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John e Robert Kennedy, gli uomini della nuova frontiera

Non esiste un’unica e semplice chiave per giungere a questa pace, non esiste alcuna grandiosa o magica formula che possa essere adottata da una o due potenze. La pace vera deve essere il prodotto di molte nazioni, la somma di molti atti. Essa deve essere dinamica, non statica, e mutevole per far fronte alla sfida posta da ciascuna generazione. Ché la pace è un processo, un modo per risolvere i problemi.

Non basta dare a un uomo: vitto, vesti e alloggio; e neppure lavoro. Ci stiamo accorgendo che la cosa più importante è invece aiutare gli uomini ad aiutarsi.

Bisogna precisare un “particolare” – questo libro, non è un libro che io ho comprato, infatti è “vecchio” – decisamente era di un religioso, un sacerdote. Sulla mia Via Crucis, spostandomi tra due località, vs un sindacato, inutile parliamoci chiaro, ho sentito un impuso di fare un salto a questo santuario mariano, Santuario della Madonna di Crea, non alla mano. Nessuno nel Santuario, ma un braccio di libri – io la chiamo “corrispondenza divina” – prendo e lascio … un po’ ovunque passo. Maggior parte dei miei libri, quelli di seconda mano – hanno bollatura di Mons – firma di sacerdoti …

Gli uomini della Nuova Frontiera

<<Alcuni uomini vedono le cose come sono e dicono: Perché? Io sogno delle cose che non sono mai state e dico: Perché no?>> Con queste parole Robert Francis Kennedy ci dà la dimensione del suo coraggio, della sua statura morale, del perché si è trovato nella mischia per  la presidenza degli Stati Uniti, forse perché è morto. Il presidente John aveva impostato la sua campagna elettorale su questo slogan: <<Perché voglio che le cose siano fatte>>. Dopo la sua designazione alla presidenza presentò al mondo i suoi obbiettivi programmatici: La Nuova Frontiera.

         John: La Nuova Frontiera non è una serie di benessere, bensì una serie di sfide. E si concreta non in quello che io intendo offrire al popolo americano, ma in quello che intendo chiedergli. Fa appello al suo orgoglio, non al suo benessere, contiene la promessa di maggiori sacrifici anziché quella di maggiore sicurezza. Ma la Frontiera esiste, che lo vogliate o no. Al di là di essa stanno le immensità inesplorate della scienza e degli spazi, i problemi insoluti della pace e della guerra, della povertà e della eccedenza di produzione.

            Sarebbe più agevole ritirarsi da questa Nuova Frontiera e guardare alla tranquilla mediocrità del passato, farsi cullare dalle buone intenzioni dall’altisonante retorica … Io ritengo che i tempi richiedono innovazioni, immaginazione, coraggio e costanza. Io chiedo a ciascuno di voi di essere dei novelli pionieri sulla Nuova Frontiera. Mi rivolgo ai giovani di cuore, di ogni età, ai forti dello spirito di qualunque partito, a tutti coloro che rispondono al detto biblico: <<Sii forte e abbi coraggio: non temere e non sarai atterrato >>. Poiché è il coraggio e non la compiacenza che oggi ci occorre. Dobbiamo avere la capacità di guidare, non quella di smerciare.

Robert ponendo la sua candidatura disse:

Robert – Mi presento candidato per auspicare una nuova politica: una politica per porre fine allo spargimento di sangue nel  Vietnam e nelle nostre città, una  politica per colmare il divario oggi esistente tra negri e bianchi, tra ricchi e poveri, tra giovani e vecchi, in questo paese e in tutto il mondo.

Alcuni testi dei loro discorsi ci mettono davanti: una volontà di essere i primi, una determinazione di dedicare le proprie forze al bene degli altri. John, quando nel ’60 gli proponevano la Vice Presidenza aveva esclamato:

John: Se incominci a dire che t’accontenteresti del secondo posto sarà questo il massimo cui potrai aspirare in tutta la vita. Un uomo fa ciò che deve fare senza tener conto delle conseguenze personali e del … pericolo: in ciò è il fondamento della moralità umana.

Al giudizio della storia i Kennedy intendevano presentarsi con una fisionomia morale ben precisa.

