritornò indietro. <Salve!>, gli disse il vecchio vedendolo. <Macché salve!>, rispose l’altro. <Perché?>. <Perché tutti sono stati sgarbati con me e nessuno mi vuole>. <Non hai dunque colà nessun amico?>, gli dice l’anziano. Risponde: <Sì, ho un solo amico, lui mi dà retta e, quando mi vede, si contorce come il vento>. <Come si chiama?>. <Teopempto>. Detto questo, se ne andò. Il padre Macario, alzatosi, si diresse verso il deserto che si trovava a sud.

Saputolo, i fratelli gli uscirono incontro con rami di palma, e ognuno si preparava pensando che venisse da lui. Ma egli chiese: <Chi c’è che si chiama Teopempto?>. Trovatolo, si recò alla sua cella, ove Teopempto l’accolse con gioia. Quando fu solo con lui, l’anziano gli chiese: <Come ti vanno le cose, fratello?>. Disse: <Bene, grazie alle tue preghiere>. <Non ti fanno guerra i pensieri?>. <No, finora sto bene>. Si vergognava infatti di parlare. Gli dice l’anziano: <Pensa che io pratico l’ascesi da tanti anni e sono onorato da tutti, eppure anch’io così vecchio sono turbato dallo spirito di fornicazione>. Allora Teopempto rispose: <Credimi, padre, anch’io>. L’anziano finse di essere tentato anche da altri pensieri, per farlo confessare. Quindi gli dice: <Quanto digiuni?>. <Fino all’ora nona>, dice l’altro. E l’anziano: <Digiuna fino a sera e pratica l’ascesi, impara a memoria brani dell’Evangelo e delle altre Scritture; se ti assale il pensiero, non guardare in basso ma sempre in alto, e il Signore ti aiuterà subito>. Dopo aver dato al fratello queste indicazioni, l’anziano ritornò al suo eremo; e, mentre stava osservando la strada, vide nuovamente quel diavolo e gli dice: <Dove vai ancora?>. E l’altro: <A insinuare pensieri ai fratelli>, e se ne andò. Quando ripassò di là, il santo gli domandò: <Come vanno i fratelli?>. <Male!>, disse. <Perché>. <Perché sono tutti sgarbati; e, quel che è peggio, anche quello che mi era amico e mi ubbidiva è cambiato non so come, e nemmeno lui mi dà più retta, anzi è diventato il più sgarbato di tutti. Ho giurato di non andare più da quelle parti, per molto tempo>>. Detto questo, se ne andò. E il santo rientrò nella sua cella (261a – 264b; PJ XVIII, 9).

POEMEN ( intorno all’anno 330 d.C.)

         8. Un giorno un fratello lasciò la regione in cui viveva il padre Poemen per andare in terra straniera, e vi incontrò un anacoreta, che era molto amato, e tanti si recavano da lui. Il fratello gli parlò del padre Poemen, e all’udire la sua virtù, egli provò desiderio di conoscerlo. Dopo qualche tempo dal ritorno del fratello in Egitto, anche l’anziano venne in Egitto da quella regione straniera a trovare il fratello che un tempo si era recato da lui; gli aveva detto infatti dove viveva. Al vederlo, questi si stupì e provo grande gioia. <Fammi la carità di condurmi dal padre Poemen>, gli chiese l’anacoreta. Allora il fratello, presolo con sé, andò dall’anziano e gli parlò di lui, raccontandogli che era un grande uomo, molto amato e stimato nella sua regione. Disse anche: <Gli ho detto di te, ed è venuto col desiderio di conoscerti>. Poemen lo ricevette con gioia e, dopo essersi salutati, si sedettero. Lo straniero cominciò a parlare della Scrittura e di cose spirituali e celesti. Ma il padre Poemen voltò la faccia e non gli diede risposta. Vedendo che non gli parlava, se ne andò rattristato, e disse al fratello che lo aveva condotto lì: <Tutto questo viaggio è stato inutile; sono venuto dall’anziano ed ecco che non vuole nemmeno parlare con me!>. Il fratello entrò allora dal padre Poemen e gli disse: <Padre, è venuto per te questo grande uomo, che gode di tanta gloria nella sua terra. Perché dunque non gli hai parlato?>. Dice l’anziano: <Egli parla di cose celesti: io invece son di quaggiù e parlo di cose terrene. Se mi avesse parlato delle passioni dell’anima, gli avrei risposto. Ma le cose spirituali, queste io non le so>. Il fratello uscì e disse all’anacoreta:<L’anziano non parla facilmente della Scrittura, ma se qualcuno tratta con lui delle passioni dell’anima, gli risponde>.