John – A coloro ai quali molto è stato dato, si chiede molto. E quando, in un giorno a venire, l’alto tribunale della storia siederà a giudicare ciascuno di noi e decidere se nel buon tempo del nostro servizio abbiamo assolto alle nostre responsabilità … il nostro successo … sarà misurato in base alle risposte che si potranno dare a queste quattro domande:

In primo luogo, fummo noi veramente coraggiosi?

In secondo luogo, fummo veramente uomini di giudizio?

In terzo luogo, fummo veramente integri?

Infine, ci dedicammo veramente al nostro compito? …

Nessuno si aspetta che la vita possa essere facile; certamente non in questo decennio, o forse nemmeno in tutto questo secolo …

Sono certo che, quando la polvere dei secoli sarà passata sulle nostre città, saremo ricordati non per le vittorie e per le sconfitte delle nostre battaglie e della nostra politica, ma per il nostro contributo allo spirito umano …

Gli uomini che creano il potere danno un contributo indispensabile alla grandezza della nazione. Ma gli uomini che mettono in dubbio il potere portano un contributo altrettanto indispensabile … Perché sono loro che decidono se noi adoperiamo il potere o se è il potere ad adoperare noi …

Robert – Non si apre la strada verso la libertà con la violenza e la potenza, ma con la fedeltà ai credi fondamentali – democrazia, libertà e giustizia – che gli uomini seguono per impulso spirituale e non per contrizione materiale. Dobbiamo affrontare pericoli reali, superare ostacoli reali, soddisfare bisogni reali: ma sempre in modo da conservare la nostra fedeltà ai principi. Altrimenti conserveremo l’ombra del progresso e della sicurezza, a scapito della sostanza della libertà del Nuovo Mondo …

Affermare che il futuro sarà diverso dal presente e dal passato può sembrare una verità estremamente ovvia. Pure, devo dire con rincrescimento che in politica, a volte, suona come un’eresia. Si può anche essere accusati di radicalismo o di spirito sovversivo. In ogni tempo e in ogni paese ci sono persone che cercano di fermare la storia. E’ gente che teme il futuro, che non ha fiducia nel presente e che si rifà a un passato sereno e tranquillo che in realtà non è mai esistito.

Con un linguaggio pieno di realismo il Senatore elenca i pericoli che si frappongono alla volontà di creare un ordine nuovo.

Robert – Prima di tutto c’è il pericolo del senso di inutilità, di credere cioè che l’individuo da solo non possa fare nulla contro la massa enorme dei mali che affliggono il mondo, contro la miseria e l’ignoranza, l’ingiustizia e la violenza. La storia umana tutta è fatta di innumerevoli atti individuali di coraggio e di fede. Ogni volta che qualcuno si erge in difesa di un ideale e agisce per migliorare il destino altrui o lotta contro l’ingiustizia, diffonde una piccola onda di speranza. L’incontro di tutte queste onde, provenendo da milioni di centri diversi di energia e di coraggio, forma una corrente che può travolgere le più imponenti muraglie dell’oppressione e della reazione. …Il secondo pericolo è rappresentato dall’opportunismo di chi afferma che speranze e ideali devono inchinarsi di fronte alle esigenze del momento. Naturalmente se vogliamo che la nostra azione sia efficace, dobbiamo affrontare il mondo com’è. Dobbiamo agire continuamente.

Ma se c’è una cosa che stava a cuore al presidente Kennedy e che tocca i sentimenti più profondi dell’umanità intera, era il credere che gli ideali, le aspirazioni più elevate, le convinzioni più profonde non sono incompatibili con i programmi più concreti e efficaci, che non c’è incompatibilità tra gli ideali e le possibilità pratiche d’attuazione, tra le più profonde aspirazioni del cuore e della mente, e l’applicazione razionale delle energie dell’uomo ai suoi problemi.

Risolverli e operare senza guida dei valori morali fondamentali non significa essere realistici e concreti, ma completamente folli, perché non si tiene conto della realtà della fede, dei sentimenti e degli ideali umani che, in ultima istanza, sono forse più potenti di tutti i calcoli degli economisti e dei generali. Certamente rimanere fedeli alle proprie norme morali, ai propri ideali, alla propria visione del mondo di fronte ai pericoli immediati, richiede grande coraggio e fiducia in se stessi. Ma sappiamo anche che soltanto chi rischia molto ottiene molto.

Un terzo pericolo è rappresentato dalla mancanza di coraggio. Pochi sono disposti a sfidare la disapprovazione del prossimo, le critiche dei colleghi, la collera della società. Il coraggio morale è un lusso più raro del coraggio in battaglia o della grande intelligenza. Eppure è la dote essenziale, vitale per chi cerca di cambiare il mondo che è tanto riluttante a cambiare. Credo che nella generazione attuale chi ha il coraggio di combattere nella lotta per la giustizia, troverà compagni in ogni angolo della terra.

Per i fortunati, il quarto pericolo è il benessere, la tentazione di seguire i sentieri noti e agevoli dell’ambizione personale e del successo finanziario che si aprono con tanta pompa davanti a coloro che godono del privilegio dell’educazione. Ma non è questa la strada che la storia ci insegna. Una maledizione cinese dice: <<Possa egli vivere in tempi interessanti>>. Che ci piaccia o no, viviamo in tempi interessanti. Sono tempi pieni di pericoli e d’incertezza, ma più di qualsiasi altro periodo della storia aperti alle energie creative dell’uomo.

E tutti noi saremo alla fine giudicati e, man mano che gli anni passano, ci giudicheremo certamente anche da soli, in base al contributo che abbiamo dato all’edificazione di una nuova società e alla misura in cui abbiamo rispettato i nostri ideali e i nostri obbiettivi nel dare quel contributo.

E così il dissenso, il porsi contro una politica stagnante diventa un imperativo alla coscienza

Robert – Non basta permettere il dissenso. Dobbiamo esigerlo, perché ci sono molte cose dalle quali dissentire. Dissentiamo dal fatto che milioni di persone siano condannate alla miseria mentre la nazione continua ad arricchirsi. Dissentiamo dalle situazioni e dagli odi che negano una vita piena ai nostri connazionali per il colore della loro pelle. Dissentiamo dalla mostruosa assurdità di un mondo in cui le nazioni sono pronte a distruggersi e in cui gli uomini devono uccidere altri uomini. Dissentiamo dalle città che ottundono la sensibilità e trasformano gli atti quotidiani in una lotta penosa. Dissentiamo dalla deliberata e sventata distruzione delle bellezze naturali. Dissentiamo da tutte quelle strutture – tecnologiche e sociali – che spogliano l’individuo della dignità e del conforto di sapere che i suoi doveri sono gli stessi del resto della comunità e del paese.

Contestazioni giovanili

Dopo la tragedia di Dallas e di Los Angeles molti si domandano come andrà a finire l’America che ha ucciso le sue guide. Esiste un’America impazzita che agisce e spara contro coloro che hanno coraggio, ma i messaggi dei Kennedy, ormai, valicano i confini dell’America e fermentano il mondo. Le loro posizioni sulla pace e la guerra, la determinazione di sconfiggere la segregazione razziale e la miseria, il loro giudizio sulla giovane generazione rimarrà senza risposta.

Il Presidente aveva detto nel marzo del 1963 a Costanza:

John – A voi giovani è stato affidato il compito di dimostrare che gli uomini liberi possono vincere gli antichi nemici – la povertà, la fame, l’ignoranza – proteggere la libertà contro coloro i quali la distruggerebbero, portare la speranza a coloro che cercano la speranza e far partecipi della libertà coloro che non l’hanno. Si tratta di un compito immenso. E’ irto di difficoltà e di pericoli, di ostacoli e di incognite. Ma a voi è stata data anche un’occasione di plasmare la storia e di servire l’umanità che è stata data a poche generazioni.

Il problema fu affrontato a più riprese da Robert con un realismo scarno. Egli sapeva di essere sostenuto specialmente dai giovani e a loro rivolse la sua attenzione diagnosticando i loro interessi.

Robert – Ciascuna generazione ha il suo problema particolare: concludere una guerra, estirpare le discriminazioni razziali, migliorare le condizioni dei lavoratori. Sembra che i giovani di oggi abbiano scelto come loro problema particolare la dignità dell’uomo quale individuo.