Preso da compunzione, egli rientrò dall’anziano e gli chiese: <Che cosa devo fare, padre? Perché sono dominato dalle passioni dell’anima>. L’anziano lo guardò con gioia e gli disse: <Adesso sei venuto nel modo giusto: apri la tua bocca su questi argomenti e io la riempirò di beni>. L’altro, molto edificato, disse: <Questa è proprio la vera via!>. E se ne ritornò nella sua terra, ringraziando Dio di avergli concesso di incontrare un tal santo (321b-324b; PJ X, 39).

         18. Il padre Poemen disse: <Non abitare in un luogo in cui vedi alcuni gelosi di te; altrimenti non progredirai> (PJ X,45).

         20. Il padre Isaia interrogò il padre Poemen sui pensieri turpi. Il padre Poemen gli rispose: <È come un cassettone pieno di vestiti; se si lasciano lì, col tempo marciscono. Così i pensieri: se non li traduciamo in atti del corpo, col tempo svaniscono ovvero marciscono> (328°; PJ X,42).

         21. Il padre Giuseppe gli chiese la medesima cosa, e il padre Poemen gli rispose: <Se si mettono un serpente e uno scorpione in un vaso e lo si chiude bene, col tempo senz’altro muoiono. Così i pensieri cattivi suscitati dai demoni, con la pazienza spariscono> (PJ X, 43).

         22. Un fratello venne dal padre Poemen a dirgli: <Semino il mio campo e del suo frutto faccio elemosina>. <Fai bene>, gli dice l’anziano. Quello se ne andò con ardore e continuò nella sua elemosina. Lo venne a sapere il padre Anub e disse al padre Poemen: <Non temi Dio, da parlare così al fratello?>. L’anziano tacque. Dopo due giorni mandò a chiamare il fratello, e gli disse, in presenza del padre Anub: <Che cosa mi hai detto l’altro giorno? Avevo la mente altrove>. E il fratello: <Ho detto che semino il mio campo e ne faccio elemosina>. <Credevo che tu parlassi di tuo fratello che vive nel mondo, disse il padre Poemen, ma se sei tu che fai questo, non è lavoro da monaci>. A tali parole, l’altro si rattristò e disse: <Non so fare nessun altro lavoro che questo, e non posso non seminare più il campo>. Quando se ne fu andato, il padre Anub si prostrò dinanzi all’anziano e disse: <Perdonami!>. Dice il padre Poemen: <Sapevo anch’io fin da principio che non è lavoro da monaci, ma ho parlato conforme al suo pensiero (1) e gli ho dato ardore nel progresso della carità. Ora invece se ne è andato afflitto e continua a fare lo stesso lavoro> (328abc; PJ X, 46).

Nota: (1)È un punto essenziale del discernimento di un padre spirituale il conformarsi in qualche modo alla <misura> dell’interlocutore; assecondare, disporre ad accogliere e capire le intime mozioni dello Spirito, ma non prevenire intempestivamente chiedendo qualcosa che Dio ancora non chiede e per cui quindi non dà la grazia necessaria. Questo è infatti uno dei tanti detti di Poemen che la serie sistematica raccoglie nel capitolo sul discernimento.

27. Disse anche: <Vi è un uomo che sembra tacere e il suo cuore giudica gli altri; costui parla sempre; e ve ne è un altro che parla da mane a sera e conserva il silenzio; non dice cioè niente che non sia di edificazione>(PJ X,51).