Esigono un limite allo strapotere. Esigono un sistema politico che conservi il senso della comunità tra gli uomini. Esigono un governo che parli direttamente e onestamente ai suoi cittadini. Possiamo conquistare il loro impegno solo dimostrando che è possibile raggiungere questi obbiettivi attraverso uno sforzo personale. Troppo grandi le possibilità, troppo alta la posta per accontentarci di lasciare in eredità alla prossima generazione soltanto il lamento profetico di Tennyson: <<Ah, cosa sarà di me a cinquant’anni/ posto che la natura mi tenga in vita, / se già a venticinque anni / trovo il mondo così amaro? >>.

In America, oggi lo specchio più limpido delle nostre realizzazioni, la misura più sincera della nostra fedeltà agli ideali è la gioventù.

 Tempo libero, i mezzi per esprimersi: eppure i giovani sembrano allontanarsi ogni giorno di più  verso direzioni di cui noi, talvolta forse anche loro, sappiamo soltanto che divergono dalle nostre. Abbiamo approvato una legislazione sui diritti civili di un’ampiezza e di una minuziosità sconosciute dal tempo delle guerre di secessione; eppure non c’è mai stato un maggior senso di distacco e un’ostilità più aperta tra le razze.

Abbiamo raggiunto un livello di benessere e di sicurezza sociale che va molto al di là dei nostri sogni anche solo di qualche anno fa. Eppure, forse ci stiamo occupando delle cose sbagliate, poiché sembra che la ricchezza e la capacità di conquiste distruggano tante gioie quante ne portano e che i nuovi programmi siano inadeguati, persino contrastanti, rispetto agli obiettivi che si prefiggono.

In un mondo così incredibile e pericoloso noi non troveremo le risposte necessarie nei vecchi dogmi, ripetendo slogans ormai consunti o combattendo su antichi campi di battaglia contro nemici evanescenti, e quando ormai le vere lotte si sono concluse. Dobbiamo cambiare per non lasciarci travolgere dai cambiamenti. Dobbiamo riconsiderare tutte le nostre vecchie idee e convinzioni prima di essere vinti e distrutti.

Ogni generazione eredita un mondo che essa non ha costruito, e nello stesso tempo diventa automaticamente l’amministratrice fiduciaria di questo mondo per coloro che verranno poi.

I giovani di tutto il mondo non aspettano che noi ci occupiamo di loro. Vanno avanti con la loro rivoluzione, senza di noi. Vanno avanti alla loro maniera, nel tempo loro. In molti paesi oggi, sono in aperta rivolta contro l’oppressione e la miseria, contro i soffocanti sistemi che non hanno consentito il progresso. La storia è dalla loro parte e in un modo o nell’altro avranno successo, costi quel che costi. In molti casi, la rivoluzione rappresenta una soluzione facile per loro perché non hanno niente da perdere. Quello che pensano e fanno si ripercuote direttamente su tutti noi. In tutti i paesi rappresentano una forza che ha le proporzioni di un uragano; e il mondo di domani recherà l’impronta dei loro ideali e dei loro propositi. Ecco perché dobbiamo occuparci di loro.

Il primo compito delle persone responsabili, non è quello di condannare, punire, deplorare, ma è quello di ricercare le cause del disinganno e dell’alienazione, della logica che guida la protesta e il dissenso: è forse quello di saper trarre un insegnamento da tutto questo. E magari ci accorgeremo che abbiamo da apprendere di più proprio da coloro il cui dissenso dalle nostre posizioni politiche e sociali è veramente radicale, perché tra i giovani, come tra gli adulti, la critica più tagliente si accompagna spesso al più profondo idealismo e al più sincero amor di patria.

I giovani hanno intuito che la criminalità organizzata, questo impero della corruzione, della venalità ingorda e dell’estorsione continua a prosperare, non soltanto tollerata ma spesso alleata a importanti personalità dei sindacati, del mondo degli affari e del governo. Per queste ragioni forse nel loro disprezzo per gli eccessi del materialismo fanno eco agli insegnamenti di un altro giovane ribelle: <<Ed egli mandò ricchi a mani vuote>>.