Nel 2011 avevo salvato alcuni articoli di Suor Eugenia Bonetti – trovo ancora oggi di grande attualità

NOI DONNE, CON O SENZA NOBEL

10/10/2011  Bisogna investire sulle donne, credere nella loro capacità di costruire un mondo di pace, libertà, accoglienza e sviluppo. Ecco la grande lezione dei Nobel per la Pace.

Suon Eugenia Bonetti durante una delle sue missioni in Benin.

Il giorno dopo l’assegnazione del Premio Nobel a tre donne, due liberiane, Ellen Johnson Sirleaf, prima Presidente donna di uno stato africano, e Leymah Gbowee, attivista pacifista, quindi figlie di terra africana, e una yemenita, Tawakkol Karman per il suo impegno per promuovere i diritti delle donne e la democrazia nello Yemen, non fa che riempirmi di gioia, gratitudine e speranza.

      La giuria ha voluto scegliere tre donne, una molto nota per la sua posizione di leader, mentre le altre due meno conosciute pubblicamente, ma altrettanto attive e che hanno saputo incidere nella vita, nello sviluppo e nell’opera di riconciliazione dei loro Paesi in modo positivo. Infatti, la motivazione del premio veniva così espressa: «Per la loro lotta non violenta in favore della sicurezza delle donne e del loro diritto a partecipare al processo di pace».

      Non dobbiamo dimenticare che queste tre donne premiate hanno pagato di persona il credere nei loro principi e valori di democrazia, libertà e dignità senza arrivare a compromessi con il potere di turno per ottenere facili benefici e guadagni personali. La loro testimonianza ci ricorda che lottare e lavorare senza interessi di parte o personali per la giustizia, la pace, la solidarietà, la riconciliazione e il dialogo, presto o tardi viene riconosciuto e può davvero portare a cambiamenti storici di interi Paesi.

https://www.nobelprize.org/prizes/peace/2011/gbowee/lecture/

Ellen Johnson Sirleaf

     Il bene si fa strada da solo anche se a volte con fatica, mentre il male, la corruzione e la disonestà non potranno avere il sopravvento. Dovremo, a livello personale e collettivo, rispondere per i valori o disvalori trasmessi ai nostri figli. Questo deve ricordare a tutte noi donne, ma in modo particolare a quanti hanno ruoli di responsabilità, che bisogna investire sulle donne, credere nelle loro capacità e nella loro forza per costruire un mondo di pace, fratellanza, accoglienza, rispetto e sviluppo a tutti i livelli. Passa anche dalle loro mani, dalle loro menti e cuori la costruzione di un mondo migliore. Sono proprio loro che con le loro intuizioni, capacità di mediazione, coraggio, tenacia, sanno costruire ponti per colmare le differenze, per lenire le ferite causate dalle guerre e dalle lotte tribali, per lavorare gioiosamente insieme, per favorire il bene comune a vantaggio di tutti, specie di chi fa più fatica.

     Queste sono le donne che io stessa come missionaria ho incontrato in Africa e che ricordo con affetto e gratitudine, perché da loro ho imparato molto. Mi hanno insegnato soprattutto che noi donne siamo chiamate soprattutto e costantemente a generare la vita, non solo a livello di fecondità biologica, bensì a portare ovunque semi di vita e di speranza affinché ogni persona possa svilupparsi e crescere. A pochi giorni dalla scomparsa di un’altra grande donna africana, Maathai Wangari, lei pure Premio Nobel per la Pace del 2004, questo nuovo riconoscimento è un ulteriore stimolo affinché l’Africa possa continuare a “camminare con i piedi delle sue donne”.

      L’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan, pure lui africano, affermava durante un riconoscimento ricevuto in Sud Africa: “Se volgiamo salvare l’Africa, dobbiamo prima di tutto salvare le donne africane”. Io vorrei ribaltare questa, sostenendo che saranno proprio le donne a salvare l’Africa e non solo. Quale sfida e stimolo è questa anche per noi donne di Paesi così detti civili e sviluppati. Non è forse giunto il tempo di riprendere in mano il nostro ruolo nella famiglia e nella società, nella sfera pubblica o privata per aiutarci a riscoprire e vivere i valori veri, autentici e duraturi, senza compromessi, scappatoie e illusioni?

RISPETTO PER LE DONNE – un altro articolo di Suor Eugenia Bonetti –

Non è giusto che le Donne da sempre debbano subire la supremazia egoistica dell’uomo, ritenendole più deboli, quando sono più forti e resistenti di noi, non fisicamente. Usandole solo per il loro corpo, sia sessualmente che per fare i figli “e non per la loro intelligenza”. C’è chi vigliaccamente non si assume le proprie responsabilità, fregandosene dopo averle messe incinta. E chi per avidità di guadagni, le abbandona dopo averle sfruttate, maltrattate, drogate, alcolizzate, violentate e ingravidate; usandole per la prostituzione, lo spaccio di droga, la pornografia, la pubblicità, ecc.. Tante sono importunate sul lavoro, subendo per paura di perderlo, “non tutte”. Altre per avidità di carriera usano il loro corpo, diventando più cattive dell’uomo quando ottengono il comando. Nei Paesi democratici, avvengono violenze per la troppa libertà. Ma dove ci sono dittature religiose e non, subiscono due volte: per il fanatismo religioso imposto dall’uomo e per la supremazia del marito. E’ giusto che ogni Donna sia libera di vestirsi come gli fa piacere e di far ciò che vuole del proprio corpo e non è giusto che debbano aver paura di camminare da sole per il timore di essere violentate o scippate. Ma sapendo che ci sono uomini che non riescono a controllare i loro istinti bestiali, ed altri che sono: maleducati, volgari, arroganti, prepotenti e violenti. Sapendo questo? Meglio vestire meno provocanti “secondo l’ambiente” per evitare gesti libidinosi da parte di persone incivili. Purtroppo ci sono donne che si comportano peggio degli uomini, usando i loro figli per ricattare, ed altre che tengono succubi uomini bravi, rispettosi e responsabili della famiglia, perché deboli o innamorati. Viva le Donne.

Premio cittadino europeo a suor Eugenia Bonetti

IO, SUORA, OFFESA DAL MINISTRO

08/09/2011  Il ministro del Lavoro Sacconi ha raccontato in pubblico una barzelletta agghiacciante su delle suore violentate. “Caro ministro, le spiego il mio disgusto” (di suor Eugenia Bonetti)

 Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi.

Il ministro del Lavoro Sacconi, per polemizzare contro la Cgil ha utilizzato una barzelletta agghiacciante che parla di suore violentate consenzienti. Questo è il livello di un ministro della Repubblica.

Mi stupisce e mi sconcerta che un uomo di governo, un rappresentante delle più alte istituzioni del nostro Paese, utilizzi un simile esempio, profondamente fuori luogo e offensivo non solo nei riguardi delle suore, ma di tutte le donne. Ormai nel nostro Paese l’uso della metafora a sfondo sessuale sembra essere diventata una prassi condivisa da uomini pubblici ai più alti livelli politici. Non si rendono conto che non si può e non si deve scherzare in nessun modo e in nessun caso sulla violenza perpetrata nei  confronti delle donne? Tanto più se si chiamano in causa delle religiose, che spesso hanno dato – e continuano a farlo – la loro stessa vita per difendere la dignità della donna e di ogni essere umano. È vergognoso e intollerabile!

Da anni, in qualità di responsabile dell’Ufficio Tratta delle donne e dei minori dell’Usmi, lotto in prima persona contro il traffico di donne e bambini oggetto dello sfruttamento sessuale. La storiaccia del ministro mi colpisce nella mia dignità, nella mia vocazione a servire Cristo e nel mio lavoro. Ma non parlo solo a titolo personale. Parlo in particolare a nome di tutte le suore che in Italia lottano contro il traffico di donne e minorenni per lo sfruttamento sessuale. Donne e ragazzine, poco più che bambine, che di giorno e di notte, sono costrette a vendere il loro corpo per soddisfare gli istinti sessuali degli uomini italiani. Sono milioni di veri e propri stupri quelli che queste donne – le nuove “schiave” del XXI secolo – subiscono ogni giorno sulle nostre strade, nei night club o negli appartamenti. E non c’è proprio nulla su cui scherzare. Né sulle religiose, né su alcuna donna che subisce violenza.