Il vuoto tra le generazioni non si colmerà mai del tutto. Ma occorre gettare un ponte. Un ponte tra le generazioni è oggi essenziale al paese perché, in realtà, è anche un ponte verso il nostro futuro, e quindi, nel senso più vero, verso il significato ultimo della nostra vita. Quali che siano le divergenze, per quanto profondo sia il loro dissenso, è indispensabile per noi, come per loro, che i giovani sentano che un mutamento è possibile e che saranno ascoltati; che le follie e le crudeltà del mondo si arrenderanno sia pure con difficoltà ai sacrifici che essi sono disposti a compiere. Ciò che veramente cercheremo è un senso di apertura. L’apertura deve cominciare dal dialogo, qualcosa di più della libertà di parola. E’ la disposizione ad ascoltare e ada agire.

Nella misura in cui i giovani non si limitano più a riflettere semplicemente le insoddisfazioni che hanno in comune con gli adulti, essi sollevano questioni che, in ogni caso, dovrebbero preoccuparci. Nella misura in cui esigono il rispetto degli ideali ripetutamente proclamati, svolgono per noi l’autentica funzione dei profeti. E quando cercano l’occasione di contribuire al bene dell’umanità e di farsi il proprio destino, sottolineano l’urgenza crescente di un problema che ci riguarda tutti: che le nostre vite abbiano un senso per noi e per il nostro prossimo.

Povertà e ricchezza

Robert Kennedy è stato sepolto nel cimitero nazionale di Arlington; su una collinetta, a pochi passi dal recinto di pietra che delimita il luogo di sepoltura di suo fratello John. Il mondo intero si è commosso alla notizia della loro morte. Che essi appartenessero ad una delle venti famiglie più ricche d’America non ha impedito ai poveri di piangere, il fatto che fossero bianchi e irlandesi non ha impedito ai venti milioni di negri di sentirsi defraudati nelle loro più vive speranze. La verità più scottante in un’America opulenta è la persistenza della miseria. Il tentativo di portare la devastante classe dei poveri ad un livello di vita decente è stata una delle battaglie più difficili di John Kennedy.

John – Se una società di uomini liberi non può aiutare i molti che sono poveri, non può salvare i pochi che sono ricchi.

La posizione assunta dal senatore Kennedy quale paladino dei diseredati, non era solo un programma elettorale, nasceva da una spinta interiore e dalla fedeltà ai principi del cristianesimo.

Robert – Credo che finché ci sarà abbondanza, la povertà sarà un male da combattere. Venti  milioni di negri americani, cinque milioni di americani di origine messicana, quasi tre milioni di portoricani e mezzo milione di indiani sono una realtà. Gli slums sono una realtà, come lo sono l’inattività forzata e la miseria, la mancanza di istruzione e le case decrepite. Le prospettive frustrate e le speranze deluse sono una realtà. E sono realtà che non si possono ignorare soprattutto la consapevolezza dell’ingiustizia e l’appassionato bisogno di eliminarla. Perciò abbiamo due alternative: o impegniamo la nostra immaginazione, la nostra dedizione, la nostra saggezza e il nostro coraggio per affrontare queste difficoltà e lottiamo per superarle, oppure voltiamo loro le spalle, provocando repressioni, sofferenze sempre maggiori, guerra civile e trasmettendo ai nostri figli un problema assai più terribile e minaccioso.

In un discorso al Congresso Mondiale dell’alimentazione John Kennedy aveva proposto cinque principi fondamentali da tener presenti sul problema della fame.

Primo, la persistenza della fame è inaccettabile sin dal punto di vista morale che da quello sociale. Papa Giovanni, in una sua enciclica, ha parlato del concetto che <<Tutti gli uomini sono uguali per la loro dignità naturale>>. Questa stessa dignità, indubbiamente nel XX secolo, impone che vengano eliminate la fame e l’inedia su vasta scala.

Secondo, dobbiamo riconoscere il fatto che le nazioni deficitarie dal punto di vista alimentare possono, con l’aiuto di altri paesi, risolvere questo loro problema. La campagna per la libertà dalla fame si basa su questa salda premessa.