VEGLIA CON JOY E PAPA WOJTYLA

08/04/2012  Nel ricordo di suor Bonetti, la veglia pasquale del 2003, con Joy, strappata alla strada, battezzata dal Papa già sofferente.

Quella veglia con Joy e papa Wojtyla

Quest’anno mi trovo a celebrare la veglia pasquale a Zagabria, in Croazia, ospite delle suore Ancelle di Gesù Bambino che si stanno preparando a celebrare il loro Capitolo generale. Mi hanno chiesto di condividere con loro l’esperienza della lotta contro le nuove schiavitù, che vedono coinvolte molte giovani dai Paesi dell’Est Europa.

Per la prima volta partecipo alla liturgia pasquale in un Paese che in pochi anni è passato dalla dittatura comunista a una democrazia, che permette ai tanti cristiani rimasti fedeli alle loro tradizioni di poter esprime la loro fede. Durante la celebrazione colgo ciò che significa per questi popoli il passaggio del Mar Rosso, l’attraversata del deserto per raggiungere la terra promessa e vivere in piena libertà anche le loro radici cristiane.

Ma come mi capita sempre in questi ultimi anni, il ricordo più forte è quello di una veglia vissuta nella basilica di San Pietro nel 2003, in cui ufficiava il Beato Giovanni Paolo II, già assai sofferente. In una basilica gremita di fedeli, oltre a ricordare il grande mistero della resurrezione di Cristo, abbiamo condiviso la gioia di accogliere nella comunità cristiana nuovi membri adulti, tra cui una giovane mamma africana. La sua storia ha un sapore tutto particolare. Quel battesimo, infatti, segnava il coronamento di un lungo cammino di morte e di vita, di sofferenza e di gioia, di fatica e di speranza.

Joy, assai emozionata, aveva un abito bianco, tipico del suo Paese, di quelli che le donne indossano per le grandi occasioni. Aveva un aspetto davvero regale. Ricordavo molto bene la prima volta che l’ho incontrata alla stazione Termini di Roma, per offrirle la possibilità di lasciare la vita di sfruttamento sulla strada, a cui era costretta ed entrare in una comunità di accoglienza. Joy era incinta. Doveva prendersi cura di sé e della creatura che sarebbe dovuta nascere di lì a tre mesi. Ricordo la sua disperazione e i suoi singhiozzi, i suoi alti e bassi, le paure e le attese, le lacrime e i sogni infranti, la rabbia e il silenzio, la lontananza della famiglia, ma anche la vergogna e la paura di non essere più accolta dai genitori se avessero saputo.

Ma poi, quasi per miracolo, ci fu il contatto telefonico con la madre, che non sentiva da moltissimo tempo, pochi giorni prima del parto. Da vera mamma africana, le disse di non aver paura, ma di accogliere la sua bambina con amore, perché ogni vita è sempre un dono di Dio. Quelle parole hanno trasformato l’atteggiamento di Joy giacché, nonostante il suo dramma, si è sentita ancora una volta capita e accolta. “Senza il vostro aiuto e la vostra accoglienza – mi disse al telefono – ora, non solo non sarebbe nata la mia bambina, ma non ci sarei stata più nemmeno io, giacché la vita per me non aveva più alcun senso”.

Come poi Joy sia giunta al Battesimo in San Pietro rimane un vero miracolo dell’amore traboccante di Dio, che ancora una volta si china sulle sue creature povere e insignificanti per renderle creature nuove e pasquali. La fantasia di Dio oltrepassa tutti i nostri sogni. Joy desiderava che, il giorno del suo battesimo, il Santo Padre benedicesse anche la sua bambina. E così, all’offertorio, le è stato concesso di offrire non solo la sua vita trasformata in Cristo, ma anche quella della sua creatura.