Terzo, la cooperazione internazionale, l’organizzazione internazionale e l’azione internazionale sono indispensabili. Questa interdipendenza richiede per i suoi problemi soluzioni plurinazionali, particolarmente per quelli relativi alle necessità ed alle esigenze fondamentali dell’uomo.

Quarto, nessuna tecnica isolata nel campo politico, finanziario o educativo può da sola eliminare la fame. Sarà necessario uno sforzo coordinato da parte di tutti noi per abbattere il muro che separa la metà dell’umanità affamata da quella nutrita.

Quinto e ultimo, l’opinione mondiale deve concentrarsi sullo sforzo internazionale per eliminare la fame, quale compito PRINCIPALE DI QUESTA GENERAZIONE.

 … La pace e il progresso mondiali non possono essere mantenuti in un mondo per metà nutrito e per metà affamato. Fintanto che la libertà dalla fame sarà stata raggiunta soltanto per metà, fintanto che i due terzi delle nazioni del mondo registreranno deficit alimentari, nessun cittadino, nessuna nazione potranno permettersi di sentirsi soddisfatti e sicuri. Abbiamo la possibilità, abbiamo i mezzi e abbiamo la capacità di eliminare la fame dalla faccia della terra. Abbiamo soltanto bisogno della volontà.

Robert ricordava bene che quando Cristo diceva: <<Ciò che avete fatto a ciascuno di questi, l’avete fatto a me>>, si riferiva ai piccoli e ai poveri.

Robert – La guerra alla miseria, piaccia o no, è il solo impegno importante che la nazione abbia preso in omaggio al principio che la povertà dev’essere abolita. Non è soltanto l’impegno a far sì che i padri non siano senza lavoro, e i figli senza istruzione e le madri senza assistenza medica, anche se comporta tutte queste cose. La guerra alla miseria è un impegno preso in omaggio al principio che ogni americano deve avere le stesse possibilità di costruire una vita per sé e i suoi figli, e le stesse possibilità di prendere parte al governo della sua città, dello stato e del paese, le stesse possibilità di partecipare alle grandi iniziative della vita pubblica americana.

Non basta dare a un uomo: vitto, vesti e alloggio; e neppure lavoro. Ci stiamo accorgendo che la cosa più importante è invece aiutare gli uomini ad aiutarsi.

Un’America imbottita d’oro e protetta da una corazza impenetrabile, ma circondata da nazioni povere e disperate in un mondo caotico, non potrebbe né garantire la propria sicurezza né perseguire il sogno di una civiltà dedita al perfezionamento dell’uomo.

Lo sviluppo dell’America Latina non dipende tanto dai fattori economici quanto, e in misura determinante, dai fattori spirituali. Il senso della giustizia e della partecipazione alla vita del proprio paese sono requisiti essenziali di qualsiasi progresso materiale. I diseredati e i nullatenenti non lavoreranno  per migliorare una terra che non possiedono, di cui non condividono il reddito. I genitori non faranno sacrifici per assicurare l’istruzione dei figli; a loro volta i figli, se dopo la terza elementare verranno giudicati inabili all’ammissione alle classi successive, non potranno progredire negli studi. I singoli imprenditori non potranno prosperare in una società chiusa, che riserva ricchezze, potere, privilegio alle stesse classi e alle stesse famiglie che li hanno detenuti per trecento anni.

Poco importa che il reddito di un paese cresca di alcuni milioni di dollari, se questi dollari non sono usati per migliorare la sorte dei poveri affamati e nullatenenti. Nessun miglioramento materiale conferisce dignità alla vita di un uomo se egli non viene trattato dagli altri con il rispetto e il riguardo dovuti a un cittadino di uno stato giusto e democratico. Noi prepariamo il tipo di cittadini che ci meritiamo. Se buona parte dei nostri bambini cresce nella frustrazione e nella miseria, dobbiamo prevedere che un giorno la sconteremo.