Joy è salita dignitosamente verso l’altare e si è avvicinata al Santo Padre, presentando la piccola Cristina tranquillamente addormentata tra le braccia della madre. Il Santo Padre ha accarezzato e benedetto entrambe, madre e figlia, segnate per sempre dalla Grazia e dall’amore infinito di Dio che si china con compassione sulle sue creature per imprimere il sigillo della sua Paternità e Maternità.

San Michele Archangelo Ucraina

Monica Lewinky – PER COMPRENDERE – IL PREZZO DELLA VERGOGNA A LIVELLO INTERNAZIONALE

Finisco con un mio pensiero – una mia visione della storia, dello straniero, della donna e lo Stato

Quando lo Stato fallisce e il cittadino perde la fiducia

Non si può svolgere un servizio verso il cittadino e non contare il parere di chi riceve/non riceve quel servizio. Non voler sapere, non contare la sua voce, come la voce degli ultimi. Forse sarebbe ora che per un servizio amministrativo, (per il modo, il tempo e la qualità del servizio) il cittadino avrebbe la possibilità di dare un voto per i servizi ricevuti? Che siano amministrativi, sanitari, pubblica amministrazione a 360°, che i voti siano atribuiti a persone stipendiate e che siano pubblicate per stimolare la qualità delle prestazione al servizio del cittadino? Sarebbe un’offessa? Sarebbe un tradire qualcosa oppure un costruire, creare la trasparenza della qualità dei servizi? Se c’è recensione per altri servizi, per quale motivo sia proibito dichiarare lo sdegno per quello che è da sdegnarsi? Perché sentirsi un “rompi”? E’ proibita la qualità? La qualità del servizio è data dal “consumatore” del servizio, non può essere data da se stessi. Tu sei un buon funzionario se non hai reclami, non se il capo nasconde i reclami. Ecco perché manca la qualità, dove manca. La trasparenza sta nella trasparenza del circuito: reclami – sviluppo – conseguenze – miglioramento. Inutile parlare di trasparenza se al posto di RIPARARE va SEPOLTO IL CASO. Non solo si peggiora, ma si perde anche il poco di fiducia del cittadino nella giustizia, legalità. In verità non esiste questo sportello che smaschera il tragitto che fa scomparire il risultato dei nostri problemi.

Aiutare ad aiutarsi – creare un sistema dove la gente possa superare i periodi bui, inevitabili della vita.

                Esistono situazioni che creano disgusto della vita, sono conseguenze di una serie di ingiustizie, concatenate, tutte capitate nello stesso periodo di cui il soggetto ha la vita completamente immersa. Ogni volta che riesce ad innalzarsi in superficie, va riemerso nel dolore, grazie a maniche esperte in raggiri, dissimulazioni, persuasioni  e nascondimenti di ogni genere. Una coalizione regge sopra ogni atto di ingiustizia che la persona umana subisce, un meccanismo che rassicura chi sta sopra, chi ha tutto sotto controllo, al discapito di chi è privo e non per colpa sua, di ogni tipo di utile informazione. Dico utile, seguendo i tempi della giustizia, poiché dare un’informazione dopo otto, nove mesi, quando massimo sono tre mesi, non vedo che tipo di informazione sia. Informazioni parziale, mai complete e non al punto di segnalare “il pericolo evidente di perdere un tuo diritto, perché non fai più in tempo a”, “l’informazione ricevuta dall’ente è già in termini giuridici, espirata dall’inizio” – mai, informati per bene se hai un diritto che ti è stato tolto, sei stato privato, oppure mai informato della sua esistenza in quanto diritto.

                Che tu sia informato o meno, dal momento in cui sei alla conoscenza, metti in atto la tua domanda e non aver incontrato nessuno che metta “a fuoco” la tua domanda, c’è tutta un’altra storia.

                 Uno sportello di questo genere, per il cittadino straniero, non esiste.