JOHN KENNEDY: Insieme noi salveremo il nostro pianeta o insieme periremo nel suo rogo. Noi possiamo salvarlo e salvarlo dobbiamo in modo da meritarci, come uomini di pace, l’eterna gratitudine dell’umanità e l’eterna benedizione del Signore. Chiediamo a Dio di poter essere degni della nostra potenza e della nostra responsabilità, di poter esercitare la nostra forza con saggezza e disciplina, e di poter tradurre in realtà nel nostro tempo e per tutti i tempi l’antico ideale della <<pace in terra agli uomini di buona volontà>>. La nostra forza non sarà mai usata per una ambizione aggressiva, servirà a mantenere la pace. Non sarà mai uno strumento di provocazione, la useremo per rendere possibile la soluzione pacifica di ogni contrasto. Riesaminiamo il nostro atteggiamento verso la pace stessa. Troppi di noi la considerano impossibile. Troppi di noi la considerano irreale, ma questa è un’idea pericolosa e disfattista: essa porta a concludere che la guerra è inevitabile, che la sorte dell’umanità è segnata, che noi siamo stretti nella massa di forze che non possiamo controllare. Non è assolutamente necessario che noi accettiamo questa opinione. I nostri problemi sono creati dall’uomo: pertanto possono essere risolti dall’uomo. E l’uomo può essere grande purché lo voglia. Nessun problema che investa il destino degli uomini è al di là della portata degli esseri umani. La ragione e lo spirito dell’uomo hanno spesso risolto appariva insolubile e riteniamo che possano farlo ancora. Concentriamoci su una pace più pratica, più facilmente raggiungibile, basata non su una subitanea rivoluzione della natura umana bensì su una graduale rivoluzione delle istituzioni umane: su una serie di concrete azioni e di efficaci accordi che RISPONDANO ALL’INTERESSE DI TUTTI. Non esiste un’unica e semplice chiave per giungere a questa pace, non esiste alcuna grandiosa o magica formula che possa essere adottata da una o due potenze. La pace vera deve essere il prodotto di molte nazioni, la somma di molti atti. Essa deve essere dinamica, non statica, e mutevole per far fronte alla sfida posta da ciascuna generazione. Ché la pace è un processo, un modo per risolvere i problemi.

         E’ un processo che si attua di giorno in giorno, di settimana in settimana, di mese in mese, modificando gradualmente opinioni, logorando lentamente vecchie barriere, creando silenziosamente nuove strutture. E per quanto poco sensazionale sia il perseguimento della pace, tale lavoro deve continuare. Faremo la nostra parte per costruire un mondo di pace in cui i deboli siano sicuri e i forti siano giusti. Non siamo privi di risorse di fronte a questo compito, né privi di speranza circa il suo successo. Fiduciosi e senza timore, continueremo a lavorare non per una strategia di  annientamento, ma per una strategia di pace.”

 Conclude l’autore, Damiano Bianco: “Le pallottole possono uccidere gli uomini, ma non le idee. Anche se per un momento abbiamo creduto che a Dallas e a Los Angeles fosse uccisa la speranza dell’umanità, ora crediamo fermamente che il sacrificio di John e Robert Kennedy sia un seme fecondo per il nostro futuro”.

          Dal libro: Slogans dell’anima Testimonianze di S. Weil, P. Mazzolari, A.Saint- Exupéry, G Bevilacqua, M.L. King, T. Martin, L. Bloy, T. de Cardin, M. Gandhi, C. de Foucauld, J. e R. Kenney, C. Péguy, T. Merton, T. Dooley (1977, ottava edizione), Edizioni Paoline

            “La civiltà di un popolo non progredisce con la ricchezza economica, ma con l’evoluzione del bene da condividere e il rispetto dei diritti di tutti, iniziando dai più deboli. La pace non si fonda sui trattati CHE FIRMANO I VINCITORI, MA SULLA MORALITA’ DEI COSTUMI, CHE OBBLIGA VINTI E VINCITORI. La guerra è l’espressione immorale e violenta del potere selvaggio sui più deboli”.

            “IMPERI E NAZIONI CROLLANO NON per la discutibilità delle leggi, ma per la corruzione dei costumi che le precede. Credo nell’efficacia di un progetto politico con il quale si promuova la libertà NON DI FARE ciò che ci pare e piace, ma di adempiere i doveri scritti nella coscienza naturale di tutti”. Santo e martire, Massimiliano Maria Kolbe

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