                Non solo, essere un punto dove ci si informa per bene, ma nello stesso tempo chi ha in mano una pratica –  tutelare la persona, abbia il diritto di domandare/ricevere  informazioni al riguardo di quella pratica, una persona preparata in quella materia, che può verificare le informazioni false/errate, mandate al cittadino dall’ente, insomma TUTELARE/rappresentare –  per non essere raggirato dall’ente stesso. Non nominerei il bisogno se il fatto non sarebbe capitato.

                Non esiste un mondo pensato per lo straniero, oltre a pensarlo come “clandestino”. Ci sono tutti quelli che hanno pagato e pagano le tasse, si trovano in difficoltà, le loro Ambasciate sul territorio nazionale non hanno possibilità di aiutarli e dunque privi di un punto di ripartenza. Un punto di riacquisto delle forze fisiche, interiori, una reale motivazione con cui rialzarsi. Non i soliti dormitori pubblici, ma una edilizia sociale dove ognuno possa affittare quel poco spazio che ha bisogno, non appartamenti, ma monolocali. Persone singoli che possano vivere dignitosamente, il minimo indispensabile: una stanza, cucina, un bagno. La possibilità di comprare questi monolocali, chi non ha la possibilità, di affittarli. Un piano di aiuti a ripartire, reinventando servizi utili ad una popolazione sempre più anziana. Una cooperativa di solidarietà che includa gente multietnica, un sindacato proprio ed un modo di gestire i posti di lavoro anche per le fasce di età, oltre 50 anni.

                Sarebbe un raggruppare tutte le informazioni “utili in materie di vita, basilari” per poter ridare la dignità a chi ha perso la fiducia in questo rapporto, non illusorio, ma reale e fondamentale tra STATO E CITTADINO. La fiducia nelle istituzioni dello Stato da parte del cittadino è fondamentale, non può essere concepito un rapporto di alcun genere SENZA FIDUCIA da  chi nel passato ha ricevuto dolore,  problemi, privazioni.

                Non esiste più la reale informazione, percezione di cosa può oppure non può il cittadino comune nei rapporti di vita quotidiana.

                Quanta forza può avere una sola persona per tenere petto al male personalizzato in tutta questa storia? Nessuno lo può sapere. Il fatto sta che la soluzione sarebbe semplicissima, seguire e rispettare la LEGGE. Dove trovare queste persone?

Ci si assicura su tutto, come un sistema di “immunità creata attorno”, ma non ci si pensa al fatto che, le cose più terribili a cui badare, di cui temere, arrivano dall’interno di noi stessi, da una profondità sconfinata. Quando si entra nel sottosuolo della mente umana, ci si illude di poter sbrigare tutto con dei racconti, che basta enumerarli, come chi raccoglie la spazzatura, chiuderli in un sacchetto, bruciargli  e voilà, tutto è tornato come prima. Magari. Niente paura, niente ricordi, cancellato anche il “cassetto dei ricordi” – ferite, offese, umiliazioni, maltrattamenti, basta averli introdotto in questo “recipiente – confessione” ed è finito ogni incubo.

                Perdonate, perdonate, perdonate e soprattutto perdonatevi!

                Se non avessi sentito spesso parlare, se non fossi alla conoscenza di quello che l’uomo ha trovato come soluzione facile, facile – il perdono, non si sa di cosa veramente si parla.

                Chi proclama “il perdono” dello stupro, ma è un uomo, non saprei veramente cosa si immagina che rappresenta nella memoria di una bambina, essere derisi in pubblico, ridicolizzati da una intera classe, essere stata vittima sopravvissuta di un lager di concentramento come Auschwitz … bambino testimone di esecuzione di tutta la famiglia in giovane età … Nei nostri giorni c’è il mobbing al posto di lavoro, dove tutto quello che tu fai viene ridicolizzato, trasformato in cosa “da poco conto”, inutile, quasi da disprezzare. Il tuo tempo di vita privata, cosa senza importanza, irrilevante, solo perché valutato da occhi abbaiati dal sole della prepotenza, chi fa la valutazione è dalle poltrone più morbidi delle Pubbliche Amministrazioni e questa specie di lavoratori, inesistenti agi occhi di chi attribuisce diritti a tutti lavoratori, esclusi solo una categoria. Per colpa di questa omissione, la categoria invisibile, bisogna soffrire ogni tipo di vessazione da parte di chi lavora con te e di chi fa da datore di lavoro, da parte di chi deve controllare e di chi non vuole farlo, del verdetto della tua vita lavorativa invisibile e della sentenza dal più alto di essere archiviata definitivamente. La tua vita lavorativa bisogna essere definitivamente archiviata, perché decretato dal più alto; senza mai abbassarsi a raccogliere una semplice testimonianza.

                Cosa si dovrebbe perdonare in un caso simile dove un lavoratore straniero si fida del datore di lavoro di fatto, di chi fa i contratti, di chi non sa fare buste paga, chi con una denuncia in mano raggira tutto, modifica verbali, falsifica firme, decreta falsità, nega l’evidenza. Poi altri passaggi ad altre persone che solidarizzano con chi ha già decretato cose inesistenti, una scia di persone che si coprono a vicenda fino al più alto, negando l’evidenza. Conseguenza di tutto ciò: mobbing, non solo orizzontale (a lavoro, colleghi), verticale (il datore di lavoro di fatto), ma ogni istituzione, conosciuta come di “tutela del lavoratore” gli si rivolta contro, perché? Non l’hanno riconosciuto mai, ma è l’unica spiegazione che dà un senso, regge  in piedi: sia chi ha fatto il contratto di lavoro sbagliato, le buste paga per anni ha la stessa identica sigla sindacale con il Capo di chi doveva controllare. Bisogna per forza negare l’evidenza con ogni modalità possibile, immaginabile che possiamo, abbiamo come tutela, purché, questo lavoratore risulti, stando ai nostri racconti … anzi abbiamo controllato diligentemente e, può andare in Tribunale: un lavoratore in essere.

                Il cittadino assiste giorno per giorno ad una serie di annunci, smentite; casi di cronaca, un bombardamento continuo di fatti, titoli di giornali letti in fretta (con la promessa che il resto può essere conosciuto solo comprando il giornale), basta fare il carosello dei telegiornali, dove gli stessi identici fatti, per alcuni canali televisivi, per alcuno sono di massima importanza, in apertura, per altri non fanno nemmeno “notizia” … assistere alla selezione di fatti di cui essere informati, ed altri di cui no. Bisogna però seguire tutti per rendersene conto, il cittadino comune non ha tempo per l’analisi delle informazioni, così la vita va avanti comunque.

                Nel “scendere le scale”, nel addentrarsi nel pensiero umano ci si accorge che non ha confini, ogni nuova situazione crea ramificazioni, moltiplica combinazioni e così le interpretazioni al margine di ogni nuova “strada”. Quando si presentano maestri dell’”unica strada che porta verso la tranquillità” ci rendiamo conto che l’unico diventa una moltitudine. Sono loro che ci vogliono far credere che unici, invece basta girare l’angolo ed ecco l’unico, l’unica,  diventano moltitudine. Diciamo che sono quelli che hanno una loro propria soluzione da offrirci. Nella vita ci sono cascata anch’io; nonostante tutto ho sempre mantenuto un mio metodo di comparazione, appena “i conti non quadravano” mi rendevo conto del trovarmi sulla strada senza uscita. Non esiste più la svolta, il cambiamento, il miglioramento. Toccando l’argomento, scoprendo che la strada fu segnata come giusta, mentre era sbagliata ci si reinventa, cercando di scartare tutto quello che ci aveva portato in quello stato, non sei più indifferente verso gli altri, ti senti responsabile verso gli altri, vorresti aiutare gli atri a non percorrere la stesa strada pericolosa. Che fare, togliere i falsi segnali stradali, mettere ogni cartello al suo posto, ridonando la coerenza e la logica del percorso.

                Stabilire il tempo in cui furono sostituiti i cartelli giusti con quelli sbagliati, ma soprattutto da chi e dove per prima, in quale occasione.

I cartelli sbagliati del pensiero umano

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